Politically (in)correct una rubrica ADAPT sul lavoro – Che fine ha fatto la tutela previdenziale dei lavori usuranti?

Innanzi tutto, che cosa sono i lavori usuranti e quale è la disciplina applicabile sul versante previdenziale? Come riconoscere requisiti più favorevoli, per il conseguimento della pensione, a quei lavoratori adibiti a mansioni di particolare disagio, consentendo agli interessati di anticipare, in modo ragionevolmente congruo, i limiti della quiescenza? Tutte le riforme dal 1992 in poi (almeno fino a quando il problema non ha trovato una soluzione nella legge n. 183/2010) hanno sempre previsto delle norme rivolte a disciplinare tale fattispecie, la quale è entrata, quindi, a far parte, da tempo e a pieno titolo, dell’ordinamento previdenziale.

 

Nella legge Amato del 1992 venivano salvaguardati dei limiti di età pensionabile più ridotti (rispetto a quelli canonici di vecchiaia: 65 anni per gli uomini e 60 per le donne) in ragione dell’attività svolta per gli appartenenti alle Forze Armate e di Polizia nonché per i Vigili del Fuoco, gli iscritti al Fondo Volo, il personale viaggiante FS ed autoferrotranvieri, i lavoratori dello spettacolo, gli sportivi e gli allenatori professionisti.

 

Nel caso di lavorazioni esposte all’amianto viene applicata – con riferimento agli aspetti pensionistici – una disciplina specifica (che riduce il requisito contributivo con criteri di proporzionalità rispetto agli anni di esposizione) operante anch’essa dal 1992 e in seguito rivisitata in termini più restrittivi. Tornando ai lavori usuranti, la materia è stata regolata – citiamo solo gli atti principali – dal d.lgs. n. 374/1993 e dalla Circolare interministeriale del 19 maggio 1999 (che aveva recepito le indicazioni di una commissione tecnico-scientifica istituita dalla legge n. 449/1997), dall’articolo 78 della legge n.388/2000, la Finanziaria per il 2001. La relativa tutela prevista (ampiamente rivisitata in seguito dalla legge n. 335/1995) si applicava tanto ai dipendenti, privati e pubblici, quanto agli autonomi e consisteva nell’anticipo dell’età pensionabile in ragione di un anno ogni dieci di occupazione in attività usuranti fino ad un massimo di 24 mesi.

 

Per le pensioni liquidate solo col metodo contributivo, i vantaggi previsti erano ancora maggiori: il lavoratore poteva scegliere l’applicazione del coefficiente di trasformazione corrispondente all’età anagrafica all’atto del pensionamento, aumentato di un anno ogni sei di lavoro usurante; oppure poteva utilizzare tale periodo per l’anticipazione dell’età pensionabile fino al massimo di un anno rispetto al normale accesso. Nel caso di lavori particolarmente usuranti (già individuati dal d.lgs. n. 374/1993 nel lavoro notturno continuativo, alle linee di montaggio, con ritmi vincolati, in cave, galleria, serra, spazi ristretti, ecc.) erano ridotti fino ad un anno anche i requisiti di età anagrafica della pensione di anzianità. Per questi ultimi casi, contraddistinti da particolari condizioni di disagio, intervenne – una tantum e nei limiti di uno stanziamento di 250 miliardi di vecchie lire – la Finanziaria del 2001, permettendo ad oltre 6mila lavoratori, adibiti a mansioni particolarmente usuranti, di avvalersi degli sconti previsti (si veda la Circolare Inps n. 115 del 25 maggio 2001). L’unica “zona grigia” rimasta, dunque, era quella relativa alla definizione dei lavori (non particolarmente) usuranti.

 

Nel Memorandum del settembre 2006 sottoscritto da sindacati e Governo, che precedette, tracciandone il perimetro, l’accordo del 23 luglio 2007, all’argomento fu dedicato solo un cenno, laddove si parlava del prolungamento della vita attiva “tenendo conto delle attività maggiormente usuranti” (la scelta dell’avverbio presupponeva un preciso indirizzo politico). Queste norme rimasero sempre inapplicate. La spiegazione di ciò va cercata nelle modalità di copertura (indicate dalla normativa) consistente nell’individuazione di un’aliquota contributiva aggiuntiva, definita secondo criteri attuariali e raccordati all’anticipo di età pensionabile. Si poneva, pertanto, un problema di maggior costo del lavoro, un problema che le parti sociali hanno sempre preferito evitare.

 

Dopo 15 anni di prediche inutili, di norme rimaste sulla carta, questa problematica è venuta in evidenza durante il negoziato del luglio 2007, in pratica come contrappeso all’elevazione dell’età pensionabile di anzianità (che pur veniva rimodulata in termini di maggiore gradualità rispetto alle regole del c.d. scalone della riforma Maroni). Inoltre, nella trasformazione del testo del protocollo del 23 luglio 2007 in norma del disegno di legge delega n. 3178 dell’ottobre dello stesso anno dapprima, nella l. n. 247 poi, fu soppresso il riferimento, contenuto nel protocollo di luglio, a 5mila pensioni all’anno, (anche se questo numero fu preso come riferimento per lo stanziamento della relativa copertura finanziaria). I soggetti abilitati ad avvalersi del pensionamento anticipato (fino a tre anni in meno) erano quelli appartenenti alle seguenti categorie: con uno stanziamento di 2,52 miliardi su di un apposito Fondo:

 

a)      lavoratori che svolgono le attività particolarmente usuranti previste dal dm 19 maggio 1999 (ovvero le tipologie già individuate in precedenza e che esaurivano la platea dei possibili aventi diritto;

b)      lavoratori notturni come definiti dall’articolo 1, comma 2, lettera e) del d.lgs. n. 66/2003 (riforma orario di lavoro);

c)      lavoratori addetti alla catena di montaggio;

d)     conducenti di mezzi pubblici pesanti per trasporto di persone.

