Politically (in)correct – Pensioni: la montagna partorisce un topolino imbottito di euro

Lo hanno definito un accordo tra Governo e  confederazioni sindacali (e come tale, in un Paese innamorato delle pensioni) ha conquistato i titoli d’apertura di tutti i quotidiani. Ma sul piano tecnico le cose non stanno così. Infatti, come scritto nella  premessa del documento,  sottoscritto il 28 settembre scorso, si tratta di  un verbale  in cui sono sintetizzati “gli elementi di fondo emersi nel corso di una discussione approfondita e circostanziata sulle problematiche aperte in campo previdenziale, una discussione che ha fatto emergere un giudizio articolato da parte dei soggetti del confronto e che per le OO.SS. non esaurisce gli elementi della loro piattaforma’’.

 

Tuttavia,  sul piano politico, si tratta di un evento importante per diversi motivi. Innanzi tutto, per l’ampiezza degli argomenti affrontati sia pure in termini programmatici e suddivisi in una Fase 1 collocata nella sessione di bilancio ed in una Fase 2, con caratteristiche più strutturali,  rinviata ad un confronto successivo.  In secondo luogo, per  gli effetti che il verbale produce nell’ambito d’iniziativa  dei  protagonisti. L’esecutivo, sottoposto da mesi al fuoco incrociato dei demagoghi di ogni risma sul tema delle pensioni, ora ha le spalle coperte dai sindacati (Cgil compresa), mentre le confederazioni sono riuscite a rientrare in una partita per loro decisiva (come quella della previdenza), anche a costo di qualche mediazione.

 

Tutto sommato, ci guadagna anche il Paese, visto che fino ad ora ad orientare l’opinione pubblica in questa delicatissima materia erano soltanto i conduttori dei talk show, che agitavano le pensioni come una clava, al solo scopo di fare audience, anche a costo di avvelenare i pozzi del vivere civile, seminando demagogia ed invidia sociale. Ma il vantaggio è solo questo, perché confermiamo l’avviso per cui le pensioni non sono una priorità nell’attuale fase economica, finanziaria e sociale del Paese. Ci siamo ormai stancati di ripetere che non esiste l’equazione anziano/pensionato = povero; che condizioni di disagio e difficoltà sono molto più diffusi tra i giovani non solo minorenni; che le famiglie di pensionati/anziani si sono difese meglio durante la crisi. Certo, all’interno di una popolazione di 16,3 milioni  di persone (quanti sono i pensionati in Italia), vi sono tanti soggetti e famiglie in condizioni di povertà.

 

A tali situazioni sarebbe stato meglio provvedere, però, attraverso l’apposito disegno di legge delega per il contrasto alla povertà (peraltro collegato alla legge di bilancio del 2016), trasferendo su di esso parte degli stanziamenti (fino ad ora assai vaghi) che saranno destinati alle pensioni. Ed è poi singolare che per molti mesi, in un confronto che era dedicato anche ai temi del lavoro, si sia trattato solo di misure rivolte, direttamene o indirettamente, al sistema pensionistico e quindi ai pensionati e, soprattutto, ai pensionandi (con l’aggiunta del patto neanche troppo segreto tra Governo e sindacati di affidare al Parlamento il varo dell’ottava salvaguardia per i c.d. esodati). Basti pensare ad un dato di fatto inquietante. A torto o a ragione l’incentivo della decontribuzione a favore delle nuove assunzioni è stata una misura importante nel quadro delle politiche economiche dell’esecutivo. Sappiamo che i lavoratori assunti nel 2015 sono coperti fino a tutto il 2018 e che quelli assunti nel 2016 lo sono, per una quota inferiore fino alla fine del 2017.

 

Ma che cosa sarà previsto per coloro che iniziano a lavorare nel 2017?  Non risulta se ne sia parlato, anche se tutti gli osservatori concordano nel ritenere  che la riduzione del cuneo fiscale e contributivo sia una delle principali esigenze della “ditta” Italia.  Passando all’esame dei contenuti, il “pezzo pregiato” è sicuramente l’Ape (l’acronimo di Anticipo pensione) nelle due versioni: volontaria e sociale. L’impostazione è corretta: chi chiede il prestito bancario (l’Ape non è una pensione anticipata) per poter affrontare situazioni di bisogno sue e della sua famiglia potrà disporre – entro certi limiti d’importo del trattamento pensionistico – di agevolazioni fiscali tendenti a rendere gratuite le rateizzazioni ventennali di restituzione del prestito  gravanti sulla pensione dal momento in cui gli sarà liquidata al raggiungimento dei requisiti previsti (ecco l’Ape sociale); chi effettuerà tale scelta per altri motivi  privati dovrà pagarsela (ed è giusto così) anche se potrà contare – comunque – sulla prevista esenzione fiscale del prestito e sulla possibilità di cumularlo con il reddito di un’attività lavorativa.

 

Tutti questi aspetti – il diavolo mette sempre la coda nei dettagli – sono enunciati per ora in termini generici, mentre è totalmente avvolto nel mistero il meccanismo bancario ed assicurativo che dovrà sostenere l’intera operazione. E’ presto, allora, per arrivare a  giudizi conclusivi  necessariamente sommari. In tanti, tuttavia, si sono ingegnati a calcolare la convenienza dell’Ape volontaria – dimenticando il principio delcuius commoda eius incommoda” – mettendola a confronto con le proposte circolate sulla c.d. flessibilità in uscita. Nel fare tale paragone a volte ci si dimentica di sottrarre l’importo delle misure di disincentivo, connesse alle varie ipotesi di flessibilità, di aggiungere quello dell’esenzione fiscale che non opererebbe in caso di pensione anticipata. Ma è ormai irrimediabile la prassi di sparare su ogni  autoambulanza della Croce rossa che si trova a transitare per le vie di questo sventurato Paese.

 

Ci sono, poi, alcune trappole annidate qua e là: in primo luogo nei benefici previsti per i lavoratori precoci ai quali è consentito l’accesso alla pensione con 41 anni di contributi se si tratta  di disoccupati senza ammortizzatori sociali, di persone in condizioni di salute che determinano una disabilità e di lavoratori occupati in alcune attività particolarmente gravose.  Se questi limiti dovessero saltare o divenire troppo ampi, ci sarebbe da temere per i conti pubblici, visto che i c.d. precoci (quanti hanno cominciato a lavorare almeno 12 mesi prima dei 19 anni) sono alcuni milioni. C’è poi la questione del ripristino della gratuità  della ricongiunzione contributiva anche ai fini della  pensione anticipata. Secondo alcune stime nel giro di qualche tempo si arriverebbe ad un onere annuo superiore ad un miliardo. C’è poi la questione dei lavori usuranti, che viene rinviata alla Fase 2. Si tratta di rimettere mano alla disciplina prevista dal dlgs n.67 del 2011, rimasta praticamente inattuata.

 

Ma se si vogliono allargare le fattispecie di tutela occorrerà  incrementare le risorse. Sempre nella Fase 2 è indicato un programma interessante che sembra riguardare l’ordinamento pensionistico delle nuove generazioni (fino ad ora dimenticate): l’introduzione di una “pensione contributiva di garanzia” al fine di salvaguardare i trattamenti medio-bassi.

 

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

Docente di Diritto del lavoro UniECampus

 

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