È stato stimato che ogni anno nel mondo si verificano circa 270 milioni di infortuni sul lavoro e 160 milioni di malattie professionali, con un conseguente costo economico (derivante da spese sanitarie, indennizzi, perdita di produttività, ecc.) pari al 4% del prodotto interno lordo (PIL), cioè circa mille miliardi di dollari (Fonte: International Labour Organization – ILO, 2009). In Europa, gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali comportano una spesa annuale pari al 3-4% del PIL, ovvero circa 200-300 miliardi di euro (Fonte: Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, 2008).
In Italia è stimato che il costo annuale della mancata prevenzione degli infortuni sul lavoro e le malattie professionali sia pari al 3% del PIL nazionale, ovvero circa 44 miliardi di euro (Fonte: Bollettino Ufficiale Regione Lombardia, 2004 e 2008; INAIL, 2008).
Le stime sopra riportate non consentono però di calcolare i costi “umani”, conseguenti essenzialmente a disabilità e decessi, incalcolabili sia per l’individuo sia per le strutture sociali all’interno dei quali questo è inserito.
Nel nostro Paese le aziende sono obbligate ad analizzare i luoghi di lavoro, le lavorazioni del proprio ciclo produttivo e a individuare le fonti di pericolo concrete e potenziali per i lavoratori, al fine di effettuare una valutazione dei rischi e di attuare effettive misure di prevenzione, finalizzate ad eliminare/ridurre i rischi e il verificarsi di eventi dannosi/pericolosi. Le aziende devono inoltre pianificare un programma di miglioramento volto a ridurre continuamente e progressivamente il rischio residuo e a migliorare la gestione partecipata della sicurezza negli ambienti di lavoro.
La situazione sopra descritta è il punto di arrivo di un articolato percorso di sviluppo normativo, il quale ha come caposaldo l’articolo 2087 del Codice Civile, secondo il quale il datore di lavoro ha l’obbligo di attenersi al principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile; si tratta di un principio «cristallino e reciso nell’intimare all’imprenditore un impegno spinto fino agli ultimi confini tracciati da particolarità del lavoro, esperienza e tecnica» (cfr. R. Guariniello, Se il lavoro uccide, Einaudi, Torino, 1983, 103).
Dal punto di vista della struttura dell’ordinamento giuridico prevenzionistico, può dirsi che il principio chiave della massima sicurezza possibile è al vertice delle norme vigenti e trova espressione, all’interno di una struttura ordinata gerarchicamente, dapprima nelle norme di grado superiore e via via in quelle di grado inferiore.
A partire dagli anni Novanta del secolo scorso, la legislazione in materia di igiene e sicurezza del lavoro, a seguito del recepimento di diverse direttive europee (e in particolare della direttiva 89/391/CEE), si concentra su aspetti di carattere organizzativo e sistematico, rinviando poi alle norme specialistiche (c.d. norme armonizzate) per quanto concerne gli aspetti meramente tecnici.
L’evoluzione normativa ha assunto finalità sistemica con l’entrata in vigore del Decreto legislativo n. 626/1994 e del Decreto legislativo n. 81/2008 (poi corretto dal Decreto legislativo n. 106/2009).
Tuttavia, nonostante l’imponente corpus normativo, la sicurezza del lavoro – nei suoi aspetti giuridici, culturali e civili – stenta ancora ad affermarsi nel tessuto produttivo del nostro Paese, a divenire prassi quotidiana, a essere considerata quale fondamento ineludibile di qualsiasi attività lavorativa.
Le motivazioni di tale ritardo sono molteplici e inoltre costituiscono, da un lato, un costo inaccettabile per la società, dall’altro sono un freno allo sviluppo delle aziende e dell’economia del paese nel suo complesso.
Il retaggio culturale da superare è “il rischio accettabile”, un concetto diffuso nel nostro Paese nelle aziende di tutte le dimensioni, una visione che frena gli investimenti nella sicurezza e la diffusione di comportamenti quotidiani finalizzati all’eliminazione del rischio.
La gestione aziendale della sicurezza, per essere non solo efficiente, ma per divenire davvero un elemento qualificante del processo produttivo e generare le necessarie sinergie con le altre funzioni aziendali, deve integrarsi con ulteriori aspetti di innovazione organizzativa – innanzitutto la gestione della qualità e dell’ambiente – in un quadro di impegno e di responsabilità etica dell’azienda.