 

Venne disposto, contestualmente, uno stanziamento di 2,52 miliardi su di un apposito Fondo nell’arco di un decennio. Ma anche questa non era la volta buona per arrivare a capo della questione. Allo scopo di riassumere i termini generali della vicenda, è appena il caso di ricordare che la l. n. 247/2007, all’articolo 1, comma 3, aveva previsto una delega legislativa, da esercitare entro tre mesi dall’entrata in vigore della medesima legge, volta a concedere ai lavoratori dipendenti impegnati in lavori o attività connotati da un particolare indice di stress psico-fisico, che maturassero i requisiti pensionistici a decorrere dal 1° gennaio 2008, la possibilità di accedere anticipatamente al trattamento pensionistico.

 

In attuazione della menzionata delega di cui alla l. 247/2007, all’inizio del 2008, venne predisposto e trasmesso alla Camera e al Senato, ai fini dell’espressione del parere, lo schema di decreto legislativo recante “Disposizioni in materia di accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti” (atto n. 238), volto appunto a consentire ai lavoratori subordinati addetti a lavori particolarmente faticosi e pesanti (c.d. “attività usuranti”) di accedere anticipatamente al pensionamento, con requisiti inferiori e modulati fino a tre anni rispetto a quelli previsti per la generalità dei lavoratori dipendenti.

 

Su tale schema di decreto legislativo la XI Commissione della Camera espresse un parere favorevole con osservazioni in data 1° aprile 2008, mentre la XI Commissione (Lavoro e previdenza sociale) del Senato, pur avendo avviato l’esame del provvedimento, non espresse il parere entro la scadenza del termine. Così, il termine finale per l’esercizio della delega (30 maggio 2008) venne a scadenza – nel frattempo era cambiato il Governo – senza che tale decreto legislativo fosse stato definitivamente emanato.

 

Il nuovo governo di centro destra fissò la riapertura dei termini in un articolo del c.d. collegato lavoro (A.C. 1441 del 2008). Mal gliene incolse, perché quel provvedimento incappò in tante traversie da richiedere ben 27 mesi e 7 letture per la sua approvazione (con legge 4 novembre 2010 n. 183). Alla fine, venne varato anche il decreto legislativo attuativo (n. 67 del 2011) sostanzialmente identico a quello elaborato nella primavera del 2008. La norma, inoltre, disponeva che, nella specificazione dei criteri per la concessione dei benefici pensionistici in questione, dovesse essere assicurata la coerenza con il limite massimo delle risorse finanziarie di nello specifico Fondo, la cui dotazione finanziaria era pari a 83 milioni di euro per l’anno 2009, 200 milioni di euro per l’anno 2010, 312 milioni di euro per l’anno 2011, 350 milioni di euro per l’anno 2012, 383 milioni di euro a decorrere dall’anno 2013.

 

I lettori chiederanno perché abbiamo voluto raccontare – sia pure per sommi capi – questa storia di “ordinaria previdenza”. Molto semplice. Secondo un documento della Ragioneria generale dello Stato “il cavallo non beve”: le risorse destinate al finanziamento del Fondo dedicato ai trattamenti pensionistici dei lavoratori usurati non si spendono da anni, tanto da aver assicurato un “risparmio” di ben 1,4 miliardi. Pertanto, visto che l’esperienza concreta ci conferma che i lavori usuranti esistono, ciò significa che i requisiti previsti non consentono l’accesso al bonus previdenziale, consistente in un anticipo dell’età pensionabile. Su tale circostanza ha influito sicuramente l’ampia rivisitazione della materia attuata dalla riforma Fornero (legge n.214 del 2011).

 

Tale legge non si è limitata soltanto ad anticipare al 1° gennaio 2012 (rispetto al 2013) l’entrata in vigore del d.lgs. n.67, ma ne ha attenuato anche i benefici, prevedendo che, dal 2012, i lavoratori c.d. usurati (che in precedenza potevano usufruire di uno “sconto” sull’età pensionabile fino a tre anni) possono andare in quiescenza con una quota (anzianità + età anagrafica) pari a 96 (età non inferiore a 60 anni), mentre dal 2013 la quota è salita a 97 (con un’età minima non inferiore a 61 anni). È rimasta, inoltre, confermata la c.d. finestra mobile per cui l’erogazione del trattamento pensionistico slitta di ulteriori 12 mesi.

 

In sostanza, un meccanismo che – per le stesse caratteristiche esistenziali e professionali dei soggetti interessati – poggiava essenzialmente sul pensionamento di anzianità (l’anticipo prendeva a riferimento i requisiti necessari per accedere a questa tipologia) è crollato insieme al superamento dell’istituto. Sarà bene allora riconsiderare la materia nel suo insieme per non continuare a impiegare risorse in un “fantasma pensionistico”. Tuttavia, anche le norme contenenti requisiti più severi di cui alla l. n. 214/2011 non giustificano uno “zero assoluto” alla voce lavori usuranti.

 

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

Docente di Diritto del lavoro UniECampus

 

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