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Bollettino ADAPT 11 gennaio 2019, n. 6
1. Inquadramento
L’Italia è stato uno degli ultimi Paesi a regolare il canale di formazione terziaria non universitaria, concretizzatosi nel nostro ordinamento con gli istituti tecnici superiori (ITS), le cui origini risalgono al 1999[1], la regolazione di dettaglio al 2008[2] e l’avvio al 2011[3].
Il bilancio dei primi sette anni è certamente positivo: numero crescente di iscrizioni, un sempre più marcato interesse del mondo delle imprese, esiti occupazionali particolarmente soddisfacenti, nonostante la ancora diffusa ignoranza a riguardo della esistenza stessa di questa opportunità formativa. Permangono certamente, a monte di ogni nodo tecnico e reputazionale, diffidenze culturali verso qualsiasi modalità di formazione work-based, tanto più se terziaria. Lo stesso pregiudizio accompagna ancora oggi l’istruzione e formazione professionale (IeFP), i percorsi professionalizzanti triennali di competenza regionale, nonché l’istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS), una sorta di specializzazione della IeFP[4].
Secondo i dati raccolti da INDIRE, in Italia nel 2018 sono presenti 101 Istituti Tecnici Superiori, con 433 percorsi attivi, 10.562 studenti iscritti, 2.307 soggetti partner (di cui 813 imprese) e 7.106 imprese coinvolte nella realizzazione degli stage. Nel 2015 (anno del primo monitoraggio di INDIRE sul sistema ITS) i diplomati erano 1.098; sono stati 2.193 nel 2018. Pur restando ancora esigui in termini relativi (i soli laureati triennali ogni anno sono circa 180.000), i numeri sono raddoppiati in tre anni.
1.1. Comparazione internazionale e performance occupazionale
Certamente si tratta di valori ancora molto distanti da quelli delle migliori pratiche internazionali. Si consideri innanzi tutto il caso tedesco: le Fachhochschule, percorsi equivalenti agli ITS, hanno contato negli ultimi tre anni più di 900.000 iscritti. Numeri significativi, che non a caso le istituzioni europee e la stessa dottrina giuslavoristica, economica e pedagogica citano come uno dei fattori di maggiore forza della Germania[5]. Gli iscritti agli ITS in Italia sono il 3% degli iscritti all’università; in Germania gli iscritti alle Fachhochschule sono il 56% rispetto a quelli universitari. Non solo: negli ultimi tre anni, gli iscritti a questi percorsi sono aumentanti in misura maggiore rispetto a coloro che hanno scelto l’università: +5,3% contro +1,4%.
La preferenza verso le Fachhochschule è sintomo della loro estrema efficacia in termini occupazionali. È d’altra parte proprio questa, la compiuta costruzione della transizione tra la formazione e il lavoro, una delle caratteristiche peculiari del sistema duale tedesco.
La stessa osservazione è, in questo caso, trasferibile sugli ITS. Le performance occupazionali dei diplomati sono andate migliorando, a dimostrazione della esistenza di una rete efficace tra gli istituti e le imprese: nel 2015 gli occupati entro un anno dal titolo di studio erano il 78,2% sul totale dei diplomati, nel 2018 l’82,5%. Il 47,5% di questi sottoscrive un contratto a tempo determinato, il 29,9% a tempo indeterminato e il 22,7% un contratto d’apprendistato. Le performance occupazionali sono certamente migliori di quelle osservabili tra i laureati.
Grafico 1. Diplomati e occupati per anno (ITS)
Fonte: INDIRE, 2018
2. Gli ITS in regione Lombardia
All’interno del panorama italiano, a primeggiare tra le regioni per quanto concerne l’istituzione delle Fondazioni che attivano i percorsi di Istruzione Tecnica Superiore, nonché il loro consolidamento, è la Lombardia. Vi è una indubbia correlazione tra la ricchezza del tessuto imprenditoriale e il numero di percorsi attivati. Parimenti, è fattore di fertilizzazione prezioso per la coltivazione di percorsi terziari work-based la solida tradizione della formazione professionale lombarda, da sempre in dialogo con il mondo del lavoro, erede di quelle scuole industriali che hanno reso competitivo il Nord Italia.
Grafico 2. Percorsi attivi e aree tecnologiche (ITS)
Fonte: INDIRE, 2018
Come si può notare dal grafico 2, non solo in Italia il numero di percorsi ITS attivi è in aumento, ma anche nella sola Lombardia. Sul totale di percorsi realizzati nel nostro Paese, il 23% hanno sede legale e operativa in questo territorio.
Coerentemente con questi dati, anche per quanto riguarda i percorsi attivi per aree tecnologiche la Lombardia è la prima regione italiana (tabella 1).
