Politically (in)correct una rubrica ADAPT sul lavoro – Esodati e dintorni

Nei giorni scorsi, il kombinat delle pensioni è stato percorso dal brivido di una febbre malarica antica. Qualcuno ha provato a rimettere in scena la commedia (o la farsa?) dei c.d. esodati che tanto fecero parlare di sé nella passata legislatura. È bene ricordare, a tal proposito, che – grazie a ben sei interventi di salvaguardia che comporteranno, a regime, un onere di circa 12 miliardi – circa 170 mila persone potranno, alle diverse scadenze, andare in quiescenza sulla base dei requisiti in vigore prima della riforma Fornero del 2011.

 

Si è scoperto, con grande raccapriccio dei “difensori della fede”, che ben 500 milioni delle risorse, generosamente stanziate a favore degli esodati, non sono stati spesi e quindi, come prevedono le regole della contabilità, sono finiti “in economia” nelle casse del Tesoro. Così è ri-sorto un problema che, negli ultimi tempi, sembrava essere stato archiviato, nonostante che vi fossero pressanti richieste per una settima salvaguardia.

 

Nell’agitazione che ha accompagnato la notizia, nessuno si è dato cura di spiegare ciò che è accaduto veramente. Proviamo – si parva licet – a farlo noi. Man mano che si va avanti nell’applicare il programma delle salvaguardie si scopre che gli esodati (in grado di far valere requisiti corrispondenti a quanto richiesto dalle leggi) sono meno di quelli stimati e previsti. Non a caso, la sesta misura di salvaguardia, nel 2014, è stata possibile grazie ai risparmi riscontrati in almeno due operazioni precedenti. Alla faccia del clamore che il loro numero (dopato) suscitò ai tempi di Elsa Fornero.

 

Non abbiamo dimenticato che la questione degli esodati è stata oggetto di una delle principali critiche rivolte alla riforma delle pensioni dell’allora Ministro del governo Monti: una legge a cui è stata rimproverata un’impostazione in senso simmetricamente opposto a quello riguardante altre riforme succedutesi nel corso di oltre vent’anni. Mentre, in precedenza, sono state adottate (in particolare nella legge Dini-Treu del 1995) misure molto generose per quanto riguarda il periodo di transizione, la riforma Monti-Fornero se ne è curata troppo poco, al punto di dover affrontare – da subito con i correttivi disposti nel successivo decreto Milleproproghe – il problema di quanti e quali lavoratori “salvaguardare”, rispetto a regole che rischiavano di lasciare senza pensione e senza altri sostegni di carattere economico, decina di migliaia di persone, ormai prossime alla quiescenza secondo le previgenti normative, ma che si erano viste spostare inopinatamente in avanti la soglia d’accesso dal decreto Salva Italia. Vennero, quindi, individuate alcune categorie di lavoratori (c.d. “esodati”, in mobilità, in prosecuzione volontaria, inseriti nei fondi di solidarietà e quant’altro) ai quali, in presenza di talune condizioni, furono preservati i vecchi requisiti. Su tali situazioni scoppiò, poi, la solita guerra dei numeri e quindi del fabbisogno finanziario. I media – chissà mai perché? – si appassionarono al caso dei cosiddetti “esodati”, tanto che questa definizione fu comunemente usata per ricomprendere tutte le fattispecie di “salvaguardati”.

Nei giorni scorsi, il kombinat delle pensioni è stato percorso dal brivido di una febbre malarica antica. Qualcuno ha provato a rimettere in scena la commedia (o la farsa?) dei c.d. “esodati” che tanto fecero parlare di sé nella passata legislatura. È bene ricordare, a tal proposito, che – grazie a ben sei interventi di salvaguardia che comporteranno, a regime, un onere di circa 12 miliardi – circa 170 mila persone potranno, alle diverse scadenze, andare in quiescenza sulla base dei requisiti in vigore prima della riforma Fornero del 2011.

 

Si è scoperto, con grande raccapriccio dei “difensori della fede”, che ben 500 milioni delle risorse, generosamente stanziate a favore degli “esodati”, non sono stati spesi e quindi, come prevedono le regole della contabilità, sono finiti “in economia” nelle casse del Tesoro. Così è ri-sorto un problema che, negli ultimi tempi, sembrava essere stato archiviato, nonostante che vi fossero pressanti richieste per una settima salvaguardia.

