È all’esame delle commissioni parlamentari, tenute a dare il parere di competenza obbligatorio ma non vincolante, lo schema di decreto legislativo recante modifiche e integrazioni al testo unico del pubblico impiego, di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165. Si tratta di un provvedimento complesso che ha richiesto una lunga elaborazione, che ha dovuto superare, in una prima versione, una sanzione di carattere istituzionale da parte della Consulta (attinente ai rapporti con il sistema delle Regioni) divenuta ancor più pregnante, adesso, alla luce della bocciatura della legge Boschi.
Ci sono dunque tanti aspetti che meriterebbero un approfondimento. Tenendo conto del tentativo che il governo sta compiendo, di fronte all’opinione pubblica, di mostrare la faccia feroce nei confronti dei c.d. fannulloni (come se tutti i travet lo fossero) intendiamo limitare l’esame al delicato capitolo delle sanzioni disciplinari che sono la premessa della risoluzione del rapporto del lavoro o (per la loro natura “conservativa”) la condizione per cui il rapporto di lavoro possa proseguire dopo l’avvenuta “riparazione” di una violazione di un certo rilievo dei doveri e degli obblighi del dipendente.
È noto che la materia è ampliamente disciplinata dall’articolo 55-bis del dlgs n.165/2001 (e successive modificazioni). Bene. Lo schema Madia introduce parecchie novità soprattutto per quanto riguarda le procedure a cui è sottoposto il procedimento sanzionatorio, nel tentativo di introdurre una sostanziale semplificazione. Vediamone i principali aspetti. Vi è innanzi tutto un’attribuzione di funzioni. Mentre per le infrazioni di minore gravità, per le quali è prevista l’irrogazione della sanzione del rimprovero verbale (secondo quanto disposto dal ccnl), il procedimento disciplinare è di competenza del responsabile della struttura presso cui presta servizio il dipendente (ci mancherebbe altro!) per le infrazioni punibili con una sanzione superiore, ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento e nell’ambito della propria organizzazione, individua l’ufficio per i procedimenti disciplinari competente e ne attribuisce la titolarità e responsabilità. È altresì consentito alle amministrazioni di stipulare delle convenzioni non onerose per “la gestione unificata delle funzioni dell’ufficio competente per i procedimenti disciplinari”. Il che lascia molto perplessi dal momento che l’esercizio del potere sanzionatorio dovrebbe in qualche modo esprimersi anche sulla base di un minimo di intuitus personae del dipendente da sanzionare.
Si passa poi alla procedura: il responsabile della struttura dove presta servizio il dipendente segnala immediatamente, e comunque entro dieci giorni, all’ufficio competente per i procedimenti disciplinari i fatti ritenuti di rilevanza sanzionatoria di cui abbia avuto conoscenza. L’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari, con immediatezza e comunque non oltre trenta giorni decorrenti dal ricevimento della predetta segnalazione, ovvero dal momento in cui abbia altrimenti avuto piena conoscenza dei fatti ritenuti di rilevanza disciplinare, provvede alla contestazione scritta dell’addebito e convoca l’interessato, con un preavviso di almeno venti giorni, per l’audizione in contraddittorio a sua difesa.
Il dipendente ha diritto all’accesso agli atti istruttori e può farsi assistere da un procuratore ovvero da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. In caso di grave ed oggettivo impedimento, ferma la possibilità di depositare memorie scritte, il dipendente può richiedere che l’audizione a sua difesa sia differita, per una sola volta, con proroga del termine per la conclusione del procedimento in misura corrispondente.
Vista la dilatazione dei tempi e dei termini (saranno poi ritenuti ordinatori od obbligatori?) è prevista una sorta di norma di chiusura: l’ufficio competente conclude il procedimento, con l’atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione, entro novanta giorni dalla contestazione dell’addebito, dandone altresì comunicazione all’Ispettorato per la funzione pubblica.
Vi sono poi le disposizioni sulle diverse modalità di comunicazione al lavoratore, a cui sono riconosciute altre garanzie qualora intervengano modifiche della sua condizione lavorativa. In caso di trasferimento del dipendente in pendenza di procedimento disciplinare, l’Ufficio per i procedimenti disciplinari che abbia in carico gli atti provvede alla tempestiva trasmissione al competente Ufficio disciplinare dell’amministrazione presso cui il dipendente è trasferito. In tali casi il procedimento disciplinare è interrotto e dalla data di ricezione degli atti da parte delI’Ufficio disciplinare dell’amministrazione presso cui il dipendente è trasferito decorrono nuovi termini per la contestazione dell’addebito o per la conclusione del procedimento.
