Bollettino ADAPT 2 ottobre 2023, n. 33
Sabato prossimo 7 ottobre avrà luogo la grande kermesse della Cgil programmata da mesi ed organizzata attraverso assemblee territoriali e riunioni delle categorie, di cui il giornale on line Collettiva ha dato puntualmente conto, rendendo testimonianza di un peana collettivo a favore della manifestazione a cui hanno aderito – come cita sempre Maurizio Landini – più di 100 associazioni che evidentemente condividono l’analisi e le proposte della Confederazione di Corso d’Italia. Alla manifestazione aderirà anche il Pd di Elly Schlein che ha invertito il corso della cinghia di trasmissione di antica memoria.
Gli obiettivi della manifestazione sono stati riassunti dal conducator della Cgil: “Il lavoro è precario e sottopagato, i diritti alla salute e alla cura e allo studio non sono più garantiti, la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro peggiorano. Si nega la crisi climatica e si aumentano le spese per armi anziché essere costruttori di pace. E si vuole stravolgere la Carta con l’autonomia differenziata e il presidenzialismo”. Così si leverà dalla piazza un solo grido di dolore che sgorga dall’animo: “Basta precarietà, più salari, rinnovo dei contratti nazionali, fissazione di una quota oraria minima quale salario minimo, una legge sulla rappresentanza che dia validità generale ai contenuti salariali e normativi dei contratti nazionali. E una riforma fiscale degna di questo nome”.
La Grande Marcia sulla via Maestra è solo l’inizio perché Landini ogni volta che apre bocca – anche se deve ordinare un cappuccino al bar, dopo che ha deciso di rifiutarsi in via di principio di ordinare caffè per il prezzo raggiunto dalla tazzina – aggiunge con fare torvo e minaccioso: “Se non vedremo questi cambiamenti nella prossima legge di bilancio, la mobilitazione sarà generale fino allo sciopero generale” che, è sicuro, sarà proclamato quando si conoscerà il disegno di legge di bilancio, poiché neanche Mandrake, se anche lo volesse, sarebbe in grado di dare una risposta a rivendicazioni tanto vaghe nel loro contenuto catastrofico.
Eppure, nei giorni scorsi, la Cisl ha presentato un Documento per un lavoro a misura della persona a cui si aggiunge un Manifesto che riassume gli aspetti più significativi dell’analisi e delle proposte. Fin dalle prime righe si avverte un’aria nuova. Mentre chi ascolta la narrazione della Cgil è indotto a guardarsi attorno e a chiedersi se si trova in un altro paese, troviamo nelle carte della Confederazione di via Po considerazioni che descrivono quella realtà complessa, anche contraddittoria, del mercato del lavoro a cui assistiamo senza riuscire ad imbastire una qualche soluzione. “Dopo il periodo di emergenza economica conseguente alla crisi pandemica, l’Italia – scrive la Cisl – ha mostrato una capacità di ripresa superiore alle attese, reagendo anche alle difficoltà seguite all’invasione dell’Ucraina. Il dato più evidente di questa resilienza è l’aumento dell’occupazione a partire dal secondo trimestre 2021: i valori sono superiori a quelli pre-pandemici, tranne che per il lavoro autonomo”. Ma come è possibile? Eppure la Cisl non organizza il mondo del lavoro di Marte; opera sulle medesime platee di lavoratori a cui si rivolge la Cgil. Non esita tuttavia a leggere in altro modo la realtà: “Diversamente da quanto accaduto all’inizio del 2021, quando, in un contesto caratterizzato da incertezza, cresceva solo il lavoro a termine, dal 2022, con una ripresa consolidata, a migliorare è stato soprattutto il lavoro stabile, spinto anche dalle strozzature nel reperimento delle professionalità’’.
In sostanza, un grande sindacato ammette che nel mercato del lavoro è presente una crisi dell’offerta, in conseguenza degli andamenti demografici e della mancanza delle competenze necessarie. “Infatti – prosegue il Manifesto – mentre in alcuni settori ancora oggi si assiste ad una contrazione dei posti di lavoro, nella maggior parte emerge, al contrario, una carenza di competenze, aggravata dalla demografia avversa. Restano i problemi strutturali del nostro mercato del lavoro, con il primato europeo negativo per l’occupazione femminile, una delle cause della povertà delle famiglie e della denatalità, e l’elevato numero di Neet, i giovani che non studiano e non lavorano.
Per poter affrontare queste sfide occorre saper leggere le trasformazioni – Landini e Bombardieri a questo punto impallidiscono – oltre ogni semplificazione politica e mediatica: la rappresentazione del mercato del lavoro italiano come luogo solo di lavoro precario non corrispondente alla realtà, che è ben più complessa. Al problema della precarietà si è da tempo aggiunta l’emergenza delle competenze, che non solo rischia di diventare un freno alla crescita, ma anche di creare un bacino sempre più largo di lavoratori con professionalità obsolete destinati ad essere relegati nella trappola dei lavori sottopagati, quando non nella disoccupazione. È un fenomeno multidimensionale. L’aumento del numero delle dimissioni sottende una situazione nella quale i lavoratori cercano condizioni lavorative più adeguate e meglio pagate’’. Ma non si era detto che la precarietà dilagava, che dovevano essere aboliti tramite referendum il jobs act e la disciplina del lavoro a termine, seguendo il luminoso esempio della riforma spagnola; che i giovani dovevano rifiutare stipendi di mille euro (senza chiarire se questo importo deriva o meno dall’applicazione delle tabelle contrattuali sottoscritte dai sindacati “buoni” come avviene per il 97% dei dipendenti privati? Come se non bastassero le eresie “sbattute” sul Manifesto la Cisl – sia pure in solitudine e con la disattenzione dei media – sta raccogliendo le adesioni per la presentazione di una proposta di legge (pdl) di iniziativa popolare intitolata “Per una governance d’impresa partecipata dai lavoratori”.
Nel pdl della Cisl, l’ingresso di rappresentanti dei lavoratori in organismi societari non è un modo di proseguire il conflitto con altri mezzi, di portare cioè la lotta nei CdA, bensì un’esperienza di “elevazione del lavoratore a collaboratore dell’impresa, con l’intento di dare progressività alla norma fino a una sua piena evoluzione nella partecipazione”, allo scopo di responsabilizzare i lavoratori nel buon andamento dell’azienda e allo stesso tempo di realizzare “una dimensione del capitalismo in cui il portatore di risorse finanziarie non può prevaricare l’interesse delle persone e della società’’. Come scriveva Bruno Trentin: il percorso “da sfruttati a produttori”. Emerge, nell’iniziativa della Cisl, una visione prospettica, anzi una <via maestra> irta di problemi ostacoli, ma ben diversa da quella funerea e disfattista contenuta nelle predicazioni di altre confederazioni sindacali, prigioniere di una rappresentazione della realtà in cui è negato tutto ciò che non corrisponde ai canoni di una ideologia catastrofista, ostile ad una cultura e ad una politica improntate al riformismo. Diceva Filippo Turati: “la via più lunga è anche la più breve, perché è la sola che esista”.
Membro del Comitato scientifico ADAPT