Politically (in)correct – Venti di guerra sull’economia tra preoccupazioni ed opportunismi

Bollettino ADAPT 11 aprile 2022, n. 14

 

A leggere l’Indagine rapida del Centro Studi della Confindustria (CSC) resa noto sabato occorre prendere atto con preoccupazione del rapido deterioramento della situazione economica a seguito di più di 40 giorni di guerra nel cuore dell’Europa. Val la pena di precisare subito, anche ai fini del dibattito politico interno, che i segnali di logoramento già presenti ed individuati alla fine dell’anno scorso (la crisi energetica, delle materie prime, degli inputs, delle commodity, dei servizi e della manodopera) si sono aggravati per l’accelerazione dovuta alla guerra. In sostanza, se in precedenza, rimaneva una qualche speranza che si trattasse di fenomeni congiunturali, destinati a migliorare nel tempo, man mano che l’economia si fosse  lasciata alle spalle le conseguenze della pandemia (che peraltro è viva e vegeta tra di noi sfornando una sequela di nuove varianti), la guerra in Ucraina carica di una problematica strutturale – si pensi alla grande questione del gas e del petrolio russo e del grano dell’Ucraina – quegli handicap che già stavano inserendo il freno a mano alla ripresa.

 

Per farla breve per quanto riguarda le forniture di gas, ad esempio, non si pone soltanto un problema di prezzo, ma – al di là della possibile evoluzione delle sanzioni – anche di variazione strategica dell’assetto della fornitura e del quadro dei fornitori. Venendo all’indagine il CSC, in sintesi, stima un calo della produzione industriale italiana a marzo (-1,5%), dopo il rimbalzo statistico di febbraio (+1,9%). Le dinamiche inedite dei prezzi delle commodity, con particolare riferimento al rincaro del gas naturale che esibisce tassi di variazione a 4 cifre (+1217% in media nel periodo del conflitto sul pre-Covid) e quello del Brent, che è a 3 cifre (+104%), misurano l’ordine di grandezza dello shock di offerta che sta colpendo l’attività economica italiana ed europea. Indici di sentiment sull’attività imprenditoriale e di fiducia, in flessione a marzo, preannunciano rilevanti ripercussioni sull’effettiva capacità di tenuta delle imprese nei prossimi mesi. Dopo l’intensa caduta registrata a gennaio (-3,4%), il parziale recupero di febbraio è dovuto prevalentemente ad un effetto base di rimbalzo statistico.
 

Il deflagrare del conflitto ha accentuato da fine febbraio l’incidenza dei fattori che ostacolavano l’attività economica e produttiva italiana, già prima della guerra (rincari delle materie prime, scarsità di materiali). Ne è derivato, quindi, un netto peggioramento congiunturale che trova conferma nel calo di fiducia delle imprese registrato a marzo, a 105,4 da 107,9 di febbraio, e nella flessione del PMI manifatturiero (a 55,8 da 58,3 del mese scorso). A questo si aggiunge una sensibile diminuzione nei giudizi e nelle attese di produzione delle imprese manifatturiere, il cui valore non toccava livelli così bassi da giugno dello scorso anno. Un’indagine condotta presso le imprese associate a Confindustria evidenzia che 9 imprese su 10 nel campione giudicano come molto importanti, tra i principali ostacoli determinati dal conflitto, non solo gli aumenti del costo dell’energia, ma anche quelli delle altre materie prime, mentre le difficoltà di approvvigionamento riguardano quasi 8 imprese su 10. A fronte di tali problemi, il 16,4% delle imprese rispondenti ha già ridotto sensibilmente la produzione. Il peggioramento dell’indice di incertezza della politica economica, che per l’Italia è salito a 139,1 a marzo da 119,7 di febbraio (+38,4% rispetto al 4° trimestre del 2021), accresce i rischi di un pesante impatto sul tessuto produttivo italiano e di un significativo indebolimento dell’economia nella prima metà del 2022.

