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Bollettino speciale ADAPT 18 luglio 2022, n. 3
Parità di trattamento: cos’è e perché è necessaria
La somministrazione è caratterizzata da una duplicità fattuale dei datori di lavoro, che rende poco efficace una astratta assimilazione dei diritti del prestatore di lavoro somministrato a quelli di tutti gli altri lavoratori subordinati, e richiede invece una precisa individuazione delle posizioni giuridiche attive e passive del lavoratore sia presso l’agenzia per il lavoro sia soprattutto presso l’impresa dove viene resa la prestazione lavorativa.
Stante così le cose, un importante parametro di riferimento rispetto all’obiettivo dell’adeguamento della normativa generale alle peculiarità della fattispecie è sicuramente costituito dalla applicazione del principio di parità di trattamento tra i lavoratori assunti direttamente dall’impresa utilizzatrice e i lavoratori somministrati, dipendenti delle agenzie per il lavoro.
Il principio prevede che il lavoratore somministrato riceva un trattamento economico e normativo non inferiore a quello che spetta al dipendente di pari livello assunto dall’azienda utilizzatrice, per tutta la durata della missione.
La funzione del principio di parità di trattamento, oltre ad essere quella di escludere il carattere di mera speculazione sul lavoro altrui da parte delle agenzie per il lavoro, è quella di facilitare l’integrazione sociale del lavoratore somministrato nella collettività dell’impresa utilizzatrice.
Parificare le condizioni di trattamento economico e normativo del lavoratore somministrato con quelle dei lavoratori assunti dall’impresa utilizzatrice significa, infatti, riconoscere che questo gruppo di lavoratori appartiene, per la durata dell’assegnazione, alla collettività dell’utilizzatore, di cui contribuisce attivamente alla produzione di valore aggiunto e alla crescita economica.
Ricostruzione legislativa
La legge 24 giugno 1997, n. 196, “Norme in materia di promozione dell’occupazione” detta anche “legge Treu”, in riferimento all’allora ministro del lavoro, è la legge che ha introdotto in Italia il lavoro tramite agenzia (c.d. lavoro interinale) e, di conseguenza, a disciplinarne i perimetri. È significativo che la stessa legge introduca contestualmente anche il principio di parità di trattamento (ben prima della direttiva europea sulla materia), per evitare che la trilateralità dei rapporti comprima l’esercizio dei diritti dei lavoratori somministrati, impedendo che questi subiscano una discriminazione di fatto rispetto ai colleghi dipendenti dell’azienda utilizzatrice.
Il riferimento normativo lo si trova all’art. 4 comma 2, il quale recita:
«Al prestatore di lavoro temporaneo è corrisposto un trattamento non inferiore a quello cui hanno diritto i dipendenti di pari livello dell’impresa utilizzatrice. I contratti collettivi delle imprese utilizzatrici stabiliscono modalità e criteri per la determinazione e corresponsione delle erogazioni economiche correlate ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi concordati tra le parti o collegati all’andamento economico dell’impresa.»
La parità di trattamento viene confermata poi dall’art. 23, comma 1, del D. lgs. n. 276/2003 “Legge Biagi”, che specifica che il principio trova applicazione anche normativamente. In Italia, viene poi ripreso anche nel D. lgs. n. 81/2015 art. 35 comma 1 “Jobs Act”.
A livello europeo, la prima fonte riscontrabile in materia è la direttiva europea 104/2008, la quale all’art. 5 comma 1 recita: «per tutta la durata della missione presso un’impresa utilizzatrice, le condizioni di base di lavoro e d’occupazione dei lavoratori tramite agenzia interinale sono almeno identiche a quelle che si applicherebbero loro se fossero direttamente impiegati dalla stessa impresa per svolgervi il medesimo lavoro». La direttiva è stata poi recepita dai vari paesi dell’Unione Europea con modalità differenti in base alle specificità nazionali.
Anche la contrattazione collettiva specifica della somministrazione attribuisce importanza a tale principio. Nel CCNL attualmente vigente per le agenzie di somministrazione, siglato da FeLSA CISL, NIDIL CGIL E UILTEMP con Assolavoro e Assosom, se ne parla all’art. 30 comma 1 dedicato al trattamento retributivo. Viene specificato che «al lavoratore/trice è corrisposto un trattamento non inferiore a quello cui hanno diritto i dipendenti dell’impresa utilizzatrice inquadrati al corrispondente livello, secondo la contrattazione collettiva applicata alla stessa». Si trova anche traccia della parità di trattamento in diverse disposizioni in materia di welfare, premio di produzione e divisore orario.
Non applicazione della parità di trattamento: casi concreti
Nell’ottica del principio di parità di trattamento, il lavoratore in somministrazione deve essere inquadrato nel livello o categoria prevista dal CCNL applicato dall’impresa utilizzatrice per le mansioni attribuite al lavoratore. L’uguale inquadramento consente al lavoratore somministrato di percepire lo stesso trattamento retributivo (o comunque non inferiore) rispetto ai dipendenti di pari livello dell’azienda utilizzatrice.