Tabella 1. I percorsi attivi per area tecnologica (ITS)
Area tecnologica | Percorsi attivi in Lombardia | Percorsi attivi in Italia | Percentuale Lombardia su totale Italia |
Tecnologie della informazione e della comunicazione | 3
|
12 | 25% |
Nuove tecnologie della vita | 1 | 7 | 14,1% |
Mobilità sostenibile | 2 | 17 | 11,7% |
Tecnologie innovative per i beni e le attività culturali – Turismo | 3 | 10 | 30% |
Efficienza energetica | 2 | 15 | 13,3% |
Nuove tecnologie per il Made in Italy/sistema meccanica – servizi alle imprese | 1 | 3 | 33,3% |
Nuove tecnologie per il Made in Italy/sistema agroalimentare | 4 | 16 | 25% |
Nuove tecnologie per il Made in Italy/sistema casa | 2 | 2 | 100% |
Nuove tecnologie per il Made in Italy/sistema moda | 1 | 8 | 12,5% |
Nuove tecnologie per il Made in Italy/sistema meccanica | 1 | 11 | 9% |
Totale | 20 | 101 | 19,8% |
Fonte: INDIRE, 2018
Approfondendo il dato a livello provinciale, si può notare che tutte le province lombarde eccetto quella di Lecco ospitano una Fondazione ITS nel proprio territorio, a riprova della pervasività che il sistema degli Istituti Tecnici Superiori ha assunto in Lombardia.
Tabella 2. I percorsi ITS attivi nelle Province lombarde
Provincia | Percorsi ITS attivi |
Bergamo | 3 |
Brescia | 1 |
Como | 2 |
Cremona | 1 |
Lecco | / |
Lodi | 1 |
Mantova | 1 |
Città metropolitana di Milano | 5 |
Monza e Brianza | 2 |
Pavia | 1 |
Sondrio | 1 |
Varese | 2 |
Fonte: INDIRE, 2018
Il dato regionale è rilevante anche sotto il profilo del rapporto tra studenti iscritti, percentuale di diplomati e tasso di occupazione a 12 mesi dal diploma. Gli esiti del monitoraggio realizzato da INDIRE per gli anni 2015-2018 sono piuttosto incoraggianti (grafici 3 e 4).
Grafico 3. Diplomati ITS per anno
Fonte: INDIRE, 2018
Grafico 4. Occupati entro 12 mesi dalla fine del percorso ITS
Fonte: INDIRE, 2018
Il grafico 4 mostra l’andamento del rapporto tra diplomati e occupati entro un anno da titolo, statistica questa che ha avuto picchi di circa l’85%, con perfomance lombarde sempre superiori a quelle nazionali. Sul totale dei percorsi monitorati in Italia, dal 2013 al 2016 più del 15% degli occupati si è diplomato in un ITS lombardo.
In Lombardia le aziende partner di Fondazioni ITS sono 127, suddivise come di seguito (grafico 5) in base alla loro dimensione.
Grafico 5. Dimensione delle aziende partner degli ITS (numero dei dipendenti)
Fonte: INDIRE, 2018
Com’è facile notare, sono soprattutto le PMI che collaborano alla realizzazione di questi percorsi, non solo ospitando studenti in stage curriculare, ma progettando il profilo professionale in uscita dagli ITS e mettendo a disposizione, come formatori, i propri dipendenti.
È un dato rilevante e tutt’altro che ovvio: gli Istituti Tecnici Superiori si confermano degli efficaci driver d’innovazione e sviluppo non solo per le grandi aziende, ma anche – e soprattutto – per tutto quel tessuto imprenditoriale di piccole e medie dimensioni che contraddistingue il territorio lombardo. Sono protagonisti della competitività territoriale lombarda, la dimensione necessaria per sopravvivere nel mercato mondiale 4.0.
È provato anche dalla statistica relativa alle aziende che ospitano i percorsi di tirocini, in maggior parte medio-piccole: su un totale di 1.394 imprese coinvolte nella promozione di esperienze formative e di orientamento, la larga maggioranza ha meno di 50 dipendenti.
Grafico 6. Dimensione delle aziende (numero dei dipendenti) che ospitano in tirocinio studenti degli ITS
Fonte: INDIRE, 2018
Questi dati confermano la dimensione territoriale e locale nella quale si realizzano gli ITS: è infatti attraverso la collaborazione tra enti formativi, scuole, università, aziende che può essere progettato un percorso ITS, attraverso cioè una trama di relazioni locali in grado di esaltare le eccellenze territoriali. Ciò permette di realizzare una “infrastruttura formativa” che è la necessaria precondizione per la buona riuscita di un percorso d’Istruzione Tecnica Superiore. Le PMI lombarde sono state (e sono) attente a cogliere l’opportunità offerta da questi percorsi, così da poter formare giovani qualificati e dotati di competenze innovative ed effettivamente richieste dal mercato del lavoro locale.
3. Qualche considerazione conclusiva
Le performance occupazionali sono una ragione sufficiente per scegliere i percorsi ITS per molti potenziali iscritti. In un contesto, come quello italiano, nel quale l’università risulta inefficiente in quello che dichiara essere il suo proposito (formare professionisti e cittadini del futuro), con palesi conseguenze sulle percentuali di placement dei suoi laureati, poter accedere a un canale formativo costruito in costante rapporto con il mondo del lavoro è una occasione, se non un privilegio, da sfruttare.
Tale ragione non può però essere ritenuta soddisfacente anche in termini pedagogici[6]: qualsiasi canale di formazione rivolto innanzitutto ai giovani, in particolar modo se e quando alternativo alla (debole) offerta tradizionale, deve mirare alla occupabilità lungo l’intero arco della vita della persona, non soltanto all’occupabilità di breve periodo[7]. Il fine è la formazione integrale della persona (che, se reale, rende il giovane anche occupabile) e non l’addestramento utile a un placement occasionale.
È probabilmente questa la sfida futura per gli Istituti Tecnici Superiore in tutta Italia e in primis in Lombardia, dove sono arrivati a un grado di maturazione che li avvicina molto alle buone pratiche europee: posizionarsi come un canale di formazione innovativo e moderno non soltanto nella individuazione dei profili in uscita, ma anche nei metodi pedagogici applicati. Non possono accontentarsi, i promotori degli ITS, di diventare il polo formativo in grado di accompagnare la Quarta Rivoluzione Industriale, approfittando della cronica lentezza dell’università nell’interpretare in chiave didattica i cambiamenti della economia e della società. Accanto a questa lungimiranza, ancor più distintiva dovrebbe essere la metodologia pedagogica proposta agli studenti, tutta da incentrare sulle competenze e sulle potenzialità formative (ed educative) della esperienza pratica e lavorativa. La fiacchezza della università è infatti dovuta al dogmatismo della formazione teorica e generale, alla inefficacia di un calendario didattico piegato sulle esigenze dei docenti più che su quelle dei discenti e del mercato. Gli Istituti Tecnici Superiori possono ritagliarsi uno spazio di sopravvivenza più forte di qualsiasi laurea specializzante non avendo paura di insistere sul metodo dell’alternanza formativa, sulla circolarità tra teoria e pratica, sulla necessità di formare tanto il cervello, quanto il braccio. Solo un approccio di questo genere è in grado di fare emergere (e non di trasmettere, non essendo “oggetti”)[8] quelle competenze trasversali di natura personale di cui abbisogna l’impresa 4.0, ben più di qualsiasi nozione e abilità tecnica e specialistica.
Procedendo in questa direzione sarà anche possibile affermare un vero e proprio sistema di istruzione terziaria non accademica italiano, originale nella sua conformazione, finalizzato alla educazione della persona oltre il semplice placement e per questo distinto dal meccanismo duale tedesco.
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo
Presidente ADAPT
*pubblicato anche su New Jobs e New Skills, Gli ITS come “laboratorio” per sviluppare insieme nuovi lavori e nuove competenze, Assolombarda, Dispensa n. 1/2019
[1] Il riferimento è all’articolo 69 della legge 17 maggio 1999, n. 144, che ha istituito il sistema dell’istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS). Perché questo fosse avviato occorreva un decreto, approvato l’anno successivo (decreto interministeriale 31 ottobre 2000, n. 436) e pubblicato in Gazzetta Ufficiale oltre tre mesi più tardi, il 5 febbraio 2001.
[2] Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 25 gennaio 2008 recante “Linee guida per la riorganizzazione del sistema di istruzione e formazione tecnica superiore e la costituzione degli Istituti tecnici superiori” può essere considerato l’atto fondativo degli ITS, che assumono identità e regolazione autonomia rispetto agli IFTS.
[3] Solo il 7 settembre 2011 sono state definite da Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca le figure nazionali di riferimento dei percorsi ITS. Di conseguenza la prima vera sperimentazione è iniziata nell’anno scolastico 2011/2012
[4] Corrisponde al quarto livello EQF, equivalente quindi a un diploma dell’istruzione secondaria superiore e non a un titolo terziario, quale il diploma di tecnico superiore (livello 5), la laurea triennale (livello 6) o quella specialistica (livello 7).
[5] C. Grund-J. Martin, Determinants of Further Training: Evidence for Germany, IZA DP, 2010, n. 5315; F. Berlingieri-H. Bonin-M. Sprietsma, Youth Unemployment in Europe. Appraisal and Policy Options, Robert Bosch Stiftung, Stuttgart 2013
[6] E. Massagli, L’istruzione superiore alla prova dell’employability: inquadramento di un’opzione culturale, Rivista Formazione, Lavoro, Persona, n°12 dedicato a Istruzione superiore, alta formazione e dottorati di ricerca, Settembre 2014, Bergamo, p. 29-37
[7] E.A. Hanushek-L. Wössmann-L. Zhang, General Education, Vocational Education, and Labor-Market Outcomes over the Life-Cycle, NBER Working Paper, 2011, n. 17504.
[8] G. Bertagna, Saperi disciplinari e competenze, in «Studium Educationis», vol. III, 2010, n. 2, p. 5