 

Verosimilmente quando arriveranno statistiche recenti (a volte la realtà è più veloce degli algoritmi) sull’occupazione e le richieste di cig, saremo in grado di valutare anche gli effetti “collaterali’’ sul lavoro. Il presidente Carlo Bonomi si è già cimentato, giorni or sono, con qualche previsione. “Per le fabbriche energivore è una crisi senza precedenti. Le acciaierie – ha detto – hanno cominciato a sospendere la produzione, presto toccherà anche ai settori della ceramica e delle cartiere. Sono stop temporanei. Ma i prezzi insostenibili creano un effetto domino che può portare il sistema industriale nel suo complesso a chiedere 400 milioni di ore di cassa integrazione. Una cifra enorme, che avanziamo non per allarmismo, ma per generare consapevolezza. È una crisi fortissima, drammatica, accentuata da errori di anni e anni, di fronte ai quali servono interventi radicali non più rinviabili”.

 

Intanto alcuni primi avvertimenti giungono in sede Def. “A fronte dell’impennata dell’inflazione, si prevede un’accelerazione più moderata delle retribuzioni e dei redditi da lavoro, sebbene il rinnovo dei contratti pubblici (e di alcuni altri settori) causerà un’accelerazione delle retribuzioni contrattuali. Anche grazie a una crescita dell’occupazione, in rallentamento rispetto al 2021 ma pur sempre significativa (2,6 per cento in termini di ore lavorate), i redditi da lavoro dipendente quest’anno crescerebbero del 5,5 per cento in termini nominali, dal 7,7 per cento dell’anno scorso. Il tasso di disoccupazione scenderebbe dal 9,5 per cento del 2021 all’8,7 per cento’’. Una nota non negativa, dunque. Ma c’è pur sempre il diavolo ad infilarci la coda. Come nel caso della pandemia, facciamo previsioni su processi la cui evoluzione o involuzione non dipendono da noi.

 

In un momento come questo è in atto in quei luoghi criminogeni che sono i talk show un sottile tentativo di influenzare l’opinione pubblica, partendo da una battuta certo discutibile del premier Draghi: “volete la pace o i condizionatori accesi al massimo in estate?’’. La linea di attacco sta nel seguente sillogismo: “con le sanzioni alla Russia saremo costretti a fare sacrifici, siamo disposti a farli?”. È via andare con alberghi extra lusso che rimpiangono il turismo a 12 stelle degli oligarchi, con le aziende di alta moda che non possono più servire le loro mogli, con gli industriali che considerano insostenibile il costo dell’energia. Pertanto, ecco il dubbio amletico: ce lo ha ordinato il medico di mettere delle sanzioni che ci danneggiano? Diciamoci la verità: la nostra idea della pace si traduce in un “lasciateci in pace”. Come se fosse possibile, a prescindere dalle alleanze, dagli ordinamenti internazionali, dalle esigenze di sicurezza, chiamarsi fuori da uno scenario internazionale che sta prendendo un’altra piega; come se fosse possibile imbarcarsi su di una mongolfiera e approdare su di una nuvoletta – oves et bove set omnia pecora campi – e guardare di lassù l’effetto che fa. Come le mie gattine che quando arriva in casa un estraneo vanno a nascondersi sotto le coperte.  Non vedendolo credono di non essere viste.

 

Chi scrive, un’idea ce l’ha: meno sanzioni alla Russia e più armi all’Ucraina. Mi fa sorridere la storia della fornitura di armi di carattere difensivo. Quando ero segretario della Cgil dell’Emilia Romagna, la mia organizzazione aveva delle relazioni con la DDR. Quindi mi capitava di recarmi in delegazione (ben presto si aggiunsero anche la Cisl e la Uil) nel distretto di Suhl con cui eravamo gemellati. In quella località, per antica tradizione, vi erano insediamenti dell’industria del giocattolo. Un giorno i nostri ospiti ci condussero a visitare il Museo del Giocattolo, organizzato sulla base delle diverse epoche storiche, dagli egizi in avanti. Peraltro seppi che vi era un documento del Comitato centrale della SED che dava la linea sulla produzione del giocattolo. Proseguendo nella visita, quando arrivammo al XX secolo e ai regimi fascisti i giocattoli caratteristici dell’epoca, erano i soldatini. Al che – da ex bambino che aveva giocato a lungo con i soldatini – mi sentii chiamato in causa e chiesi: “Ma ora non producete più soldatini?”. La guida mi rispose: ‘’Certamente, ma secondo una concezione difensiva’’. 

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

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