Bollettino ADAPT 25 gennaio 2021, n. 3
“Goob by Lenin” è un film tedesco del 2003 dove si racconta la vicenda di Christiane, un’attiva militante della Sed, il partito comunista della Germania dell’Est, la quale cade in coma poco prima del repentino crollo del muro di Berlino. Quando si risveglia i figli – preoccupati che la madre subisca un nuovo trauma nello scoprire che il suo mondo è scomparso in una notte e che il paese è finito, poco tempo dopo, nelle mani dei capitalisti – le creano intorno, con tanti accorgimenti di informazione televisiva distorta (con veri e propri telegiornali ad hoc) un contesto inventato di sana pianta, da cui emerge che il socialismo ha trionfato in tutta la Germania e in Europa. Tra i tanti messaggi del film ve ne è uno in particolare: la realtà “percepita” è quella che appare in televisione. Certo, oggi la comunicazione è divenuta più complessa ed insidiosa con la diffusione dei social e le fake news dilagano al punto che i grandi siti web si stanno interrogando su come spurgare la rete senza ledere il diritto d’informazione. Ma veniamo al punto e titolo d’esempio prendiamo il grande tema dell’immigrazione. Su di esso si sono svolte intere campagne elettorali, costruite coalizioni nelle assemblee elettive, effettuate vere e proprie maratone televisive nei talk show, prodotte leggi e regolamenti, scritti libri, saggi, articoli e diffuse dichiarazioni la cui mole farebbe impallidire la biblioteca di Alessandria, scatenate proteste, predisposti blocchi stradali, sollecitate paure ancestrali e quant’altro. Poi d’improvviso il tema è pressoché scomparso. È vero che in inverno si riduce il traffico dei clandestini attraverso il Canale di Sicilia, ma non tanto da divenire una “non notizia”. È molto più vera un’altra considerazione: lontano dagli schermi, scomparso dalla polemica politica il tema si è afflosciato. L’ultima comparsata nel dibattito politico sullo “nero periglio che vien da lo mare” la si è vista quando – dopo molto travaglio ed estenuanti discussioni – il ministro Teresa Bellanova riuscì ad inserire (con qualche lacrima di soddisfazione) nel decreto rilancio del mese di maggio una misura di emersione a favore degli immigrati privi di uno status legale (articolo 103 comma 1 della legge di conversione). Il decreto fu convertito a luglio dello stesso anno; la norma Bellanova diede il destro (queste vicende dovrebbero essere ricordate) ai leader dell’opposizione – al momento di decidere la proroga dello stato d’emergenza – di accusare il governo di voler importare migranti allo scopo di rinfocolare la pandemia ormai spenta e continuare così a garantirsi di rimanere in carica.
Degli esiti della sanatoria si occupa un capitolo (il n.3 a cura di Maurizio Ambrosini, Università di Milano) del XXII Rapporto sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva. Il testo non rinuncia a far notare ciò che dicevamo all’inizio con riguardo la caducità delle polemiche politiche, sempre costrette a cedere il passo ad un’altra successiva e finire nel dimenticatoio. Il 15 agosto si è chiusa, pressoché inosservata – sottolinea il Rapporto – la finestra per la regolarizzazione degli immigrati che avevano trovato lavoro nei settori prima ricordati. Sono state presentate 207.542 domande, poco al di sotto del numero previsto dal governo (220.000). Ben l’85 per cento riguarda il lavoro domestico e di assistenza alle persone in ambito familiare, solo il 15 per cento l’emersione di rapporti di lavoro in agricoltura e attività affini (allevamento, pesca). La Lombardia è la regione da cui proviene il maggior numero di richieste per il settore del lavoro domestico e di assistenza (47.357), mentre al primo posto per il lavoro in agricoltura e settori collegati si trova la Campania (6.962). A livello provinciale ai primi tre posti si collocano Milano (22.122), Napoli (19.239) e Roma (17.318) per le domande per l’emersione del lavoro domestico-assistenziale. Caserta (2.904), Ragusa (2.005) e Latina (1.897), province in cui in questo periodo è più cospicuo l’impiego di manodopera straniera nei campi, capeggiano la graduatoria per l’emersione del lavoro agricolo. Rispetto al paese di provenienza dei lavoratori, ai primi posti risultano l’Ucraina, il Bangladesh e il Pakistan per il lavoro domestico e di assistenza; l’Albania, il Marocco e l’India per il lavoro in agricoltura.
