Politically (in)correct – Lavoro:

Bollettino ADAPT  29 novembre 2021, n. 42

 

Come se la cava in materia di lavoro e politiche sociali il ddl di bilancio (AS 2448) ora all’esame del Senato? In questa prima fase la Commissione Bilancio ha in corso una serie di audizioni delle autorità e delle istituzioni competenti in tema di politiche pubbliche, economiche e sociali che, all’atto dell’audizione, consegnano le loro considerazioni sull’insieme e sui diversi aspetti dell’articolato.  Che poi di quelle indicazioni si avvalga il legislatore è tutto un altro paio di maniche. Ma questi contributi (al pari delle Relazioni tecnica della RGS che rilascia la “bollinatura”) sono fondamentali per avere maggiore consapevolezza dei problemi e delle proposte contenute nella manovra. Per quanto riguarda le audizioni fino ad ora effettuate meritano una particolare attenzione i documenti – consegnati alla Commissione ed esposte in sintesi in seduta – dell’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), della Banca d’Italia e della Corte dei Conti. Raggrupperemo per singoli argomenti le osservazioni di ciascun Istituto sulle disposizioni del ddl di bilancio approvato dal governo.
 

Il reddito di cittadinanza (RdC)

 

In tutti i documenti si riscontra una analisi – sulle caratteristiche dei percettori del beneficio – in linea con quella indicata dalla relazione del Comitato scientifico nominato dal Ministro del Lavoro e presieduto da Chiara Saraceno: I beneficiari di RdC, anche quando teoricamente “occupabili” spesso non hanno una esperienza recente di lavoro ed hanno qualifiche molto basse. Inoltre, i settori in cui potrebbero trovare un’occupazione – edilizia, turismo, ristorazione, logistica – sono spesso caratterizzati da una forte stagionalità. I criteri attualmente utilizzati per definire congrua, e quindi non rifiutabile, un’offerta di lavoro non tengono conto adeguatamente di questi aspetti. Occorre introdurre criteri che, salvaguardando la dignità delle persone e il diritto ad un equo compenso, siano più coerenti con le caratteristiche dei beneficiari e con l’obiettivo di favorirne la costruzione di un’esperienza lavorativa. Questa “tardiva” scoperta (i navigator – i soli a pagare per colpe non loro – se ne erano già accorti) rende ancor più evidente il “peccato originale” del RdC: quello di voler essere insieme uno strumento di lotta alla povertà e un procedimento di politiche attive. L’UPB affronta il problema mediante le considerazioni che seguono e che fanno emergere i limiti delle modifiche proposte nel ddl di bilancio.

 

Diverse analisi hanno evidenziato – sottolinea il documento – le difficoltà oggettive nella ricollocazione dei beneficiari del RdC dovute alla debolezza dei loro profili professionali. Il Rapporto INPS 2021 evidenzia che circa un terzo dei beneficiari del reddito di cittadinanza ha avuto un’esperienza lavorativa nell’anno precedente la richiesta, che per circa l’84% di essi è stata inferiore ai tre mesi. L’ANPAL rileva inoltre che oltre il 70% dei soggetti sottoposti ai patti per il lavoro ha un titolo di studio non superiore a quello di scuola superiore di primo grado e nel complesso presenta un indice di profiling, che misura la probabilità di non essere occupato a distanza di 12 mesi 35, molto elevato (0,876 in una scala tra 0 e 1, dove 1 indica massima difficoltà di occupabilità). Valori ancora più elevati si riscontrano nelle aree meridionali, caratterizzate oltretutto da una minore dinamicità del mercato del lavoro.

Ma secondo l’UPB  le revisioni contenute nel ddl di bilancio lasciano immutate le principali criticità evidenziate anche nella funzione di contrasto della povertà per i seguenti motivi: una scala di equivalenza che sfavorisce le famiglie numerose, malgrado sia nota la maggiore concentrazione della povertà tra i minori rispetto ad altre fasce di età; l’elevata aliquota marginale che scoraggia il lavoro regolare (80% e 100% con l’aggiornamento della dichiarazione ISEE); la lunghezza del periodo richiesto di residenza in Italia superiore a quella di altri programmi assistenziali e delle misure di sostegno al reddito previste in altri paesi europei; il peso del patrimonio nella selezione dei beneficiari, in considerazione della difficile liquidabilità dello stesso.

 

Anche la Banca d’Italia condivide l’obiezione principale: “Il Reddito di cittadinanza è al contempo strumento di contrasto alla povertà e misura di politica attiva del lavoro. Come strumento di contrasto alla povertà ha avuto un ruolo significativo nel sostegno alle famiglie più in difficoltà, contribuendo ad attutire gli effetti economici della pandemia da Covid-19. In quanto misura di politica attiva del lavoro, le evidenze suggeriscono invece un’efficacia molto limitata, anche per gli effetti della pandemia e della connessa crisi economica”.

