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Bollettino ADAPT 7 dicembre 2020, n. 45
Nel quadro delle misure finalizzate a contrastare le ripercussioni negative sull’economia nazionale causate della diffusione del Covid-19, il Governo ha istituito il Fondo Nuove Competenze (FNC), secondo le previsioni contenute nell’art. 88 comma 1 del Decreto Legge n. 34/2020, nell’art. 4 del Decreto Legge n. 104/2020 e nel Decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze del 9 ottobre 2020, a cui ha dato attuazione il provvedimento di Avviso dell’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive.
Il Fondo Nuove Competenze è finanziato con le seguenti fonti di risorse:
a) 230 milioni a valere sul PON SPAO;
b) 500 milioni a valere sulle risorse previste dall’art. 4 del Decreto Legge 14 agosto 2020, n. 104, dei quali 200 milioni di euro per l’anno 2020 e 300 milioni di euro per l’anno 2021.
Ulteriori eventuali conferimenti di risorse potranno essere disposti da Amministrazioni nazionali o regionali titolari di Programmi Operativi a valere sul Fondo Sociale Europeo, ai sensi dell’art. 88 comma 2 del Decreto Legge n. 34/2020. I conferimenti da parte di tali Amministrazioni potranno essere effettuati anche con risorse proprie.
Nello specifico è previsto che le imprese e le rappresentanze sindacali dei lavoratori possano stipulare intese di rimodulazione dell’orario di lavoro per mutate esigenze organizzative e produttive dell’impresa, con le quali destinare parte dell’orario di lavoro a percorsi formativi. L’accordo collettivo deve essere concluso a livello aziendale o, in alternativa, a livello territoriale, rendendo così possibile l’accesso al Fondo anche alle micro e piccole imprese che non hanno esperienze di contrattazione integrativa al proprio interno.
Il Fondo Nuove Competenze è stato istituito presso l’Agenzia Nazionale delle Politiche Attive del lavoro, secondo le disposizioni contenute nel Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 150, articolo 9, il quale attribuisce all’ANPAL il compito di promuovere e coordinare i programmi cofinanziati dal Fondo Sociale Europeo, di gestire i programmi operativi nazionali e di vigilare sui fondi interprofessionali per la formazione continua, nonché sui fondi bilaterali.
La procedura di accettazione prevede che, ai fini dell’approvazione dell’istanza, ANPAL richiede alle Regioni/Province Autonome interessate di esprimere, tenendo conto anche della programmazione regionale, un parere sul progetto formativo. Decorsi i 10 giorni dalla data di richiesta il parere si intende acquisito positivamente per silenzio assenso.
Per quanto attiene al monitoraggio delle attività, anche queste sono attribuite all’ANPAL, che dovrà provvedere a svolgere due diversi monitoraggi:
- Il monitoraggio delle risorse finanziarie, che dovrà avvenire con cadenza trimestrale, anche per fonte di finanziamento, dando comunicazione degli esiti a tutte le Amministrazioni interessate.
- Il monitoraggio fisico dei risultati raggiunti, attraverso la redazione di note informative periodiche che saranno pubblicate sul sito istituzionale di ANPAL.
Riguardo agli aspetti sopra descritti, desta più di una perplessità l’attribuzione all’Anpal di tutti i compiti di valutazione e monitoraggio dei progetti presentati dalle aziende, senza che siano previsti adeguati strumenti e strutture di analisi e verifica, relativamente a percorsi che richiederebbero una presenza di strutture e servizi (anche ai fini del supporto) più prossimi alle specifiche realtà produttive, rispetto ad un soggetto nazionale qual è l’Anpal.
Per quanto riguarda i soggetti erogatori della formazione, l’Avviso pubblico dell’Anpal indica che “sono individuabili come soggetti erogatori dei percorsi formativi, tutti gli enti accreditati a livello nazionale e regionale, ovvero altri soggetti, anche privati, che per statuto o istituzionalmente, sulla base di specifiche disposizioni legislative o regolamentari anche regionali, svolgono attività di formazione, ivi comprese le università statali e le non statali legalmente riconosciute, gli istituti di istruzione secondaria di secondo grado, i Centri per l’Istruzione per Adulti (CPIA), gli Istituti Tecnici Superiori (I.T.S.), i centri di ricerca accreditati dal Ministero dell’Istruzione, anche in forma organizzata in reti di partenariato territoriali o settoriali. (…) Può svolgere il ruolo di soggetto erogatore della formazione la stessa impresa che ha presentato domanda di contributo, laddove l’accordo collettivo lo preveda.”
Si tratta, con tutta evidenza, di soggetti che possono erogare percorsi formativi di qualità differente, alcuni dei quali (gli istituti secondari superiori) senza dubbio impreparati a fornire formazione aldilà della specifica missione didattica ad esse attribuita, altri (in particolare gli Istituti Tecnici Superiori e le Università) che pur essendo qualificati e validi, sono fortemente vincolati a tempistiche e procedure di programmazione della formazione piuttosto rigide, nelle quali con difficoltà si possono inserire i percorsi formativi con le modalità descritti dal FNC. È necessario infatti ricordare come le attività di sviluppo delle competenze devono concludersi entro 90 giorni (120 in caso di coinvolgimento dei Fondi interprofessionali) dalla data di approvazione della domanda da parte di ANPAL; tra l’altro i tempi per la presentazione dei progetti sono particolarmente stretti (gli accordi devono essere sottoscritti entro il 31 dicembre 2020).
La possibilità di svolgere la formazione direttamente nella propria azienda è un elemento di forte criticità, e in assenza di criteri selettivi relativamente alle metodologie formative ed alle competenze dei formatori, rischia di rivelarsi inefficace o puramente formale.
Riguardo ai destinatari, l’avviso afferma: “sono destinatari del contributo tutti i datori di lavoro privati che, ai sensi dell’art. 88, comma 1 del richiamato Decreto Legge n. 34/2020, abbiano stipulato entro il 31 dicembre 2020 gli accordi collettivi di rimodulazione dell’orario di lavoro. Sono interessati dagli interventi i lavoratori dipendenti occupati nelle imprese ammesse a beneficiare dei contributi finanziari del FNC o in somministrazione, per i quali è ridotto l’orario di lavoro a fronte della partecipazione a percorsi di sviluppo delle competenze, previsti dall’accordo collettivo.”
L’investimento ai fini del miglioramento delle competenze dei lavoratori occupati è senza dubbio un fatto positivo, è tuttavia da evidenziare come la delega completa della progettazione della formazione alle parti sociali esclude la possibilità di percorsi individuali, nei quali siano i singoli lavoratori a scegliere le opzioni formative e gli enti erogatori: a tale proposito, sarebbe stato opportuno prevedere, accanto all’attenzione prestata alle esigenze delle imprese, risorse da utilizzare per quei lavoratori che, seppure occupati, vivano situazioni di fragilità nel contesto aziendale, e intendano transitare a nuovi rapporti di lavoro o comunque rafforzare le proprie competenze al fine di essere maggiormente efficaci nella loro attività, oppure incrementare la propria occupabilità ai fini di avere nuove opportunità lavorative.
Sarebbe stato inoltre utile un accordo quadro nazionale, al fine individuare delle aree-obiettivo di sviluppo delle competenze all’interno del quale strutturare i percorsi formativi aziendali.
È necessario sottolineare come, a fronte di un investimento rilevante nelle politiche attive a favore degli occupati, permanga una assordante mancanza di progettualità sul fronte dei soggetti inoccupati e disoccupati. I pochi strumenti di innovazione prodotti negli scorsi anni sono stati accantonati, a iniziare dall’Assegno di ricollocazione: il Decreto Legge 28 gennaio 2019, n. 4 ne ha modificato la normativa, limitandone l’erogazione ai soli percettori di reddito di cittadinanza e ai lavoratori in Cassa integrazione straordinaria (Cigs) purché i loro profili e ambiti siano previsti dall’Accordo di ricollocazione sottoscritto dalla loro azienda e dalle organizzazioni sindacali, sottraendo tale strumento agli altri disoccupati o inoccupati (anche percettori di NASPI da almeno 4 mesi, ai quali era destinato precedentemente alla modifica).
