Negli stessi giorni in cui – a seguito dell’emendamento 4.1000 del governo sostitutivo dell’articolo 5 del Jobs Act n. 2 Poletti e della conseguente approvazione nella Commissione lavoro del Senato del As 1428 – si è prepotentemente riaperto il dibattito sull’articolo 18 e sono stati diffusi due documenti – uno dell’Isfol, l’altro del Ministero del lavoro – nei quali sono contenuti i dati del monitoraggio sugli effetti delle modifiche introdotte alla disciplina del licenziamento individuale dalla legge Fornero (legge n. 92/2012).
Mentre l’Isfol (lavorando su “prime evidenze ricavate dal sistema informativo delle comunicazioni obbligatorie”) affronta il tema del numero dei licenziamenti dopo l’entrata in vigore delle nuove norme, il testo del Ministero del Lavoro (con dati molto articolati nel territorio forniti dalla DTL) prende in considerazione l’andamento del ricorso alla conciliazione che, nelle finalità della legge Fornero, dovrebbe divenire la forma normale di composizione delle controversie in caso di licenziamento per motivi oggettivi (ovvero economici).
In sostanza, il maggiore utilizzo di tale procedura dovrebbe segnare il buon esito delle nuove norme. Cominciamo dal primo aspetto, partendo da una domanda (troppo) semplice. La riforma Fornero ha favorito i licenziamenti? La nuova disciplina ha reso meno rigido il rapporto di lavoro in uscita ? Si tratta di domande diaboliche perché finiscono per attribuire ad una legge effetti in larga misura determinati dai processi economici.
L’Isfol – il documento è stato predisposto per un incontro di lavoro al ministero svoltosi lo scorso 27 agosto – non esita a far notare la presenza e l’incidenza di un “convitato di pietra” come la crisi economica. Infatti, “tra ottobre e dicembre 2012, nei mesi immediatamente successivi all’entrata in vigore della legge n. 92/2012, sono aumentate in misura rilevante, rispetto al normale andamento, le interruzioni di lavoro per iniziativa del datore”. “Quest’ultimo effetto – prosegue il documento – ha carattere marcatamente congiunturale e sembra esaurirsi nei primi mesi del 2013; dal secondo semestre dell’anno le cessazioni per iniziativa del datore di lavoro diminuiscono fino al 2014”.
Disaggregando ulteriormente i motivi della cessazione dei rapporti per iniziativa del datore (ovvero i licenziamenti) si osserva che nel periodo del loro incremento (IV trimestre 2012) si è registrata una vera e propria impennata (+48,3%) dei licenziamenti individuali a fronte di un +18,2% di quelli collettivi. Mentre i licenziamenti collettivi mantengono un trend piuttosto elevato anche nei periodi successivi fino al IV trimestre del 2013, i licenziamenti individuali fin dal primo trimestre dell’anno invertono la linea di tendenza alla crescita (dal 36% sul totale delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato al 33%).
Per quanto riguarda, invece, i licenziamenti collettivi, in ragione del peggioramento dell’intero quadro economico si confermano valori costantemente in aumento ad un tasso quasi sempre superiore al 5%. Quali conclusioni trarre, “pur con tutte le accortezze del caso, in assenza di dati divisi per dimensione d’impresa”? Secondo l’Isfol “si ha l’impressione” che l’articolo 18 made by Fornero “abbia avuto un effetto su una porzione selezionata di datori di lavoro”: le imprese fortemente motivate a licenziare si sono attivate immediatamente. Poi la maggiore responsabilità dei licenziamenti e delle mancate assunzioni va attribuita al “generale inverno” della crisi economica.
Quanto agli effetti della conciliazione nel caso di licenziamento economico, incide sicuramente la circostanza che essa è divenuta, con la legge n. 92/2012, parte integrante della procedura di tutela. Infatti, nel primo trimestre del 2012, prima dell’entrata in vigore della legge, le richieste di conciliazione per licenziamenti determinati da motivo oggettivo erano state 1.885. Già nel secondo trimestre di quello stesso anno si è passati a 10.039. Nei trimestri successivi si mantiene più o meno questo trend, come risulta dalla sottostente tabella. Si tenga conto che tra le cause principali di esiti negativi va annoverata la mancata presentazione delle parti in sede di conciliazione.
Disciplina dei licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo
Totali semestrali nazionali | 1° semestre 2012 | 2° semestre 2012 | 1° semestre 2013 | 2° semestre 2013 | 1° semestre 2014 |
Richiesta di conciliazione | 1.885 | ||||
Comunicazione del datore di voler licenziare | 10.039 | 11.664 | 9.165 | 8.537 | |
Esiti negativi* | 4.854 | 4.417 | 2.774 | 2.563 | |
Esiti positivi** | 3.621 | 5.928 | 4.445 | 4.310 | |
Altro | 1.425 | 1.508 | 1.781 | 1.174 | |
Pratiche evase | 9.900 | 11.853 | 9.000 | 8.047 |
(*mancata presentazione delle parti, mancato accordo; ** risoluzione consensuale con incentivo all’esodo o transazione economica, rinuncia all’impugnativa con transazione economica, rinuncia al licenziamento).Fonte: MLPS 2014
Come emerge dai dati, ancorché siano ancora importanti gli esiti negativi che comportano generalmente il ricorso giudiziario, vi è una tendenza alla loro diminuzione, confortata, invece, dall’incremento costante degli esiti positivi (ovvero delle intese). Ma il frutto è ancora acerbo. Potrebbe però maturare, se l’evoluzione normativa seguisse il medesimo tragitto, iniziato con la legge 92. Non sarebbe sbagliato, infatti, se anche nel caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo (ovvero disciplinare) venisse consentito al giudice di sanzionare il provvedimento illegittimo normalmente con l’indennità risarcitoria, salvo applicare la reintegra nei casi più gravi.
Giuliano Cazzola
Membro del Comitato scientifico ADAPT
Docente di Diritto del lavoro UniECampus