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C’è una frase attribuita ad Abraham Lincoln che dovrebbe essere mandata a memoria dai due vice-presidenti del Consiglio. Diceva il grande presidente che è possibile ingannare uno per sempre e tutti per una volta. Nessuno però potrà mai ingannare tutti per sempre. I due (in particolare Luigi Di Maio) invece ci provano in continuazione, tanto da sbandierare come cosa fatta le misure che caratterizzano di più il contratto dell’attuale maggioranza: il reddito e la pensione di cittadinanza e il superamento della riforma Fornero. Nel disegno di legge di bilancio questa materia è complessivamente regolata dall’articolo 21 nei termini seguenti:

 

Articolo 21

Fondi per l’introduzione del reddito e delle pensioni di cittadinanza e per la revisione del sistema pensionistico

 

Comma 1: La disposizione istituisce un fondo, denominato «Fondo per il reddito di cittadinanza», che costituisce limite di spesa, per le finalità indicate dalla stessa, da attuare con successivi provvedimenti normativi diretti a rispettare in ogni caso il predetto limite di spesa, con dotazione di 9 miliardi annui a decorrere dal 2019. È in ogni caso garantito il riconoscimento delle prestazioni ReI fino alla piena operatività dei nuovi istituti e le relative risorse confluiscono nell’istituendo fondo per la relativa finalità e concorrono alla determinazione del limite di spesa complessivo. Pertanto dalla disposizione in esame conseguono i seguenti maggiori oneri per la finanza pubblica, rispetto alla legislazione vigente: 6,8 miliardi per l’anno 2019, 6,84 miliardi per l’anno 2020 e 6,87 miliardi annui a decorrere dal 2021.

 

Comma 2: La disposizione istituisce un fondo, denominato «Fondo per la revisione del sistema pensionistico attraverso l’introduzione di ulteriori forme di pensionamento anticipato e misure per incentivare l’assunzione di lavoratori giovani», che costituisce limite di spesa, per le finalità indicate dalla stessa, da attuare con successivi provvedimenti normativi diretti a rispettare in ogni caso il predetto limite di spesa, con dotazione di 6,7 miliardi per l’anno 2019 e di 7 miliardi annui a decorrere dal 2020. Dalla disposizione consegue pertanto una maggiore spesa per prestazioni pari a 6,7 miliardi per l’anno 2019 e a 7 miliardi annui dal 2020.

 

In sostanza, i due Fondi costituiscono un limite massimo di spesa, mentre le soluzioni normative sono rinviate a successivi provvedimenti: ddl collegati, emendamenti in corso d’opera. Vengono persino ipotizzati decreti legge natalizi, sempre che ad essi siano riconosciute le ragioni d’urgenza ritenuti insussistenti dal governo stesso nei primi giorni di novembre, quando la manovra è stato effettivamente presentata. Le risorse, a seconda delle esigenze e degli eventuali risparmi, possono essere spostate da un fondo all’altro, fermo restando il loro ammontare complessivo. Da notare che il reddito di cittadinanza si inserisce negli spazi (e si avvale delle risorse) destinate al ReI (reddito di inclusione) le cui prestazioni mantengono piena operatività fino all’entrata in vigore di nuove misure.

 

C’è poi un comma 4 che riconosce un miliardo all’anno per il potenziamento dei centri per l’impiego e 10 milioni per l’Anpal.  Dell’altro tema che ha assatanato il dibattito sui talk show (i tagli alle c.d. pensioni d’oro) non è dato reperire traccia. A meno che non vi sia l’intenzione di portare avanti, per suo conto, il progetto di legge a prima firma D’Uva, beffandosi delle critiche universali che ha ricevuto anche nell’ambito della coalizione.

 

Questa è la realtà che scorre sotto i nostri occhi. Tutto rimane nel vago. Ma tutto è dato per scontato, nonostante che le nuove norme cominceranno la loro navigazione tra le due Camere dopo l’approvazione della legge di bilancio, a partire dalla ripresa dei lavori parlamentari nel 2019. Chi ha fatto dei conti sulle quote (100 e/o 41) è opportuno che si prenda una pausa di riflessione, prima di trasformarsi in un esodato a sua insaputa.

 

Anche della proroga dell’opzione donna non si sa più nulla. Quanto, poi, al reddito (e, immaginiamo, alla pensione) di cittadinanza, si era capito male: chi è proprietario della casa in cui abita dovrà accontentarsi – a quanto si è detto ultimamente – solo di 500 euro mensili, essendo gli ulteriori 280 euro assegnati in quota affitto. Eppure, esibendo una faccia di bronzo da manuale sulla quale spiccano smaglianti sorrisi (ricordate i versi che Catullo dedica al sorriso di Egnazio?), gli esponenti del governo e della maggioranza giallo-verde si presentano in tv come se tutte le promesse elettorali fossero state già mantenute per la felicità degli italiani. Ai quali sarebbe utile far sapere – avvalendosi dei dati dell’Inps sui flussi del pensionamento del 2018 – che favorire ulteriormente l’uscita anticipata sarebbe come fare piovere sul bagnato. L’età effettiva non è infatti quella che raccontano, ma quella che risulta dalla seguente tabella:

 

Età effettiva alla decorrenza delle pensioni nel gennaio-settembre 2018

                                       vecchiaia           anzianità        invalidità          superstiti            totale

Maschi 66,5 61,0 54,1 77,0 63,7
Femmine 65,9 60,1 52,3 74,7 69,6
Totale 66,3 60,7 53,4 75,1 66,7

 

E i flussi del 2018 confermano la netta prevalenza del numero delle pensioni di anzianità (a favore di lavoratori maschi e residenti al Nord). Nel Fondo dei lavoratori dipendenti privati, su 100 pensioni di vecchiaia, ce ne sono state 229 anticipate.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

 

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