Politically (in)correct – Pensione: perché negare l’evidenza?

Bollettino ADAPT 24 febbraio 2020, n. 8

 

Se fossero diffusi e spiegati correttamente i dati statistici dell’età effettiva alla decorrenza del pensionamento, l’opinione pubblica capirebbe di essere stata ingannata; ma terrebbe la scoperta per sé perché in questa materia le bugie sono più confortevoli, nell’immediato, della verità. È la solita storia: lo spettacolo deve continuare. E gli italiani devono continuare a credere in quello che raccontano i talk show e a votare, perché chi accusa le riforme pensionistiche – ed in particolare quella del 2011 – di aver abrogato nei fatti il diritto di andare in quiescenza prima di poter vantare una età veneranda.

 

La figura sottostante è tratta dalla relazione svolta da Antonietta Mundo, nel quadro delle iniziative riguardanti la presentazione, il 12 febbraio scorso, a Roma, del Settimo Rapporto (2020) sul bilancio del sistema previdenziale italiano della Fondazione Itinerari previdenziali.  In un solo colpo d’occhio si possono osservare le variazioni dell’età media effettiva dei pensionamenti di vecchiaia e di anzianità in un arco temporale che va dal 1997 al 2018.

 

Prima di compiere ulteriori valutazioni è opportuno tener presente che, prima del 1997, era entrata in vigore la riforma Dini (legge n.335/1995) che aveva introdotto un requisito anagrafico in graduale aumento per il trattamento anticipato (mentre sulla vecchiaia era già operante il dlgs n. 502 del 1992). Da segnalare poi le correzioni apportate nel 1998 dal governo Prodi; la riforma Maroni del 2004, modificata nel 2007 con una rimodulazione del c.d. scalone; l’accelerazione della parificazione di genere dell’età di vecchiaia; l’aggancio automatico all’attesa di vita; e infine la riforma Fornero del 2011 con le successive modifiche apportate.

 

Poiché il grafico si ferma al 2018 non vengono considerati gli effetti delle deroghe sperimentali contenute nel decreto n.4 del 2019 (ovvero quota 100 e il congelamento fini al 2026 del requisito contributivo per accedere all’anticipo a prescindere dall’età anagrafica).

 

Seguendo il diagramma si trova la traccia di queste modifiche, ma nel complesso il trend è riassumibile anche in termini complessivi. La linea dell’età media di vecchiaia, per esempio, ha una crescita sostenuta ma graduale, mentre quella delle donne subisce non solo delle accelerazioni più nette, accentuate nell’ultimo decennio, ma anche un aumento importante (circa 10 anni) del requisito anagrafico necessario.

 

Per quanto riguarda invece il trattamento anticipato di anzianità sono evidenti i percorsi di crescita sia per gli uomini che per le donne: percorsi che all’inizio del periodo considerato presentato andamenti più irregolari, dipendenti dalle normative che regolano la materia, quasi sempre oggetto di controversie e conflitti, essendo l’istituto dell’anzianità quello più difeso a livello sindacale.

 

Emerge con chiarezza, tuttavia, che l’età media effettiva alla decorrenza – anche dopo alcuni anni di entrata in vigore della riforma Fornero – si attesta, nel 2018, a poco più di 61 e di 60 anni, rispettivamente per uomini e donne.

 

Il testo del Rapporto, che riportiamo di seguito, chiarisce quali relazioni siano intercorse tra le normative di volta in volta in vigore e l’andamento del requisito anagrafico. Nel 1997, per ottenere la pensione di anzianità era sufficiente avere 35 anni di contribuzione e un’età di almeno 52 anni oppure 36 anni di anzianità con qualsiasi età; l’età media alla decorrenza era di 56,5 anni per i maschi e di 54,4 anni per le donne. Nel 2018, con i requisiti di anzianità richiesti per la pensione anticipata di 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, l’età media alla decorrenza si attesta a 61,2 anni per gli uomini e a 60,4 anni per le donne, in media 61,0 anni.

 

Se si considera il complesso della vecchiaia (anzianità, vecchiaia e prepensionamenti) si osserva che nel 2018 l’età media effettiva del pensionamento è di 63,7 anni; nel calcolo di tale età media pesa di più l’età degli uomini, pari a 63,9 anni che quella delle donne di 62,9 anni; quest’ultima età media femminile apparentemente bassa deriva da un graduale innalzamento dei requisiti anagrafici iniziato in modo più incisivo dal 2014, che ha provocato una brusca frenata nel numero delle pensioni di vecchiaia delle donne e il prevalere come via di uscita del canale anzianità (nel 2018 l’età legale delle donne è passata dai 65 anni e 7 mesi del 2017 a 66 anni e 7 mesi e nel 2019 per tutti è diventata 67 anni).

 

Potendo contare quindi su un doppio canale di uscita: la vecchiaia e la pensione anticipata è ovvio che soprattutto gli uomini, che hanno anzianità più elevate e carriere continue, hanno potuto approfittare di questa seconda opportunità, mentre le donne che in genere hanno anzianità basse ed escono per vecchiaia, sono obbligate a lavorare più a lungo in attesa di maturare l’età legale. Nel 2018, il 74,5% del complesso delle pensioni nuove liquidate di vecchiaia e anticipate sono maschili e solo il 25,5% appartengono a donne; nel 1997 il rapporto tra i generi rispetto al totale delle stesse categorie di pensioni era formato dal 69,1% di pensioni nuove liquidate a uomini e dal 30,9% di uscite femminili.

 

Se poi consideriamo insieme all’età media effettiva di pensionamento per vecchiaia o anzianità/anticipata anche quella per invalidità previdenziale, ossia l’età media effettiva di tutte le uscite per pensionamento previdenziale diretto, l’età effettiva di uscita per pensionamento nel 2018 è di 62,6 anni per gli uomini e di 61,0 anni per le donne, con una media dei due generi di 62,2 anni (nel 2017 erano 62,5 anni per gli uomini e 60,8 anni per le donne e una media totale di 62,0 anni).

 

Età media effettiva alla decorrenza delle pensioni INPS di anzianità/anticipata e vecchiaia, per sesso – Serie storica 1997-2018

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

 

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