Bollettino ADAPT 14 giugno 2021, n. 23
Per inserire nella Costituzione il principio dello “sviluppo sostenibile” (agli interpreti “l’ardua sentenza”) non sussiste alcun riguardo a modificare quella Prima Parte della Carta fino ad ora considerata intangibile, a costo di conservare – soprattutto nel titolo dei Rapporti economici – dei veri e propri rottami, come ad esempio l’articolo 39, la cui presenza, inapplicata e inapplicabile per tanti motivi, è un ostacolo che impedisce di regolare – adeguatamente e secondo la realtà materiale sviluppata dal secondo dopoguerra ad oggi – questioni cruciali come la rappresentanza e la rappresentatività sindacale ai fini di un modello “sostenibile” (sic!) di relazioni industriali. Probabilmente, anche l’articolo 38 meriterebbe una ripassata laddove, al comma 2 prescrive che “i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”. Non è casuale che i casi di “invalidità” e “vecchiaia” siano collegati da una congiunzione come se costituissero un unico comparto. Se si dovesse ritoccare l’articolo, non guasterebbe l’aggiunta del concetto di “anzianità”.
Sappiamo bene che il problema non esiste, perché il concetto di anzianità è incluso (in quanto modalità anticipata) in quello più generale di “vecchiaia”, ma questa sottolineatura impropria va perdonata ad una persona, come chi scrive, che ha dedicato metà della vita a denunciare nelle norme sui trattamenti il “vizio assurdo” del sistema pensionistico italiano. Si ha un’ulteriore prova del prevalere del pensionamento anticipato, in una Appendice dell’utilissimo Rapporto di coordinamento della finanza pubblica per il 2021 della Corte dei Conti, dove sono esposti i dati relativi al complesso delle pensioni previdenziali vigenti all’1.1.2021, distinte per categoria di pensione e gestione di appartenenza.
Numero
Il complesso delle pensioni di natura previdenziale vigenti all’1.1.2021 è di circa 16,8 milioni. Di queste, 13,8 milioni (82 %) sono a beneficio dei lavoratori del settore privato e 3,0 milioni (18%) dei dipendenti pubblici.
Le categorie di pensione vigenti comprendono le pensioni anticipate e di anzianità, quelle di vecchiaia e i prepensionamenti, le pensioni di invalidità previdenziale e le pensioni ai superstiti.
Si nota immediatamente che le pensioni di anzianità/anticipate rappresentano l’aggregato di maggior peso (38 %); le pensioni di vecchiaia/prepensionamenti acquisiscono il 30 % del totale mentre le pensioni ai superstiti mostrano una incidenza sul totale del 26 %; il 6 % residuale è assorbito dalle pensioni di invalidità previdenziale.
Nell’ambito delle pensioni vigenti pagate ai dipendenti pubblici, il 59 % è erogato dalla C.T.P.S. – Cassa trattamenti pensionistici dei dipendenti dello Stato mentre il 38 per cento dalla C.P.D.E.L. – Cassa Pensioni Dipendenti Enti Locali.
Nel settore privato, il 57 % del totale è pagato ai pensionati iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti (FPLD), il 33 % alle gestioni dei lavoratori autonomi (Artigiani, Commercianti, Coltivatori diretti, coloni e mezzadri) e circa il 4 % ai parasubordinati.
Tale visione aggregata – sottolinea il Rcfp – nasconde alcune particolarità, che si riassumono di seguito:
a) Alla predominanza della categoria di pensionati di anzianità contribuisce la forte partecipazione dei dipendenti pubblici al totale.
b) Le pensioni vigenti pagate ai dipendenti pubblici sono, infatti, per il 58 % assorbite dalla categoria anzianità, mentre per i dipendenti privati tale canale di pensionamento è perfettamente equilibrato con quello di vecchiaia (33 per cento per ciascuna categoria).
c) Nel settore privato, in relazione alle pensioni di anzianità, si rileva peraltro una maggiore incidenza nella Gestione degli artigiani, per i quali oltre il 42 per cento delle pensioni vigenti proviene da un pensionamento anticipato. Decisamente sopra la media sono le pensioni di anzianità vigenti per gli istituti della totalizzazione e del cumulo, rispettivamente 49 e 58 % del rispettivo totale.
d) le pensioni vigenti, per la categoria anzianità, nel caso dell’istituto del cumulo presentano una forte variazione interna: erano il 43 % all’1.1.2019 (ora 57 %). Tale variazione è presumibilmente associata alla estensione normativa apportata con la Legge di Bilancio 2017 in combinazione con l’introduzione del canale di pensionamento Quota 100, che ha presentato una forte adesione da parte degli optanti al predetto istituto.
e) La quota di pensionamento per vecchiaia dei dipendenti pubblici è minima: 14 % del totale, inferiore alle pensioni ai superstiti che valgono il 21 % del totale; nel settore privato tale ultima percentuale è pari al 26 %.
f) Ne discende che la discriminante principale fra settore pubblico e privato è l’età di accesso all’impiego, ovvero di effettivo inizio del versamento dei contributi. Tale aspetto determinerà anche il divario delle pensioni mediamente percepite che si registra fra pubblico e privato, come evidenziato nella successiva analisi sull’importo medio.