Ripensare l’organizzazione aziendale della sicurezza. L’organizzazione aziendale e l’obiettivo del rischio zero
L’esperienza di diversi Paesi industrialmente avanzati dimostra come il raggiungimento dell’obiettivo del rischio zero sia possibile attraverso l’innovazione organizzativa e con l’applicazione efficace dei sistemi di gestione: questi necessitano di strumenti adeguati, tra i quali fondamentale – e spesso trascurato – è lo strumento di gestione contabile dei costi della sicurezza.
La politica del rischio zero assume come obiettivo il conseguimento dell’assenza dei costi sociali, consentendo inoltre all’azienda di rispettare le norme di prevenzione.
Non si vuole proporre una visione velleitaria, poiché è evidente che i pericoli sono insiti in tutte le attività umane, e di conseguenza anche nell’attività lavorativa.
La politica aziendale di prevenzione a rischio zero prevede la sua realizzazione in due momenti distinti ovvero il conseguimento e il mantenimento del rischio zero:
- sostenendo i costi di prevenzione in misura crescente e sempre maggiore dei costi sociali sino all’azzeramento di questi ultimi;
- mantenendo il rischio zero attraverso una condizione nel quale i costi di prevenzione costituiscono i costi totali della sicurezza, perché i costi sociali ammontano a zero. In altri termini la politica a rischio zero è conseguita (e si mantiene nel tempo) perché l’impresa sostiene solo costi di prevenzione, mentre i costi sociali risultano assenti.
Investire in prevenzione ha, inoltre, un ritorno economico per le aziende.
Perché le politiche di prevenzione a rischio zero divengano un elemento diffuso nelle organizzazioni aziendali, occorre un quadro di impegno condiviso tra i principali soggetti in campo, ossia:
- i lavoratori e le loro organizzazioni di rappresentanza;
- i datori di lavoro e il management aziendale in generale;
- le strutture pubbliche che si occupano di prevenzione e assistenza in materia di sicurezza e infortuni sul lavoro.
È necessario, inoltre, da parte dei soggetti sopra citati – con differenti ruoli e funzioni – l’attivazione di strumenti di carattere organizzativo, culturale e finanziario.
Sicurezza del lavoro, responsabilità sociale e innovazione organizzativa
È noto come le performance delle imprese dipendano non solo da elementi concreti ma anche dai cosiddetti intagibles, quali la fiducia degli stakeholders, la reputazione e l’attenzione al benessere dell’ambiente e della comunità in cui l’impresa opera o con cui entra in contatto.
L’impresa dovrebbe farsi carico di altri tipi di responsabilità che vanno oltre i risultati puramente economici, contribuendo allo sviluppo della comunità in cui si trova ad essere integrata, mantenendo nel contempo una condizione di salute dei propri collaboratori, intesa secondo la definizione del Decreto legislativo n. 81/2008, quale «uno stato completo di benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in una assenza di malattia o d’infermità». Comportamenti simili permettono alle imprese di accrescere il loro valore come “istituzioni sociali”, rafforzando la loro identità, migliorando la qualità totale, divenendo quindi non sono produttori di beni economici, ma anche di capitale sociale.
Questi elementi non devono essere considerati solamente come costi, ma anche come opportunità che permettono all’impresa di aumentare la propria competitività e i propri risultati, incrementando il proprio sviluppo. Perché tali obiettivi possano essere raggiunti, è necessario che i percorsi volti a tenere sotto controllo ed eliminare le criticità emergenti nei processi aziendali superino la loro veste formale per divenire effettivi, vivi ed efficaci: questa è la funzione per la quale sono stati ideati i sistemi di gestione.
L’organizzazione aziendale dovrebbe essere progettata per fornire un flusso di informazioni sia verticale sia orizzontale per raggiungere gli obiettivi generali dell’organizzazione. Se la struttura non soddisfa le esigenze informative dell’organizzazione, le persone avranno troppe poche informazioni oppure spenderanno tempo nell’elaborare informazioni che non sono vitali per i propri compiti, riducendo quindi l’efficacia. Nella gestione della sicurezza in ambito aziendale e nell’implementazione dei sistemi di gestione si manifestano le tensioni intrinseche tra i meccanismi verticali e quelli orizzontali tipiche un’organizzazione aziendale: infatti, mentre i collegamenti verticali sono progettati principalmente per il controllo, i collegamenti orizzontali sono progettati per il coordinamento e la collaborazione, il che implica solitamente una riduzione del controllo.
