Con la logica del “dalli alle pensioni d’oro” è stata inserita, nella legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190), la clausola di garanzia non utilizzata nel 2011, in forza della quale nessuno potrà conseguire – attraverso il calcolo contributivo pro rata – un trattamento superiore a quello che avrebbe percepito sulla base delle regole vigenti prima della riforma Fornero (ovvero con l’applicazione del calcolo retributivo): una scelta esclusa a suo tempo – benché fosse stata esaminata l’ipotesi nelle prime stesure dall’art. 24 del decreto Salva Italia – perché si convenne che, se contributivo doveva essere, lo fosse in tutti gli aspetti.
Poiché le assurdità viaggiano sempre in coppia – come i carabinieri nella barzellette – nella legge n. 190/2014 venne altresì stabilito che, dal 2015, fosse tagliato dalla pensione l’eventuale bonus derivante dall’applicazione del calcolo contributivo a chi era già andato in quiescenza. I beneficiari (alti burocrati, docenti, magistrati, in particolare) furono accusati di essere rimasti in servizio proprio per assicurarsi, grazie a quanto consentiva, in modo aperto e trasparente, la legge del 2011, una pensione più elevata. Il che, in Italia, sembra offendere il comune senso del pudore. In sostanza, da noi, dovrebbero essere puniti non solo i “furbetti”, ma anche gli “stakanovisti”: sia quelli (e sono tanti) che una “pensione d’oro” l’hanno ottenuta facendo lobby; sia coloro che un trattamento migliore se lo sono guadagnato, alla luce del sole e in modo conforme alle leggi, lavorando più a lungo e versando fior di contributi (finiti in “cavalleria”), grazie a doti di talento e professionalità.
Ovviamente quando si agisce per partito preso, in nome di un’ideologia giovanilistica, si commettono anche dei torti, si innescano delle contraddizioni difficilmente spiegabili e comprensibili, si trasforma l’anelito del “fare giustizia”, in un’operazione soltanto vendicativa. Ci aiuta a scoprire e a denunciare queste contraddizioni uno studio di Antonietta Mundo, già dirigente generale dell’Inps, che ha svolto un ruolo di supporto tecnico per tutte le riforme pensionistiche degli ultimi vent’anni. Antonietta Mundo ha messo a confronto dei casi, dai quali emerge con evidenza gli effetti distorsivi prodotti dalla norma della legge n. 190/2014 (art.1, commi 707, 708, 709) e dalla Circolare applicativa n. 74/2015 dell’Inps. Vediamo insieme gli esempi costruiti su soggetti con retribuzioni medie lorde imponibili previdenziali rivalutate uguali.
Esempio 1
- Un pensionato di vecchiaia di 66 anni di età e 44 anni e 3 mesi di anzianità al pensionamento, con una pensione decorrente dal 1° gennaio 2015, di 2.134 euro lordi al mese (25.934 euro annui lordi, quote A e B + 1.806 euro annui lordi quota C = 740 euro annui lordi);
- tasso di sostituzione lordo 85,5%
- al 30 novembre 2011,la sua anzianità era di 41 anni e 3 mesi e l’età di 63 anni e avrebbe avuto i requisiti per la pensione di anzianità, invece al pensionamento 1° gennaio 2015, ha 44 anni e 4 mesi;
- ha lavorato dal 1 gennaio 2012 fino al 31 dicembre 2014 ulteriori tre anni in funzione del rendimento promesso con il sistema contributivo dalla riforma Fornero;
- ha percepito dal 2005 al 2014 una retribuzione annua media lorda imponibile previdenziale rivalutata di 32.418;
- ha versato contributi (33%) nei 3 anni di lavoro 2012/2014, che gli hanno fruttato un montante contributivo di 32.111 euro, con un incremento della pensione, sulla base del coefficiente di trasformazione relativo ai 66 anni del 5,624%, di 1.806 euro annui;
- si vede decurtata retroattivamente dal 1° gennaio 2015 la pensione di 139 euro lordi mensili (1.806 euro annui) con un nuovo importo mensile di 1.995 euro lordi (25.935 euro annui lordi).
- nuovo tasso di sostituzione 80%.
Esempio 2
Un pensionato di vecchiaia di 66 anni di età e 37 anni e 4 mesi di anzianità al pensionamento, con una pensione decorrente dal 1° gennaio 2015, di 1.835 euro lordi al mese (22.044 euro annui lordi, quote A e B + 1.806 euro annui lordi quota C = 23.850 euro annui lordi);
- tasso di sostituzione lordo 73,6%
- al 30 novembre 2011, la sua anzianità era di 34 anni e 3 mesi e l’età di 63 anni
- ha lavorato dal 1° gennaio 2012 fino al 31 dicembre 2014 ulteriori tre anni contribuendo con il regime contributivo della riforma Fornero;
- ha percepito dal 2005 al 2014 una retribuzione lorda annua imponibile previdenziale di 32.418;
- ha versato contributi (33%) nei 3 anni di lavoro 2012/2014, che gli hanno fruttato un montante contributivo di 32.111 euro, con un incremento della pensione, sulla base del coefficiente dei 66 anni del 5,624%, di 1.806 euro annui;
- percepisce sulla base della circolare n. 74/2015 la stessa pensione liquidata il 1° gennaio 2015 di 835 euro mensili lordi senza decurtazioni (23.850 annui).