 

Nell’agitazione che ha accompagnato la notizia, nessuno si è dato cura di spiegare ciò che è accaduto veramente. Proviamo – si parva licet – a farlo noi. Man mano che si va avanti nell’applicare il programma delle salvaguardie si scopre che gli esodati (in grado di far valere requisiti corrispondenti a quanto richiesto dalle leggi) sono meno di quelli stimati e previsti. Non a caso, la sesta misura di salvaguardia, nel 2014, è stata possibile grazie ai risparmi riscontrati in almeno due operazioni precedenti. Alla faccia del clamore che il loro numero (dopato) suscitò ai tempi di Elsa Fornero.

 

Non abbiamo dimenticato che la questione degli esodati è stata oggetto di una delle principali critiche rivolte alla riforma delle pensioni dell’allora Ministro del governo Monti: una legge a cui è stata rimproverata un’impostazione in senso simmetricamente opposto a quello riguardante altre riforme succedutesi nel corso di oltre vent’anni. Mentre, in precedenza, sono state adottate (in particolare nella legge Dini-Treu del 1995) misure molto generose per quanto riguarda il periodo di transizione, la riforma Monti-Fornero se ne è curata troppo poco, al punto di dover affrontare – da subito con i correttivi disposti nel successivo decreto Milleproproghe – il problema di quanti e quali lavoratori “salvaguardare”, rispetto a regole che rischiavano di lasciare senza pensione e senza altri sostegni di carattere economico, decina di migliaia di persone, ormai prossime alla quiescenza secondo le previgenti normative, ma che si erano viste spostare inopinatamente in avanti la soglia d’accesso dal decreto Salva Italia. Vennero, quindi, individuate alcune categorie di lavoratori (c.d. “esodati”, in mobilità, in prosecuzione volontaria, inseriti nei fondi di solidarietà e quant’altro) ai quali, in presenza di talune condizioni, furono preservati i vecchi requisiti. Su tali situazioni scoppiò, poi, la solita guerra dei numeri e quindi del fabbisogno finanziario. I media – chissà mai perché? – si appassionarono al caso dei cosiddetti “esodati”, tanto che questa definizione fu comunemente usata per ricomprendere tutte le fattispecie di “salvaguardati”.

 

Chi sono, in senso tecnico, gli “esodati”? Si tratta di lavoratori che, a suo tempo, accettarono la proposta di dimissioni volontarie o di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, formulata dalla loro azienda (quasi sempre di grandi dimensioni o pubblica o parapubblica), in cambio di un’extra-liquidazione solitamente ragguagliata al tempo mancante all’accesso alla pensione. Poiché la riforma Fornero posticipò i requisiti dell’età pensionabile, queste persone (insieme ad altre tipologie espressamente indicate nella legge) rischiavano di avere un periodo, spesso di alcuni anni, non coperto dall’ammontare pattuito per l’esodo volontario.

 

Nella trascorsa legislatura, gli “esodati” – lato sensu – riuscirono – contando su di un enorme sostegno dei media – a gestire con appositi comitati – le loro rivendicazioni in modo sicuramente originale ed inconsueto: attraverso il web e la rete, mettendo in collegamento tra loro gli appartenenti alle diverse “famiglie” ed incalzando i parlamentari di cui seguivano e commentavano le iniziative e l’atteggiamento nei confronti dei loro problemi. In sostanza, venne promossa un’azione lobbistica, talvolta con toni offensivi, e sempre tentando di mettere in cattiva luce quanti, a loro avviso, non sostenevano adeguatamente la “buona causa” o consigliavano l’uso di quel realismo che alla fine risultò più efficace.

 

Ma il problema di ulteriori misure di salvaguardia esisteva e meritava di essere risolto nel solo modo possibile: attraverso un percorso di gradualità che consentisse di affrontare i problemi non tutti in una volta, ma anno dopo anno, a partire dal 2013 e dal 2014. Nell’emendamento alla legge di stabilità 2013 si posero le premesse per realizzare questo obiettivo mediante la costituzione di un Fondo specifico di salvaguardia, in cui far confluire 100 milioni nel 2013 in aggiunta agli stanziamenti già previsti e, annualmente, le risorse già stanziate a favore degli scaglioni già coperti in precedenza.

