Un giovane amico (di cui ho una grande stima perché riesce sempre a sorprendermi per la preparazione in materia di diritto del lavoro e delle relazioni industriali) in una recente conversazione mi faceva notare che io tendo a dare per conosciuti, a volte addirittura per scontati eventi – che ho studiato, vissuto o dei quali sono stato in qualche modo protagonista – appartenenti ad un’epoca lontana anche per i padri degli studenti universitari di oggi, nati all’inizio degli anni ’90, per i quali lo stesso Protocollo del 1993 (che nella mia esperienza rappresentata un punto di arrivo non ancora sostanzialmente superato) appare ormai un fatto lontano.
Ho riflettuto su tali considerazioni e le ho trovate affettuosamente fondate. Ma è naturale che sia così. Come scriveva Seneca in una lettera a Lucilio ‘’tutti i momenti che appartengono al passato si trovano in un medesimo spazio: si vedono su di uno stesso piano, giacciono gli uni insieme con gli altri, tutti cadono nel medesimo abisso’’. Il sottoscritto compirà tra pochi giorni 75 anni, un’età che gli ha consentito di convivere con la storia, l’evoluzione e lo sviluppo del diritto del lavoro nel dopoguerra. Da studente, nei primi anni ’60 mi bastava volgere lo sguardo indietro di qualche anno per risalire ai primordi della Repubblica (forse anche al diritto corporativo). Poi, nel corso della vita, in tante diverse esperienze, mi sono sempre trovato ‘’colà dove tuona il cannone’’ con un impegno ed una passione che hanno nutrito una lunga esistenza.
Al di là di queste propensioni al fascino della memoria, naturali in un anziano signore, ritengo, tuttavia, che sia giusto e doveroso andare alla radice delle situazioni e dei problemi, seguirne il procedere nel corso dei decenni. Altrimenti, senza un bagno nella storia, anche il presente perde di significato. Il diritto del lavoro non è incominciato nel 1970 con lo Statuto dei lavoratori, una legge che non è piovuta dal cielo, ma che è stato il frutto di circostanze e di azioni iniziate tanti anni prima, senza le quali il ciclo degli eventi avrebbe potuto prendere una differente direzione.
Oggi si parla della riforma della contrattazione, dissertando sui poteri e sui ruoli da affidare al contratto nazionale e alla contrattazione decentrata. Le confederazioni sindacali hanno presentato, nei giorni scorsi, un documento unitario già dimenticato a causa della sua incapacità di stare al passo con i tempi e con le trasformazioni del lavoro. Ma da dove nasce la specificità del sistema di relazioni industriali in Italia ? Gli studenti di oggi devono risalire molto lontano: al tempo dei loro nonni. E i loro docenti a quello dei loro padri. Alla fine degli anni ’50 si manifestò l’esaurirsi di un vecchio modello di contrattazione e l’apertura di uno nuovo. L’ossessione dell’efficacia erga omnes dei contratti – condivisa del resto dalle organizzazioni sindacali – aveva spinto il legislatore – che non era riuscito a dare attuazione a quanto previsto dall’articolo 39 della Legge fondamentale – ad individuare uno strumento giuridico alternativo per realizzare il medesimo obiettivo. Con la legge n.741 del 1959 (la c.d. legge Vigorelli) il Parlamento aveva attribuito al Governo la delega per emanare una serie di decreti contenenti la garanzia di un ‘’minimo di trattamento economico e normativo’’ per ogni categoria, conformando i singoli decreti al contenuto dei contratti collettivi esistenti al momento dell’entrata in vigore della delega. Ne risultò un ibrido con la forma di una legge sui minimi e la sostanza di un’estensione erga omnes dei contratti collettivi, attraverso il loro ‘’recepimento’’ legislativo: tutto ciò, al di fuori delle modalità e delle procedure previste nella Costituzione.
Proprio per questi motivi l’intervento fu ritenuto ammissibile in ragione della sua temporaneità, transitorietà e straordinarietà. La Corte Costituzionale abrogò, infatti, la successiva disposizione di proroga del termine originariamente previsto, ritenendola in contrasto con la natura necessariamente transitoria e provvisoria di quel sistema di estensione dei contratti collettivi, diverso da quanto previsto dall’articolo 39.