 

Sulla medesima linea la Corte dei Conti: “La valutazione d’assieme sugli interventi in materia di RdC è positiva, pur se appare evidente come non si sia ancora di fronte al ridisegno dello schema di cui vi è bisogno. Sin dall’introduzione della misura in questione, con il d.l. n. 4/2019, questa Corte ha sottolineato l’importanza di disporre anche in Italia di uno strumento di contrasto alla povertà a carattere universale dopo l’importante ma insufficiente misura, varata nel 2017 del Reddito di inclusione. L’esperienza accumulata nei tre anni di effettiva gestione dello schema, pur segnata in parte dalla pandemia e quindi da accresciute necessità di carattere congiunturale, ha però confermato molte delle criticità già presenti nell’impianto originario e segnalate anche dalla Corte in occasione della specifica audizione sul d.l. agli inizi del 2019. Sono in particolare del tutto insoddisfacenti gli esiti del secondo pilastro, quello delle politiche per l’impiego. Si è sostanzialmente verificato, sul piano empirico, quanto da più parti, ed anche dalla Corte, era stato sottolineato ossia l’esigenza di tenere in parte distinta la questione dell’avviamento al lavoro di soggetti economicamente e socialmente più fragili da quella più ampia di lotta alla povertà”.

 

Pensioni

 

Molto netto il giudizio della Corte dei Conti. La valutazione complessiva sulle misure in materia pensionistica (quota 102, estensione Ape, proroga opzione donna, ecc.) non è del tutto positiva. Fin dall’avvio di Quota 100 la Corte rivendica di aver sottolineato come la misura abbia costituito una risposta non efficiente, per gli equilibri della finanza pubblica, ad una pur presente esigenza del sistema italiano: quella di una maggiore flessibilità in uscita del sistema previdenziale. Sotto il profilo generale, resta da affrontare su base strutturale il tema di come garantire una maggiore flessibilità in uscita preservando le caratteristiche proprie del sistema contributivo, il quale allinea le prestazioni ai contributi e determina quindi l’importo in funzione della speranza di vita. Come rimarcato più volte dalla Corte stessa, andrebbe considerata l’ipotesi di convergere gradualmente, ma in tempi rapidi, verso una età uniforme per lavoratori in regime retributivo e lavoratori in regime contributivo puro. Ma è evidente – secondo la CdC – che sia per ragioni di equilibri finanziari che di equità ciò andrebbe fatto prevedendo una correzione “attuariale” anche sulla componente retributiva dell’assegno, in analogia a quanto avviene per la componente contributiva. Diversa è la valutazione della magistratura contabile per le revisioni contenute nel ddl in tema di anticipo pensionistico (APE). “L’anticipo pensionistico è un istituto che la Corte ha valutato positivamente sin dal suo avvio, essendo uno strumento mirato a platee particolarmente fragili sul piano delle condizioni lavorative e dunque in linea di principio meritevoli di deroghe ai requisiti generali posti dalla legge 214/2011. I dati sulle caratteristiche delle domande di anticipo pensionistico con riguardo al periodo 2017-2020 evidenziano che sono state accolte circa 67 mila domande complessive, di cui i 2/3 riguardanti lavoratori disoccupati, il 17 % soggetti che assistono persone con handicap gravi, l’11 % persone con invalidità di grado elevato e l’8 % addetti a mansioni difficoltose”.

 

Sia da parte dell’UPB che della Corte dei Conti si riscontra un giudizio molto severo sull’incorporazione dell’INPGI 1 nell’INPS a partire dal prossimo primo luglio. L’Ufficio parlamentare di bilancio, a conclusione di una disamina severa di un logoramento progressivo degli equilibri di bilancio non sufficientemente contrastati dalla governance dell’ente, sottolinea con preoccupazione che, come compiuto secondo le condizioni previste nel ddl, il salvataggio a carico del bilancio pubblico, oltre a indurre a sottovalutare l’inefficacia delle sorveglianze, finisce per premiare ex-post il moral-hazard degli organismi di gestione e dei rappresentanti di categoria, configurandosi come pericoloso precedente all’interno della previdenza di base che a oggi contempla ventitré Casse privatizzate tra il 1994 e il 1996, inclusa la INPGI-GS  (INPGI 2) che rimane in vita anche dopo lo spinoff dell’INPGI-AGO.

A sua volta la Corte dei Conti dopo aver richiamato tutti i rilievi compiuti nel corso degli anni segnala che la norma in questione presenta profili di problematicità, potenzialmente idonei a provocare, tra l’altro, effetti emulativi di portata sistemica.