Nel caso in cui l’amministrazione di provenienza venga a conoscenza dell’illecito disciplinare successivamente al trasferimento del dipendente, la stessa Amministrazione provvede a segnalare immediatamente e comunque entro venti giorni i fatti ritenuti di rilevanza disciplinare all’Ufficio per i procedimenti disciplinari dell’amministrazione presso cui il dipendente è stato trasferito e dalla data di ricezione della predetta segnalazione decorrono i termini per la contestazione dell’addebito e per la conclusione del procedimento. Gli esiti del procedimento disciplinare vengono in ogni caso comunicati anche all’amministrazione di provenienza del dipendente.
La cessazione del rapporto di lavoro estingue il procedimento disciplinare salvo che per l’infrazione commessa sia prevista la sanzione del licenziamento o comunque sia stata disposta la sospensione cautelare dal servizio. In tal caso le determinazioni conclusive sono assunte ai fini degli effetti giuridici ed economici non preclusi dalla cessazione del rapporto di lavoro. Considerando i tempi non brevi (è un eufemismo il nostro!) previsti dalle procedure, il Governo nello schema si preoccupa che, in diversa sede non ne siano aggiunte delle ulteriori, e stabilisce la nullità delle eventuali disposizioni di regolamento, delle clausole contrattuali o delle disposizioni interne, comunque qualificate, che dispongano per l’irrogazione di sanzioni disciplinari requisiti formali o procedurali ulteriori rispetto a quelli indicati nello schema o che comunque aggravino il procedimento disciplinare. Qualora, poi, la sanzione disciplinare, incluso il licenziamento, sia annullata in sede giurisdizionale per violazione del principio di proporzionalità, l’amministrazione può riaprire il procedimento disciplinare (ovviamente per irrogare una sanzione più lieve), rinnovando la contestazione degli addebiti entro sessanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza con integrale nuova decorrenza dei termini previsti per la conclusione dello stesso.
Ciò premesso, dobbiamo sottolineare che la nuova disciplina è molto ricca e prevede anche regolamentazioni particolari per situazioni specifiche. Ma, ai fini del ragionamento che interessa ad una rubrica “politically(in)correct”, possiamo fermarci a questo punto per fare qualche considerazione. E una domanda. Ma dove sta il pugno di ferro con cui la botticelliana Marianna Mania vuole riportare ordine e disciplina negli uffici pubblici, quando chi commette un’infrazione a Pasqua – se gli va storta – viene sanzionato a Natale? Eppure a cercarla la risposta c’è. Eccola: “La violazione dei termini e delle disposizioni sul procedimento disciplinare previste dagli articoli da 55 a 55-quater, fatta salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall’azione disciplinare né l’invalidità degli atti e della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente e le modalità di esercizio dell’azione disciplinare, anche in ragione della natura degli accertamenti svolti nel caso concreto, risultino comunque compatibili con il principio di tempestività”. In sostanza, nel caso in cui le amministrazioni non si attengano alla Pandette procedurali, non succede niente a meno che non risulti irrimediabilmente (sic!) conculcato il diritto di difesa del dipendente. In sostanza la procedura potrebbe restare aperta per un tempo indefinito (come vorrebbero fare i pm ultras con la prescrizione). Per banali ragioni di inefficienza le amministrazioni pubbliche (come la giustizia) non sono in grado di rispettare (per quanto ampi) i termini di legge per l’esercizio dei poteri (rispettivamente disciplinare e giurisdizionale) loro conferiti. Così pretendono di non tenerne conto. Arriviamo di seguito alla considerazione finale. Non sarebbe stato più corretto prevedere che, pure nel pubblico impiego, venisse applicato quanto previsto dall’articolo 7 (e successive modificazioni) dello Statuto dei lavoratori e rispettarne, poi, le regole e i termini, anziché fare – come nello schema – i liberali a Roma e i papalini in provincia?
Membro del Comitato scientifico ADAPT