 

In tal modo si sarebbe ottenuto un uso più flessibile e completo degli accantonamenti e vi sarebbe stata la possibilità di reimpiegare direttamente gli eventuali risparmi (ha poi trovato conferma il fatto che gli stanziamenti fossero sovrastimati) a salvaguardia di altre fattispecie non considerate. Si è voluto, invece, insistere su di una linea diversa: quella di risolvere, nel loro insieme, tutti i problemi che si sarebbero posti nel trascorrere del tempo, con il (neanche tanto) recondito obiettivo di non tutelare solo gli “esodati” (ante 31 dicembre 2011), ma anche gli esodandi.

 

Come ricordato, con la L. n. 147/2014 è stato effettuato il sesto intervento di salvaguardia predisposto dopo l’entrata in vigore della riforma pensionistica. Il provvedimento consentiva di assicurare l’accesso al sistema previdenziale, secondo la disciplina antecedente la riforma, di un contingente di 32.100 lavoratori, prolungando di un anno (da 36 a 48 mesi successivi all’entrata in vigore delle riforma) il termine entro il quale le categorie di lavoratori, già individuate nelle precedenti salvaguardie (prosecutori volontari; lavoratori cessati sulla base di accordi individuali o collettivi; lavoratori in mobilità; lavoratori il cui rapporto di lavoro sia stato risolto unilateralmente) dovevano maturare i requisiti pensionistici al fine di accedere al sistema previdenziale con i requisiti previgenti rispetto alla legge Fornero.

 

A tali categorie si aggiunse, inoltre, quella dei lavoratori cessati, tra il 2007 e il 2011, dall’essere titolari di un contratto a tempo determinato. Nel numero massimo di 4 mila, era sufficiente che costoro non si fossero rioccupati a tempo indeterminato per rientrare nel sistema di salvaguardie fino a 48 mesi. Una norma invero strana, perché questi soggetti potrebbero non aver perso neppure un giorno di lavoro, contraendo rapporti a termine uno dopo l’altro o contratti di collaborazione anche interessanti sul piano economico. Ma tutto ciò non conta: se non si lavora a tempo indeterminato si è comunque “figli di un Dio minore”, che deve intervenire a risarcirti al momento della pensione. Tanto è Pantalone che paga.

 

Per la copertura degli oneri il sesto provvedimento ha attinto, in buona misura, alle risorse stanziate per le precedenti salvaguardie e in parte non utilizzate (in quanto le effettive richieste di pensionamento si sono rivelate inferiori alle attese), con conseguente riduzione delle platee ivi previste. In particolare, la riduzione delle precedenti platee è stata pari a 24 mila lavoratori, con un saldo attivo di 8.100 lavoratori (32.100 previsti complessivamente a cui vanno sottratti, appunto, i citati 24mila lavoratori derivanti dalla riduzione delle platee contemplate in precedenti salvaguardie).

 

Per effetto dei ripetuti interventi del legislatore, quindi, la copertura previdenziale riguarda una platea complessiva che è salita a poco più di 170 mila lavoratori (di cui 109 mila già certificati). Come abbiamo anticipato, l’istituzione del Fondo di solidarietà avrebbe avuto il compito di rastrellare i risparmi derivanti da ciascuna delle coperture finanziarie; questa volta però qualche cosa non ha funzionato.

 

Ed è successo, nel caso degli “esodati”, un “incidente” simile – ma in termini ancora più gravi per l’ammontare delle somme finite in economia (1,4 miliardi per gli anni 2011, 2012 e 2013) – a quello che ha interessato le tutele previste (un anticipo dell’età di pensionamento) per i lavoratori addetti a lavori usuranti. Praticamente, negli ultimi anni, le risorse stanziate per tali finalità non sono state spese. Allora, delle due l’una: o i criteri e i requisiti previsti non funzionano oppure i lavoratori usurati – di cui è certa l’esistenza – sono in numero inferiore rispetto a quelli considerati a suo tempo e presi come riferimento per la copertura finanziaria.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

Docente di Diritto del lavoro UniECampus

 

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