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Quando gli osservatori istituzionali rendono noti dati statistici o trend economico-finanziari problematici se non addirittura critici, il governo giallo-verde, nelle persone dei due vice-premier, fornisce una sua versione dei fatti. La responsabilità di queste performance assai poco rassicuranti deve essere attribuita agli esecutivi della passata legislatura che avevano varato una legge di bilancio intessuta della prassi maniacale (ed imposta dall’Europa matrigna) della austerità (una politica che in Italia non si è mai vista sul serio). Per quanto riguarda, invece, la nuova maggioranza essa potrà essere giudicata soltanto a partire del 1° gennaio prossimo quando entrerà in vigore la manovra improntata alla crescita e al benessere del popolo italiano. Fino ad ora, aggiungono gli esponenti della nuova coalizione, il governo, sui temi economici e del lavoro, non ha ancora fatto nulla se non il decreto dignità che ha cominciato a determinare i suoi effetti dal 1° novembre.
C’è del vero in questa difesa da avvocato d’ufficio che si appella alla clemenza della Corte. Ma è troppo facile replicare che – seguendo questa logica – una volta approvata la legge di bilancio qualunque esecutivo potrebbe avvalersi di un lungo periodo di aspettativa, limitandosi, di tanto in tanto, a monitorare i processi in corso, senza intervenire (unicuique suum), qualora si presentasse la necessità di correzioni, se ad avviarli fossero stati avversari politici. Le misure di aggiustamento a tempo debito, perché il compito di una compagine ministeriale non è quello di affrontare i problemi del Paese, ma quello di fare in permanenza campagna elettorale in polemica con i predecessori.
L’altra osservazione è ancora più inquietante: il governo giallo-verde sta mettendo in ginocchio il Paese più per effetto delle parole a vanvera e delle dichiarazioni arroganti dei suoi maggiori esponenti che non attraverso leggi e provvedimenti discutibili. La crescita dell’economia – dopo 14 trimestri caratterizzati da un segno moderatamente positivo – si è dapprima fermata, poi in ottobre ha invertito la rotta (rendendo ancor più improbabile che nel 2019 il Pil aumenti dell’1,5% come è previsto a sostegno della manovra); il tasso di disoccupazione ha ripreso ad aumentare; gli investitori si sono messi sull’Aventino. In proposito è molto serio il quadro descritto da Bankitalia, nell’ultimo Bollettino economico. Gli investitori non residenti hanno ridotto – scrive via Nazionale – le loro consistenze di titoli di portafoglio italiani di 42,8 miliardi: i disinvestimenti hanno riguardato soprattutto i titoli pubblici (24,9 miliardi) e le obbligazioni bancarie (12,4 miliardi). Gli acquisti di titoli pubblici italiani effettuati da non residenti nel periodo tra gennaio e aprile (41,7 miliardi) sono stati più che compensati dalle vendite registrate in maggio e in giugno (57,9 miliardi nei due mesi), in concomitanza con le tensioni sui mercati finanziari del nostro paese; in luglio e agosto gli investitori esteri hanno venduto titoli del debito sovrano complessivamente per 8,7 miliardi. L’aumento dello spread è costato ai cittadini quasi 1,5 miliardi di interessi in più negli ultimi sei mesi. Saliranno a oltre 5 miliardi nel 2019 e a 9 miliardi nel 2020. La quattordicesima emissione del Btp ITalia si è chiusa con una raccolta pari 2,1 miliardi di euro. A fronte della stima del Tesoro per un incasso atteso tra 7 e 9 miliardi. Il collocamento era destinato al mercato retail italiano, ma fin dal primo giorno di offerta, la raccolta è apparsa molto debole con i risparmiatori e le famiglie poco disposti a sottoscrivere l’emissione. Cautela confermata anche nelle sedute dei giorni successivi, tanto che il collocamento retail è stato archiviato con un totale di 31mila contratti per un controvalore di 863 milioni di euro, record negativo di sempre per il Btp Italia riservato ai risparmiatori. Al di sotto delle aspettative anche la raccolta tra gli investitori istituzionali. La domanda si è, infatti, fermata a quota 1,3 miliardi, attraverso 55 richieste di adesione. È il bilancio di un’emissione del Btp Italia che si è conclusa con il secondo peggior risultato, dopo quello del giugno 2012, quando furono raccolti poco più di 1,7 miliardi. Non sono segnali incoraggianti questi, se nel corso del 2019 il fabbisogno sarà di circa 400 miliardi di euro. Sempre secondo Bankitalia il calo dei titoli di Stato «ha determinato una riduzione del valore della ricchezza finanziaria delle famiglie» del 2% (poco meno di 85 miliardi) nei sei mesi a giugno, e «negli ultimi mesi il peggioramento dei corsi azionari e obbligazionari si sarebbe riflesso in un’ulteriore perdita di valore di circa l’1,5 per cento». Ma tutto questo per il governo non conta.
È in arrivo l’età del “latte e del miele”. La manovra di bilancio non porterà agli italiani solo lo sviluppo economico e nuovi posti di lavoro, ma anche la felicità. E la povertà sarà messa fuori legge (tanto più che l’accattonaggio è divenuto un reato grazie alla conversione del decreto sicurezza). L’ultimo gioco delle tre carte lo stanno facendo con i fondi (per le pensioni e per il reddito di cittadinanza, rispettivamente di 6,7 e di 9 miliardi nel 2019) di cui all’articolo 21 della legge di bilancio. Dovendo stringere la cinghia per accontentare Bruxelles e ridurre il deficit di qualche decimale, si sono inventati che, in verità, quegli stanziamenti sono stati troppo generosi e che, dunque, si possono attuare le misure promesse agli elettori (delle quali non vi è traccia nella manovra) con un ammontare inferiore di risorse, senza l’esigenza di ridurre le platee interessate. Intanto, per ora, gli emendamenti relativi non sono ancora stati presentati, a pochi giorni di distanza da quando il disegno di legge andrà in Aula alla Camera. Per fortuna la Ragioneria generale vigila e non è disposta a regalare a nessuno la “bollinatura” delle norme di spesa.
Membro del Comitato scientifico ADAPT