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Bollettino ADAPT 27 maggio 2019, n. 20
Il Tribunale di Roma, con decisione assunta il 6 maggio 2019, è intervenuto per la prima volta (a quanto ci consta) sul tema delle collaborazioni organizzate sottoscritte in forza di accordo collettivo, per sancire la legittimità dei contratti e, cosa ancor più interessante, la tenuta ed efficacia dell’accordo collettivo specificamente esaminato, ossia l’Accordo Collettivo Assotelecommunicazioni- Asstel, Assocontact, SLC CGL, FISTEL CISL, UILCOM UIL del 31 luglio 2017.
Prima di esaminare in breve i passaggi più importanti della sentenza, appare opportuno delineare il perimetro normativo di riferimento. Il decreto legislativo n. 81/2015 ha, da un lato, abrogato la normativa in tema di collaborazioni a progetto e, dall’altro, introdotto una normativa di tutela per i collaboratori organizzati (in questo senso l’art. 2), per tali intendendosi quelle collaborazioni “(…) che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro (…)”, prevedendo, per costoro, l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato. Tali tutele, però, non trovano applicazione in alcune delle ipotesi esplicitate all’interno del comma 2, tra le quali si rinviene quella (ipotesi sub a) relativa “(…) alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore (…)”.
Nel caso esaminato da parte del Tribunale di Roma, si trattava, nello specifico di attività svolte all’interno di un call center di customer care con attività dei collaboratori in modalità out bound (nelle quali, per dirla utilizzando la definizione utilizzata dal Ministero del Lavoro all’interno della Circolare n. 17/2006 del Ministero del Lavoro, “(…) il compito assegnato al collaboratore è quello di rendersi attivo nel contattare, per un arco di tempo predeterminato, l’utenza di un prodotto o servizio (…)”. In sostanza, l’attività prevedeva il contatto degli utenti post assistenza o a seguito di una segnalazione di disservizio (con creazione di apposito “ticket” che sarebbe stato poi successivamente preso in carico da parte dei collaboratori). Il caso è, potremmo dire, un “classico” delle controversie in tema di collaborazioni nell’ambito di attività di “call center”: da un lato la committente sostiene che il collaboratore svolge la prestazione in modo autonomo senza vincoli di orario, rimandendo libero di scegliere se e quando rendere la prestazione, previa prenotazione della postazione, senza dover giustificare le assenze; dall’altro, i collaboratori evidenziano l’illegittimità delle collaborazioni su diversi fronti, da quello economico, a quello formale (per mancanza di un qualsivoglia progetto), a quello sostanziale (essendo i collaboratori in realtà soggetti a precise direttive dei team leader ed a vincoli di orario).
Il Giudice, completata l’istruttoria, ha ritenuto non sussistere, anzitutto, alcun tipo di rapporto di lavoro subordinato (“anche a voler accedere alla nozione più ampia della subordinazione, con riferimetno a sistemi di organizzazione del lavoro improntati alla esteriorizzazione di interi cicli settore produttivo”) in quanto non è risultato accertato l’obbligo contrattuale, in capo al collaboratore, di porre a disposizione del datore di lavoro le proprie energie lavorative.
Quanto, invece, alla questione successiva, ossia quella relativa alla applicabilità o meno al rapporto della disciplina prevista per le collaborazioni organizzate, il Giudice, premettendo che ciò non comporterebbe comunque la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra le parti, che resterebbe dunque tecnicamente autonomo, pur essendo disciplinato per ogni altro aspetto nello stesso modo (sulla scia di quanto precisato anche dalla Corte d’Appello Torino n. 26/2019 in tema di riders Foodora), ha proceduto a valutare il contenuto dell’accordo collettivo oggetto di disamina (che si pone in piena ed espressa continuità con le determinazioni e le intese già assunte con l’accordo iniziale sottoscritto il 1 agosto 2013, durante la vigenza della disciplina in tema di collaborazioni a progetto). L’accordo in questione si propone la finalità di evitare abusi che possano mascherare rapporti di lavoro subordinato, definire il corrispettivo ed un insieme di tutele dei collaboratori. In particolare, l’ambito di applicazione fa riferimento alle attività di vendita diretta di beni e di servizi (per tale via seguitando ad esplicitare il perimetro applicativo originario, fondato sulla normativa in tema di lavoro a progetto e sulla relativa esenzione dalla necessaria riconduzione ad un progetto introdotta nel 2013 all’interno dell’art. 61 d.lgs. n. 276/2003) e prevede, specificamente, sia una parte economica, sia una parte normativa in tema di diritto di prelazione, assistenza sanitaria integrativa, cessazione del contratto, diritti sindacali.
Il Giudice ha ritenuto valido e legittimo l’accordo collettivo, con conseguente non applicabilità ai rapporti di collaborazione oggetto del procedimento giudiziale del comma 1 dell’art. 2 d.lgs. n. 81/2015 (e, conseguentemente, delle tutele previste per i rapporti di lavoro subordinato), in quanto rispettoso dei seguenti principi: 1) la disciplina deve fare espresso riferimento alle collaborazioni organizzate; 2) i soggetti stipulanti devono essere comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale; 3) la deroga deve essere giustificata da particolari esigenze produttive ed organizzative del settore, esplicitate all’interno dell’accordo; 4) l’accordo deve contemplare la disciplina del trattamento normativo, oltre che quello economico (alla cui violazione, comunque, non conseguirebbe un diritto del lavoratore ad ottenere la conversione del rapporto ma solamente quello ad ottenere le differenze retributive).
Tale sentenza, dunque, fissa alcuni paletti importanti, in tema di distinzione delle tutele da applicarsi ai collaboratori organizzati, a seconda che tali collaborazioni siano fondate o meno, sulla base di un accordo collettivo idoneo ed avrà certamente un impatto nei diversi settori nei quali sono intervenuti accordi di carattere analogo. Basti pensare, ad esempio, al settore specifico del recupero crediti che, tra l’altro, solo prima facie può considerarsi riconducibile al settore dei “call center”, considerato che l’attività delle agenzie di recupero crediti stragiudiziale è oggetto di specifica regolamentazione da parte del Testo Unico delle leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS). Anche in tale settore, infatti, si sono susseguiti senza soluzione di continuità e sin dal 2012 diversi Protocolli d’Intesa tra UNIREC ed OO.SS. volti a disciplinare dapprima le collaborazioni a progetto nel settore e, conseguentemente all’entrata in vigore del Jobs Act, le collaborazioni coordinate e continuative, anche organizzate (cfr., in questo senso, il documento di aggiornamento del 5 novembre 2015 e la nota esplicativa del 4 febbraio 2016) definendone tanto i profili economici quanto quelli normativi.
Assegnista di ricerca Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia