L’Inps ha reso noto il Report 2016 dell’Osservatorio sul precariato. Si tratta – a parte il titolo tendenzioso – di un documento utile ed importante che consente di avere un quadro completo degli andamenti del mercato del lavoro, sotto tutti i possibili angoli di visuale e con riferimento ad ogni aspetto significativo (dal numero dei contratti per tipologia, sesso, età, retribuzione, distribuzione territoriale fino ai rapporti di lavoro più informali ed occasionali e. certamente, anche precari). Richiamiamo, in premessa e in sintesi, un complesso di dati che possono dare l’idea dei trend riscontrati lo scorso anno in presenza di un accenno di crescita economica (+1%) e a fronte del ridimensionamento sul piano economico e normativo, nel 2016, delle agevolazioni a favore delle assunzioni (o delle trasformazioni di rapporti di altro tipo) a tempo indeterminato – previste nella legge di bilancio per il 2015 – che avevano contribuito – sia pure a caro prezzo per i conti pubblici – ad un interessante incremento occupazionale nel corso di quell’anno.
In ogni caso, pur tenendo conto di una frenata nelle assunzioni nel corso del 2016, nel biennio considerato, nel settore privato, si è avuto un saldo positivo di 968mila rapporti di lavoro, a fronte di uno negativo di 135mila unità nel biennio precedente (2013-2014). Quanto al saldo dei contratti a tempo indeterminato esso risulta positivo, nel biennio 2015-2016, per poco più di un milione di unità. Ha raccolto una particolare attenzione l’analisi delle cessazioni per tipologia dei rapporti di lavoro, a proposito delle quali, con specifico riferimento ai licenziamenti, l’Inps avverte – laconicamente – che “ha inciso l’introduzione dell’obbligo delle dimissioni on line”.
In sostanza, contrariamente a quanto verrebbe fatto di credere secondo le narrazioni pauperistiche svolte dai media per quanto riguarda gli effetti della crisi, il numero delle dimissioni supera quello dei licenziamenti. Nel triennio 2014-2015-2016, arrotondando i numeri, i licenziamenti sono stati 1,9 milioni, le dimissioni 2,5 milioni (peraltro obbligate all’esecuzione di procedure specifiche e quindi tutelate contro gli eventuali abusi). E’ interessante osservare – anche perché sono previste regole differenti in caso di recesso del datore – l’ammontare dei licenziamenti e delle dimissioni a seconda del numero di occupati (aziende fino a 15 dipendenti oppure oltre tale limite). Nel 2014, nelle imprese minori, vi sono stati 402mila licenziamenti (329mila per giustificato motivo oggettivo e solo 33mila per motivi disciplinari) a fronte di 493mila dimissioni a cui vanno aggiunte 11mila risoluzioni consensuali. Nelle imprese con più di 15 dipendenti i licenziamenti sono stati 268mila (di cui 197mila per motivi oggettivi e solo 22mila per motivi disciplinari) mentre le dimissioni 338mila (più 19mila risoluzioni consensuali). Nel 2015, nelle imprese con meno di 15 dipendenti, sono stati 402mila i licenziamenti (di cui 330mila i licenziamenti di carattere economico), 536mila le dimissioni (più 11mila risoluzioni consensuali). Nelle aziende che superano quel limite si è trattato di 221mila licenziamenti e 402mila dimissioni (20mila le risoluzioni consensuali).
Nell’anno scorso, nelle piccole imprese vi sono stati 411mila licenziamenti (di cui 341mila avvenuti per giustificato motivo oggettivo) e 444mila dimissioni (più 7.800 risoluzioni consensuali). Nelle aziende più grandi a fronte di 234mila licenziamenti le dimissioni sono state 367mila (22mila le risoluzioni consensuali). E’ interessante vedere il numero delle relazioni consensuali nel triennio: 30.540 nelle piccole imprese, 61.513 nelle aziende con oltre 15 dipendenti (contando i numeri interi). In totale più di 92mila casi. Ciò, presumibilmente, in base a quanto previsto dall’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 22/2015 che stabilisce che la NASpI è riconosciuta oltre che nei casi di licenziamento anche ai lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni per giusta causa e nei casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7 della legge n. 604/1966. Sarebbe curioso approfondire quanti di questi lavoratori entreranno a far parte di qualche coorte di “esodati”.
Nell’Osservatorio sono stati rilevati tutti i rapporti di lavoro attivati nel periodo considerato, anche quelli in capo ad uno stesso lavoratore, con riguardo a tutte le tipologie di lavoro subordinato, incluso il lavoro somministrato e quello intermittente. Nel triennio 2014-2015-2016 sono stati attivati più di 4,5 milioni di rapporti a tempo indeterminato, mentre quelli a termine sono stati 10,5 milioni (questa tipologia di rapporto non teme la concorrenza di altri, ancorché più agevolati). Le assunzioni in apprendistato sono stati in totale 651mila. Il numero più basso (181mila) si è avuto nel 2015 in concomitanza con l’avvio del contratto a tutele crescenti e con l’erogazione, a livello di massima convenienza, del bonus per le assunzioni (che valeva anche per le trasformazioni del contratto di apprendistato).
Membro del Comitato scientifico ADAPT
Docente di Diritto del lavoro UniECampus