La proposta, ricorda il Rapporto, prese le mosse, nella primavera scorsa, da una scomoda ma impellente constatazione: la previsione di mancanza di braccia per raccogliere la frutta e gli ortaggi dell’agricoltura. I 18.000 immigrati stagionali autorizzati negli scorsi anni dai decreti-flussi, anche sotto la gestione Salvini, nel 2020 non erano arrivati. Gli immigrati disoccupati ma residenti in altre regioni non si potevano spostare, né probabilmente volevano farlo. Gli italiani coperti dal reddito di cittadinanza – è una constatazione del testo che “la dice lunga” – non sono mai apparsi ansiosi di prendere la via dei campi. Non la prendevano prima del 2018, sarebbe stato difficile spingerli a farlo al tempo della pandemia.
Che dire in conclusione? Se lo scopo della manovra di emersione era davvero quello di procurare braccia (legali) alle campagne di raccolta dei prodotti agricoli, l’obiettivo non è stato raggiunto in modo soddisfacente: fin dalle prime settimane dal varo del provvedimento, era apparso evidente che le domande relative al lavoro agricolo rappresentavano una sparuta minoranza del totale. Mentre la grande maggioranza riguardava il lavoro domestico e di assistenza familiare. Del resto, prima ancora della travagliata definizione del decreto governativo, le organizzazioni del settore agricolo avevano fatto sapere che la sanatoria non avrebbe risolto i loro problemi di reperimento di manodopera. Frutto di un travagliato compromesso tra forze politiche che sull’immigrazione mantengono concezioni contrastanti, soffriva di almeno due limiti. Anzitutto, ricalcava l’impostazione delle regolarizzazioni all’italiana: per vedere legalizzato il proprio soggiorno in Italia un immigrato irregolare non solo deve aver trovato un lavoro, ma anche un datore di lavoro disposto ad assumerlo ufficialmente.
La regolarizzazione non è una scelta di tutela delle persone, e neppure un punto di convenienza reciproca, ma una facoltà concessa ai datori di lavoro. Persino in tempi di COVID, quando avrebbe avuto senso – ammette il CNEL – far emergere tutti i presenti per poterli monitorare. Abusi, ricatti, ricorso a datori di lavoro fittizi, non sono altro che la conseguenza perversa di questa impostazione. Il secondo limite si riferiva alla scelta difficilmente giustificabile di ammettere solo i lavoratori di alcuni settori, bocciando tutti gli altri: addetti alle pulizie o fattorini che avevano lavorato per assicurare servizi essenziali durante il COVID sono stati deliberatamente esclusi, tranne coloro che sono riusciti a travestirsi da collaboratori domestici trovando un datore di lavoro compiacente. Tuttavia – certifica il CNEL – sostenere che la sanatoria è fallita perché non ha legalizzato i 600mila immigrati irregolari conteggiati da stime tanto enfatiche quanto fragili, significa non tenere conto della logica e dei limiti della misura di emersione. La sanatoria non aveva affatto l’obiettivo di sradicare l’immigrazione irregolare. Una valutazione diversa e più equilibrata del provvedimento potrebbe tuttavia farsi strada. La carenza di braccia per l’agricoltura ha rappresentato la leva politica per realizzare, in tempi di COVID, una manovra che dovrebbe alla fine conferire uno status legale a circa 200mila persone, dando loro la possibilità di costruirsi un futuro nel nostro paese: un risultato pressoché insperabile, da parte di un governo diviso e di un parlamento largamente ostile agli immigrati. Un risultato simile non si è realizzato in nessun paese dell’UE, tranne in qualche misura in Portogallo. Non è dato sapere se il ministro Bellanova – ipotizza il CNEL – ha agito in modo strategico, usando l’argomento della manodopera agricola per arrivare a questo risultato, ma di fatto l’ha conseguito, sia pure in altre mansioni indispensabili per le famiglie italiane, poiché come è difficile trovare percettori del RdC disposti a lavorare in agricoltura è altrettanto complicato averli a disposizione per assistere ai disabili.
Membro del Comitato scientifico ADAPT