Importo medio
L’importo medio mensile delle pensioni vigenti è complessivamente pari a 1.218 euro, con elevate differenziazioni fra pensionati del settore pubblico e pensionati del settore privato e, all’interno di tali aggregati, altrettanto forti disomogeneità si presentano in base alla categoria di pensione percepita.
a) Le pensioni di vecchiaia pagate agli ex dipendenti pubblici presentano un importo medio superiore a quelle di anzianità, rispettivamente 2.280 euro e 2.165 euro. Il pensionato pubblico, infatti, vanta in ogni caso una elevata anzianità contributiva/retributiva, tale da consentirgli un trattamento di vecchiaia particolarmente elevato. Tale caratteristica – attribuibile alla C.T.P.S. per la sua numerosità – si riscontra anche nella Casse “minori”: C.P.U.G. e C.P.S. Il numero dei trattamenti di vecchiaia è di circa 430mila contro 1,7 milioni anticipati.
b) Nel settore privato, si osserva una situazione eterogenea.
– Con riferimento alla Gestione di appartenenza, infatti, le categorie numericamente più rilevanti (FPLD e le gestioni dei lavoratori autonomi) mostrano un rapporto fra pensione di vecchiaia e pensione anticipata che oscilla fra il 40% dell’FPLD al 60 % dei pensionati della gestione CDM (Coltivatori diretti, coloni, mezzadri).
– La pensione di anzianità nella gestione numericamente più rilevante, l’FPLD, si mantiene al di sotto senz’altro di quella mediamente percepita da un dipendente pubblico (1.883 euro e 2.165 euro), in virtù di più bassi livelli retributivi anche se non va esclusa la possibilità di un ampio ricorso alle normative di pensionamento in deroga succedutesi negli anni, di cui hanno maggiormente beneficiato i lavoratori del settore privato.
– I lavoratori autonomi (in pensione) percepiscono una pensione di anzianità decisamente al di sotto della media della categoria nel settore privato, con valori che vanno dal 50 % per i CDM all’80 % per artigiani e commercianti. In valore assoluto oscillano tra 942 e 1.455 euro.
– Le gestioni che si raggruppano nei “Fondi sostitutivi” (ex FF.SS, Volo, Dazieri, IPOST, Spedizionieri doganali, Spettacolo, Sport) e “Fondi integrativi” (settori Gas, Esattoriali, Minatori) presentano pensioni di anzianità anche superiori a quelle dei pensionati pubblici. Anche nel settore privato esistono pertanto settori con pensioni fortemente al di sopra della media.
– Spiccano, anche, i valori presentati per le pensioni di anzianità in regime di totalizzazione e cumulo (rispettivamente 2.068 e 2.498 euro).
Nell’insieme del sistema la differenza è vistosa. Al 1° gennaio 2021 le pensioni anticipate sono 6.425.961 contro 4.897.516 di vecchiaia.
Come abbiamo ribadito più volte non è paradossale che l’importo medio delle pensioni di vecchiaia sia più elevato, nel pubblico impiego, di quello dei trattamenti anticipati. Il motivo si spiega perché i dipendenti pubblici che attendono di maturare l’età della cessazione dal servizio per andare in quiescenza vantano di solito un’anzianità lavorativa e assicurativa più lunga. Nel lavoro privato succede l’esatto contrario: quelli che, generalmente, vanno in pensione di vecchiaia (ad un’età più elevata come stabilisce la legge) dispongono di un’anzianità contributiva non sufficiente per conseguire la pensione anticipata, quasi sempre di poco superiore al requisito minimo di 20 anni. Il loro trattamento economico risulta inferiore per questo specifico motivo, ben comprensibile in via di fatto. Peraltro, non è prevista – se non indirettamente per la quota contributiva nel sistema misto che viene ragguagliata a coefficienti di trasformazione in ragione dell’età del pensionamento – alcuna penalizzazione economica per chi anticipa la quiescenza.
Membro del Comitato scientifico ADAPT