Bollettino ADAPT 17 luglio 2023, n. 27
Quanti, tra i lettori del Bollettino ADAPT, hanno avuto la pazienza e la cortesia di seguire questa rubrica avranno notato che l’autore nutre parecchie perplessità (strada facendo si sono trasformate in criticità soprattutto alla luce del recente progetto di legge/Pdl delle opposizioni) sull’introduzione di un salario minimo legale orario a valere per tutti i lavoratori. Dovrei compiacermi, dunque, del fatto che la proposta non è riuscita a stare in ballo neppure per l’estate, visto che l’emendamento soppressivo, presentato dalla maggioranza al testo base in discussione in Commissione Lavoro alla Camera, ne determinerà la caduta dopo un breve tragitto di strada. Ma da osservatore del dibattito in materia di lavoro, credo che i partiti presentatori del Pdl abbiano commesso clamorosi errori ed abbiano quindi una significativa parte di responsabilità nell’aver collocato la questione del salario minimo su di un binario morto. Ricapitoliamo quanto accaduto nel corso delle due settimane che intercorrono tra la nascita e la morte prematura del progetto di legge.
La maggioranza, fin dal dicembre scorso, aveva approvato in Aula alla Camera una risoluzione nella quale venivano ribadite valutazioni molto chiare in proposito e coerenti con una visione innovativa nel campo delle relazioni industriali: “occorre sottolineare come l’introduzione di una retribuzione minima potrebbe avere un effetto inflazionistico sul mercato dal momento che le imprese potrebbero riversare i maggiori costi del lavoro sui consumatori finali, determinando così un ulteriore aumento dei prezzi dei prodotti dalle stesse commercializzati; piuttosto che intervenire sui salari – proseguiva – si ritiene che la contrattazione collettiva andrebbe implementata puntando a quella di prossimità. Quest’ultima, in particolare – concludeva – rappresenta uno strumento utile proprio per la propria flessibilità, in un mercato del lavoro oggi più che mai dinamico, dal momento che offre alle imprese la possibilità di adeguare alcuni istituti normativi e contrattuali, entro limiti prestabiliti, alle condizioni e alle specifiche esigenze delle diverse realtà aziendali”. I concetti espressi in questa risoluzione a me parvero – rispetto alle posizioni sostenute dalle OO.SS. – tanto innovativi da dubitare che fossero farina del sacco del governo.
Sul fronte opposto l’introduzione del salario minimo legale aveva trovato posto in tutti i programmi elettorali delle forze politiche divenute di opposizione dopo il 25 settembre. E soprattutto, per la sua configurazione e i suoi obiettivi, era divenuto la principale rivendicazione del nuovo gruppo dirigente (“antipartito”) del Partito democratico, in cordata con il M5S che dopo aver preteso di abolire la povertà con il RdC, si apprestava a cancellare il lavoro povero con lo Smic. È successo allora che nei primi giorni di luglio la medesima coalizione (Pd, M5S, AVS, Azione senza IV) clamorosamente sconfitta nelle elezioni regionali del Molise si sia ritrovata su di un testo di legge sul salario minimo, i cui contenuti sono noti, perché da allora si è riaperto con grande intensità quel dibattito, smorzato dalla pandemia nel 2019. I grandi giornali d’area (i talk show hanno chiuso per ferie) si sono lanciati a pancia a terra a sostegno della proposta che aveva unito le opposizioni.
Ma è a questo punto che la gatta frettolosa ha partorito i gattini ciechi. I regolamenti parlamentari riconoscono alle minoranze di proporre dei progetti di loro scelta perché siano calendarizzati e discussi nelle sedi competenti. Questa indicazione è stata data per il Pdl sul salario minimo presentato dal fronte delle opposizioni. Così, per bruciare i tempi hanno finito anche per bruciare il Pdl. Alla maggioranza è bastata l’applicazione del regolamento. Grazie all’astensione dei deputati di destra in Commissione, la proposta delle opposizioni è divenuta il testo base su cui presentare gli emendamenti. La maggioranza ha presentato e voterà un emendamento soppressivo; e si toglierà il pensiero. Sic transit gloria mundi. Non ci voleva molto a capire che seguendo questo percorso l’opposizione offriva il collo alla mannaia della maggioranza, che non si sarebbe certo “ravveduta” per garantire un successo politico degli avversari. Peraltro da qui alle prossime elezioni europee, diventerà molto difficile usare quest’argomento contro la maggioranza, anche perché la realtà è spietata nell’archiviare i problemi che fino a poco tempo prima erano al centro di polemiche accanite.
Chi parla più delle modifiche al RdC? Peraltro il momento della verità anche per lo Smic sarebbe arrivato con la legge di bilancio. Al di là dei giudizi di merito, il tema è e rimane serio, anche perché la direttiva europea è operante da dicembre. A sostenere il progetto si erano associati sia la Cgil che la Uil, le quali avrebbero avuto un motivo per quella “mobilitazione” che i loro leader infilano in ogni discorso, anche quando ordinano un cornetto e un cappuccino al bar; si erano mobilitate le cordate dei giuslavoristi con doviziosi articoli sulle riviste giuridiche. In sostanza, le opposizioni avevano una sola carta da giocare; è stato un errore sprecarla per troppo fretta, anche perché non riusciranno mai a ritrovarsi unite su di un progetto più mobilitante di questo. La stessa Confindustria aveva lasciato intravvedere delle aperture che meritavano di essere esplorate, perché un’intesa tra le parti avrebbe favorito anche la via legislativa, come è avvenuto in tanti altri casi. Ma le battaglie si perdono anche per errori soggettivi. Del resto, è sufficiente una considerazione per capire che le intenzioni sul salario minimo appartenevano alla propaganda. Sabato, mentre era ormai evidente che il Pdl unitario aveva le ore contate, il Pd ha manifestato a Napoli contro l’autonomia differenziata. Alla faccia dell’attualità.
Membro del Comitato scientifico ADAPT