Esempio 3
- Un pensionato di pensione anticipata di 62 anni di età e 42 anni e 6 mesi di anzianità al pensionamento, con una pensione decorrente dal 1° gennaio 2015, di 2.094 euro lordi al mese (25.610 euro annui lordi, quote A e B + 1.611 euro annui lordi quota C = 221 euro annui lordi);
- tasso di sostituzione lordo 84,0%
- al 31 dicembre 2011, la sua anzianità era di 39 anni e 6 mesi e l’età di 59 anni
- ha lavorato dal 1° gennaio 2012 fino al 31 dicembre 2014 ulteriori tre anni contribuendo con il regime contributivo della riforma Fornero;
- ha percepito dal 2005 al 2014 una retribuzione lorda annua media imponibile previdenziale rivalutata di 32.418;
- ha versato contributi (33%) nei 3 anni di lavoro 2012/2014, che gli hanno fruttato un montante contributivo di 32.111 euro, con un incremento della pensione, sulla base del coefficiente dei 62 anni e 6 mesi del 5,017% (perequato a sei mesi) di 1.611 euro annui;
- percepisce sulla base della circolare n. 74/2015 la stessa pensione liquidata il 1° gennaio 2015 di 094 euro mensili lordi senza decurtazioni (27.221 annui).
Esempio 4
- Una pensionata FPLD di anzianità al 1° dicembre 2011 di 63 anni di età e 41 anni e 3 mesi di anzianità alla data del pensionamento, con una pensione decorrente dal 1° dicembre 2011, di 1.995 euro lordi al mese (935 euro annui lordi, quote A e B);
- ha percepito dal 2002 al 2011 una retribuzione media lorda annua imponibile previdenziale rivalutata di 32.418;
- tasso di sostituzione lordo FPLD 80%.
- viene assunta come collaboratrice iscritta alla Gestione separata dalla stessa azienda dal 1° dicembre 2011 con la stessa retribuzione lorda annua di 32.418 e lavora per 3 anni e 1 mese fino al 31.12.2014, pagando contributi come pensionata, pari al 18% nel 2012, 20% nel 2013 e 22% nel 2014.
- dal 1° gennaio 2015 è titolare di una pensione supplementare liquidata dalla gestione separata con età di 66 anni e con anzianità di 3 anni e 4 mesi alla data del pensionamento;
- nei 3 anni 2012/2014 di lavoro come collaboratrice pensionata, i contributi versati le hanno fruttato un montante contributivo di 19.460 euro, per la liquidazione di una pensione supplementare con calcolo contributivo, che sulla base del coefficiente relativo ai i 66 anni del 5,624%, è di 1.094 euro annui lordi;
- percepisce sulla base della circolare n. 74/2015 la stessa pensione liquidata il 1° dicembre 2011 di 995 euro mensili lordi, rivalutata nel 2014 sulla base del costo vita a 2.017 euro mensili, oltre alla pensione supplementare della Gestione separata, pari a 84 euro mensili per un reddito pensionistico totale di 2.101 euro mensili (27.313 euro annui lordi).
- alla fine il reddito pensionistico complessivo produce un nuovo tasso di sostituzione lordo rispetto all’ultima retribuzione pari all’84,3%.
Nella pratica, la legge Fornero, ha introdotto un modello “pro quota” con due parti di pensione ognuna delle quali ha proprie regole ben distinte. Il volerle mettere a confronto e scegliere quella peggiore mentre è già in godimento la pensione determina contraccolpi non indifferenti per il pensionato, che possono condurre ad un contenzioso ed a sentenze della Corte Costituzionale analoghe a quella n. 70 del 30 aprile 2015 sulla mancata rivalutazione delle pensioni. Sarebbe come dire – sottolinea Antonietta Mundo – che nel sistema di calcolo misto (parte retributivo e parte contributivo), per coloro che avevano meno di 18 anni nel 1995, si debba scegliere sempre il risultato più basso tra il calcolo completamente retributivo e quello misto.
D’altra parte – conclude Mundo – se il pensionato di cui all’Esempio 1, anziché aver contribuito dopo i 41 anni per altri 3 anni nel FPLD come lavoratore dipendente, si fosse dimesso ed avesse contribuito dal 2012 al 2014 come collaboratore nella Gestione Separata (Esempio 4) per gli stessi periodi nella stessa azienda e per gli stessi importi, si vedrebbe riconosciuta dal 1° gennaio 2015 anche la pensione supplementare della Gestione separata di 1.094 euro annui lordi, che sommata a quella retributiva FPLD di 26.221 euro lordi rivalutati, gli avrebbero consentito di godere di un reddito pensionistico complessivo di 27.315 euro annui lordi, suddiviso in due pensioni, anziché in una, percependo ben 1.380 euro annui in più, pur avendo contribuito con importi più bassi (aliquote di computo inferiori al 33%). Mentre il caso dell’Esempio 2, in proporzione alla sua contribuzione rispetto all’Esempio 1, il pensionato percepisce un trattamento più favorevole pur avendo una minore anzianità. Nel caso dell’Esempio 3, a parità di retribuzione media rivalutata, il soggetto percepisce una pensione a calcolo misto più elevata (tasso sostituzione 84%), rispetto a quello dell’Esempio 1 a calcolo retributivo (tasso di sostituzione 80%) il quale ha contribuito più a lungo ed è più anziano (quindi, con minore speranza di vita e con minore durata della pensione).
Giuliano Cazzola
Membro del Comitato scientifico ADAPT
Docente di Diritto del lavoro UniECampus