È evidente come, a cinque anni dal Jobs Act e dall’istituzione dell’Anpal, il progetto di rafforzamento delle politiche attive del lavoro – dall’assegno di ricollocazione al meccanismo dell’offerta congrua, fino alla previsione dei livelli essenziali di prestazione da garantire su tutto il territorio nazionale – sia ancora privo degli strumenti che dovrebbero darne pienamente corso. L’obiettivo della realizzazione del portale nazionale delle politiche del lavoro previsto è lungi dall’essere realizzato, e il Portale Anpal sembra ancora un contenitore destinato a restare estraneo alle reali esigenze del mercato del lavoro. Non solo: la realizzazione del portale rappresenta solo l’inizio di un percorso che dovrebbe portare alla realizzazione del sistema informativo unico delle politiche del lavoro. Il fascicolo elettronico del lavoratore è rimasto sulla carta: è necessario che il legislatore ne individui le modalità operative di realizzazione in modo stringente, al fine di evitare che tale strumento non venga mai realizzato, come precedentemente accaduto con il libretto formativo del cittadino.
Non sarà possibile raggiungere risultati stabili nel tempo se non si affronterà la tematica delle politiche attive secondo una logica di sistema, che coinvolga tutti gli attori in campo: Anpal, servizi pubblici per l’impiego, agenzie per il lavoro, scuole, università, ITS, enti formativi. È necessario individuare obiettivi e meccanismi condivisi, i quali devono avere la flessibilità che consenta di declinare i percorsi in base alle caratteristiche individuali dei lavoratori e alle peculiarità regionali e locali: a tale proposito, è illusorio pensare che la soluzione sia soltanto nel riportare le politiche attive a livello centrale, in un tessuto produttivo, come quello italiano, fatto di vocazioni produttive locali, che spesso richiedono competenze e professioni strettamente aderenti al territorio.
La realizzazione di politiche attive efficaci necessita della presenza di una rete di servizi pubblici e privati in grado di analizzare le competenze dei singoli lavoratori e di orientarli: le politiche attive non possono essere rivolte a categorie generiche come accadeva in passato (donne, over45, inoccupati, under 30, ecc.). Ad esempio, un ingegnere informatico over 45 di Milano non può essere trattato allo stesso modo del tecnico delle ceramiche di Sassuolo o del geometra di Bari: occorrono percorsi di politica attiva che siano personalizzati, realizzati in modo sinergico con le strutture formative, a iniziare dagli enti formativi e dalle Università. Riguardo queste ultime, è necessario sottolineare che ad oggi l’università italiana non ha la flessibilità organizzativa, didattica e di costi necessaria per supportare i percorsi di riqualificazione dei lavoratori adulti.
Un ulteriore elemento riguarda il legame tra politiche passive e politiche attive: occorre superare definitivamente il paradosso dei sussidi privi di condizionalità, chiunque percepisce una indennità deve essere impegnato in percorsi di reinserimento nel mercato del lavoro. A tale proposito e in tale direzione deve essere profondamente riformato il reddito di cittadinanza, a iniziare dalla netta distinzione tra il sostegno economico che si affianca alle politiche attive dal reddito di ultima istanza erogato a soggetti o nuclei famigliari che non possono partecipare a tali percorsi.
Le politiche attive del lavoro sono un elemento strategico per la ripresa economica del nostro paese nella fase difficile che seguirà la pandemia dovuta al Covid-19, non solo perché indispensabili alla riqualificazione dei lavoratori e al rafforzamento delle loro competenze, ma anche perché – contrariamente ad una errata opinione diffusa – l’efficacia della collaborazione tra servizi per il lavoro, aziende e mondo formativo può innescare un circolo virtuoso che può incidere positivamente sulla creazione di occupazione.
Gianluca Meloni
ADAPT Professional Fellow