I sistemi di gestione
Con la definizione “Sistema di Gestione” si intende indicare l’insieme complesso di differenti elementi tra loro strettamente connessi: struttura organizzativa, attività di pianificazione, responsabilità, prassi, procedure, processi e risorse per elaborare, mettere in atto, conseguire, riesaminare e mantenere attiva la politica aziendale.
L’introduzione dei sistemi di gestione ha reso possibile la transizione verso delle modalità di produzione di beni e servizi nelle quali non soltanto si è mantenuta e accresciuta la qualità, ma è stato inoltre reso possibile il trasferimento delle professionalità e delle esperienze acquisite nel tempo da operatori e tecnici a sistemi aziendali nei quali tutte le fasi del processo produttivo sono adeguatamente documentate e standardizzate, garantendo in tale modo la rintracciabilità e la riproducibilità delle stesse.
L’articolo 30 del d.lgs. n. 81/2008 fornisce una definizione del modello di gestione finalizzato alla prevenzione dei rischi sui luoghi di lavoro. Qualora i rischi non possano essere completamente eliminati, si deve operare sul concetto di riduzione del rischio, ai livelli più bassi possibili: al fine di raggiungere tale obiettivo è necessaria la partecipazione consapevole di tutti i soggetti all’interno del contesto aziendale, e in particolare dei lavoratori; in tale ottica, i modelli di organizzazione e gestione della sicurezza sul lavoro offrono una solida infrastruttura culturale e procedurale.
Sulla base delle indicazioni dell’articolo 30 del d.lgs. 81/2008, la realizzazione del modello non è obbligatoria, ma le aziende guardano a questo approccio con sempre maggiore interesse (sono in crescita infatti le aziende certificate secondo BS OHSAS 18001:2007).
Implementare un SGSL, inoltre, permette di innescare un circolo virtuoso che consente di ottenere anche miglioramenti sul piano economico: in particolare l’INAIL prevede una riduzione dei ratei assicurativi dal 10% fino anche al 30%, combinato al meccanismo bonus-malus legato al tasso di infortunio.
In Italia, l’attenzione – sia dal punto di vista della ricerca scientifica, sia dal punto di vista dell’applicazione nei contesti aziendali – è soprattutto rivolta ad una applicazione dei sistemi di gestione (in particolare modo qualità e ambiente, negli ultimi anni sicurezza del lavoro) al fine di conseguire degli obiettivi di business. Le aziende, di conseguenza, perseguono il semplice raggiungimento della certificazione al fine, da un lato, di ottenere l’accesso a specifiche opportunità che richiedono il requisito specifico (bandi pubblici), dall’altro di avere visibilità e riconoscimento nel mercato da parte di clienti e partner. L’implementazione dei sistemi al fine di un effettivo miglioramento delle performance dell’organizzazione nel suo complesso è invece un percorso intrapreso da una minoranza di realtà aziendali, mentre costituiscono una rarità le aziende le quali individuano in tale soluzione un’opportunità per sperimentare percorsi di miglioramento e rimodellamento organizzativo dell’azienda. Anche i percorsi d’integrazione tra i differenti sistemi appare spesso esclusivamente finalizzata ad una semplice razionalizzazione formale – documentale.
L’implementazione dei sistemi di gestione della Qualità e di quello Ambientale hanno avuto una notevole diffusione anche nel nostro Paese, mentre minore è stata la diffusione dei sistemi di gestione della CSR (Corporate Social Responsability). Per quanto riguarda i sistemi di gestione della Sicurezza e della Salute, gli standard più diffusi risentono ancora delle criticità relative alla correlazione con le richieste del d.lgs. n. 231/2001.
Le esperienze del Giappone e di differenti Paesi europei indicano invece la possibilità di pratiche virtuose nella gestione della sicurezza attraverso modalità organizzative innovative, che valorizzano percorsi di diffusione delle conoscenze in ambito aziendale attraverso luoghi e momenti di confronto e formazione formali ed informali. In tali contesti ha spesso un carattere strategico l’impatto dei sistemi di gestione sull’organizzazione aziendale, e le modalità attraverso le quali le procedure implementate con i sistemi di gestione divengono “l’infrastruttura” che consente di superare nelle aziende un approccio parziale e frammentario alle problematiche organizzative, sviluppando un’ottica integrata che permette la circolazione e la condivisione delle conoscenze.
Gianluca Meloni
Consulente per il mercato del lavoro – Reggio Emilia
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