 

In definitiva, ad avviso della Corte dei conti le pur importanti azioni intraprese negli ultimi anni, a partire dalla tardiva introduzione, a far data dal 2017, del sistema di calcolo contributivo, non hanno consentito di eliminare gli squilibri in essere i quali scontano l’erogazione di trattamenti pensionistici decisamente privilegiati nel confronto con altre gestioni del comparto privato e pubblico e segnati da aliquote di rendimento riconosciute sulla parte retributiva dell’assegno sensibilmente superiori a quelli prevalenti in altri comparti.

Viene comunque riconosciuto che, anche se tardiva e con i citati problemi di moral hazard e iniquità di trattamento, la soluzione prevista nel ddl resta comunque preferibile all’altra, pure comparsa nel dibattito degli ultimi mesi, di spostare dalla platea degli assicurati all’Inps a quella dell’INPGI-AGO alcune tipologie di lavoratori dipendenti che svolgono mansioni attinenti alla comunicazione (non necessariamente giornalisti). Questa soluzione, sottolinea la CdC, non solo avrebbe ridotto i contribuenti attivi dell’INPS, ma avrebbe rappresentato soltanto una soluzione temporanea dei problemi strutturali dell’INPGI-AGO

 

Ammortizzatori sociali

 

L’UPB, a questo proposito, osserva che, per raggiungere l’obiettivo della copertura delle integrazioni salariali dell’INPS a tutto il lavoro dipendente, il ddl coinvolge la Bilateralità, già presente su scala più circoscritta nel Jobs Act.  Questo doppio “binario” – pubblico e privatistico – ha dei vantaggi ma anche delle criticità. Tra i vantaggi, secondo l’UPB, c’è sicuramente il fatto che si vincola costantemente la spesa alla capienza di bilancio dei Fondi bilaterali (incluso il FIS), che viene alimentata dalle contribuzioni dei loro iscritti. L’autonomia di bilancio e la stessa governance dei Fondi affidata direttamente alle parti sociali coinvolte dovrebbero aiutare a limitare il possibile moral-hazard nell’accesso alle prestazioni. Si eviterebbe così di fare pesare direttamente sul bilancio dell’INPS le prestazioni che si rivolgono a un universo molto ampio e frastagliato, e come tale più difficile da controllare, rappresentato dalle imprese del commercio e dei servizi. Tuttavia – prosegue la Nota – l’obbligo di autosufficienza dei Fondi non elimina tout court l’eventualità che il bilancio pubblico venga chiamato in soccorso (bail-out).

Le attuali aliquote contributive, come rimodulate dal DDL di bilancio, potrebbero non essere sufficienti a garantire l’equilibrio intertemporale dei bilanci dei Fondi, soprattutto in scenari futuri in cui eventi negativi di vasta portata assumono, dopo la crisi del 2008-2012 e la crisi da COVID-19, probabilità di accadimento superiori rispetto al passato. D‘altro canto, bisogna osservare che il coinvolgimento del bilancio dello Stato, per erogare prestazioni in caso di eventi avversi non fronteggiabili autonomamente dai Fondi, avverrà sicuramente in maniera più ordinata e verificabile quando il sistema delle integrazioni salariali sarà disegnato con copertura universale e la componente affidata alla Bilateralità potrà contare su dotazioni finanziarie proprie.

 

Più spiccia Bankitalia che coglie nel suo documento la questione centrale dell’operazione: Complessivamente, nel confronto con le altre principali economie europee, gli interventi previsti nel disegno di legge di bilancio accentuano il maggiore peso relativo assegnato in Italia agli strumenti di integrazione salariale rispetto agli ammortizzatori in caso di disoccupazione, soprattutto per le risorse aggiuntive destinate alla Cassa integrazione straordinaria. Gli interventi tendono a rafforzare le tutele dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato più che quelle dei lavoratori a termine, nonostante che la crisi pandemica abbia confermato che sono questi ultimi – spesso giovani e donne – a subire le conseguenze più gravi degli episodi recessivi.

 

Più programmatiche le indicazioni della Corte dei Conti: Il potenziamento della copertura offerta dagli ammortizzatori si collega in modo diretto alla necessità di implementare l’attività di formazione e di riqualificazione professionale cui compete un ruolo determinante nei lavoratori che usufruiscono di integrazioni salariali (articolo 65). Tale specifico aspetto la Corte ritiene debba essere considerato centrale rispetto all’impianto generale della riforma poiché si colloca nello snodo cruciale per mettere in collegamento, quanto più possibile, le politiche passive con le politiche attive in tema di lavoro. In tal senso giudica positivamente l’obbligatorietà a partecipare a iniziative formative, anche attraverso i fondi interprofessionali e l’apparato sanzionatorio in caso di mancata partecipazione.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

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