In sostanza, però, la lezione apparve molto chiara: gran parte dell’attività contrattuale svolta fino a quel momento era talmente rigida da poter essere trasferita in blocco in un corpo legislativo. Fu una sorta di canto del cigno di un assetto contrattuale ancora fortemente permeato dagli accordi corporativi, tanto che negli anni immediatamente successivi la qualità della contrattazione collettiva subì una forte accelerazione. A partire proprio dal 1959, quando alcune vertenze di carattere settoriale (siderurgici, elettromeccanici, ecc.) fecero intravedere l’apertura di una nuova fase, anche se successivamente un livello di contrattazione decentrata a livello di settore (che aveva fatto da battistrada al decentramento contrattuale), non riuscì mai a decollare.
La svolta nel campo delle relazioni industriali – in senso costitutivo dell’ordinamento intersindacale, nella sostanza, tuttora vigente – ebbe luogo il 21 dicembre 1962 quando, nel quadro dell’accordo per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici delle aziende a partecipazione statale, venne sottoscritta da Intersind-Asap (l’associazione datoriale) e da Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm-Uil la famosa ‘’Premessa’’ regolatrice del riconoscimento della contrattazione aziendale e dei rapporti tra i diversi livelli negoziali, che venivano così a costituire un vero e proprio ‘’sistema’’. A raccontarla in breve la Premessa circoscriveva la possibilità di svolgere la contrattazione a livello aziendale ‘’per le materie per le quali nel presente contratto è prevista tale possibilità di regolamentazione nei limiti e secondo le procedure specificamente indicate’’. Agenti contrattuali erano i sindacati di categoria e le organizzazioni datoriali competenti nel territorio. Veniva così valorizzata la struttura esterna al posto di lavoro (in pratica avvenne così fino allo Statuto dei lavoratori) a fronte della preclusione padronale nei confronti del sindacato aziendale, le cui prerogative, oltre alla contrarietà delle imprese e delle organizzazioni imprenditoriali, trovavano difensori prudenti – per tanti motivi comprensibili – anche all’interno delle confederazioni e delle federazioni sindacali. Infine, il tutto era tenuto insieme, da una ‘’clausola di tregua’’, contenuta nel punto c) e formulata ‘’in punta di penna’’, ma in modo abbastanza chiaro, tanto da creare non pochi grattacapi alla Fiom e alla Cgil di quegli anni, le quali, tuttavia, erano dirette da sindacalisti capaci di scorgere, anche nei compromessi, le soluzioni innovative. La ‘’clausola di tregua’’, intesa come l’introduzione di un ‘’dovere di influenza’’ del sindacato sui propri associati, fece spandere fiumi d’inchiostro ai giuristi di quei tempi, la maggioranza dei quali non aveva ancora compreso gli orientamenti su cui si andava formando il nuovo diritto sindacale. La riportiamo di seguito.
‘’c. Al sistema contrattuale così disciplinato corrisponde l’impegno delle parti di rispettare e far rispettare ai propri iscritti per il periodo di loro validità il contratto generale e le norme integrative aziendali da esse previste. A tal fine le Associazioni industriali sono impegnate ad adoperarsi per l’osservanza delle condizioni pattuite da parte delle Aziende associate, mentre le Organizzazioni dei lavoratori si impegnano a non promuovere e a intervenire perché siano evitate azioni o rivendicazioni intese a modificare, integrare, innovare quanto ha formato oggetto di accordo ai vari livelli’’.
Nonostante quell’intesa con le aziende a partecipazione statale, la Confindustria continuò a manifestare la propria ostilità nei confronti del decentramento della contrattazione. Per piegarne la resistenza vennero escogitati i c.d. protocolli d’acconto, che contenevano le parti qualificanti dell’accordo Intersind-Asap. Le aziende private che li sottoscrivevano erano esonerate dagli scioperi. Nel febbraio 1963 la Confindustria cedette, dopo che le confederazioni avevano proclamato ed effettuato uno sciopero generale di tutta l’industria in solidarietà con i metalmeccanici. La ‘’Premessa’’ venne recepita anche nel contratto delle azione associate alla Confindustria, poi entrò, man mano, a far parte della contrattazione collettiva dell’industria. In quella circostanza, il settore metalmeccanico acquisì quel ruolo di avanguardia e di innovazione che riuscì ad esercitare per molto tempo sull’insieme del movimento sindacale e nell’evoluzione delle relazioni industriali, dei contenuti della contrattazione e delle forme organizzative del sindacato. Le federazioni dei metalmeccanici diventarono anche i soggetti trainanti di un processo di unità d’azione, prima, di riunificazione sindacale, poi, che segnò per lunghi anni la vita del movimento sindacale italiano. Chi ha vissuto quelle esperienze non riesce a capacitarsi della situazione critica in cui versa oggi questa categoria che, nel passato, ha scritto pagine indimenticabili di storia.
Membro del Comitato scientifico ADAPT
Docente di Diritto del lavoro UniECampus