Nonostante ciò sia previsto dalla legislazione nazionale e ribadito da circolari (si veda, ad esempio la Circolare n.13/2019 del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali – gestione dei rapporti di lavoro in somministrazione), non sempre trova applicazione nella realtà dei rapporti di lavoro somministrato. Infatti, non di rado si riscontrano casi in cui al somministrato è attribuito uno scorretto inquadramento, che si declina nella forma di un sotto-inquadramento, rispetto a quanto previsto dal CCNL e a quanto riconosciuto ai lavoratori assunti direttamente dall’impresa utilizzatrice che svolgono le medesime mansioni. Un errore di questo tipo ha importanti ripercussioni sia sull’aspetto retributivo e previdenziale (comprensivo del rateo mensile di TFR), sia sull’aspetto assicurativo e di salute e sicurezza sul lavoro, nel caso in cui il lavoratore si trovasse ad adempiere a mansioni differenti rispetto a quelle contrattualmente previste, per le quali è stato appositamente formato in termini di norme di sicurezza.
Occorre inoltre precisare che l’aspetto economico non si esaurisce nella retribuzione lorda riconosciuta, ma si estende, con riferimento al livello di inquadramento, ad eventuali altri istituti contrattuali previsti sia a livello nazionale (come i già citati versamenti contributivi) sia a livello territoriale e aziendale, in base a quanto applicato dall’impresa utilizzatrice.
Non di rado, tuttavia, la parità di trattamento viene a mancare a seguito della parziale o totale esclusione dei lavoratori somministrati da elementi della retribuzione variabile o del welfare aziendale (per esempio premi di produzione e buoni pasto o altre misure di welfare) previsti dalla contrattazione di secondo livello. Inoltre, parte della responsabilità della mancata applicazione della parità di trattamento, ricade sull’utilizzatore: l’azienda ha, infatti, l’obbligo di informare correttamente l’agenzia di somministrazione (che a sua volta dovrà applicare correttamente quanto comunicato), non soltanto rispetto al CCNL applicato, ma anche di eventuali accordi territoriali e in particolare aziendali, in sostanza sul trattamento economico e normativo applicato ai lavoratori suoi dipendenti, nel rispetto dell’art.33, comma 2 del D. lgs. n. 81/2015.
Contesti lavorativi disintermediati – non presidiati dal sindacato o in cui la rappresentanza è particolarmente debole – possono favorire la mancata applicazione di accordi che istituiscono premi di produzione o altri benefit come i buoni pasto a favore dei lavoratori in somministrazioni.
Altre volte è la stessa contrattazione aziendale a ignorare talvolta il rispetto del principio di parità di trattamento, di cui in parte misconosce l’esistenza. Non mancano tuttavia esempi di accordi di secondo livello ratificati intenzionalmente per apportare un beneficio ad esclusivo vantaggio dei lavoratori assunti direttamente dall’utilizzatore, con un chiaro intento discriminatorio nei confronti dei lavoratori somministrati.
Parità di trattamento: è solo una questione economica?
Il principio di parità di trattamento esula la mera dimensione economica, così come stabilito dal secondo periodo dell’articolo 35, comma 3, del D. lgs. n. 81/2015, che dispone che “i lavoratori somministrati hanno altresì diritto a fruire dei servizi sociali e assistenziali di cui godono i dipendenti dell’utilizzatore addetti alla stessa unità produttiva, esclusi quelli il cui godimento sia condizionato alla iscrizione ad associazioni o società cooperative o al conseguimento di una determinata anzianità di servizio”. Tale disposizione recepisce il contenuto dell’articolo 6, comma 4, della direttiva che intende assicurare ai lavoratori somministrati l’accesso alle «strutture e attrezzature collettive” e in particolare ai “servizi di ristorazione, alle infrastrutture di accoglienza dell’infanzia e ai servizi di trasporto”.
La natura non solo economica del principio di parità di trattamento è confermata anche dall’esperienza diretta dei lavoratori in somministrazione, e dalla percezione che questi hanno della propria posizione e dell’attività svolta presso l’utilizzatore.
Frequentemente questi ultimi raccontano di percepirsi, agli occhi di colleghi e superiori, lavoratori di “serie b”, in virtù di una serie di trattamenti e gesti, ripetuti nel tempo, avvertiti come discriminatori nei propri confronti.
Le situazioni che alimentano questo stato d’animo sono le più disparate: dalla mancanza della divisa per lavorare alla mancanza del badge per le timbrature, dal fatto di vedersi affidati compiti che i colleghi diretti non sono disposti a compiere all’essere più frequentemente assegnati a turni di lavoro in giorni festivi o feriali. Si tratta, a ben vedere, di situazioni che, pur non violando formalmente le disposizioni di legge, trasmettono ai lavoratori somministrati la sensazione che in realtà una parità non ci sia.
Questo comporta una denigrazione del lavoro somministrato, incidendo allo stesso tempo sull’autostima dei lavoratori e sulla loro percezione del loro ruolo presso le imprese utilizzatrici.
Queste considerazioni, avvallate dall’esperienza diretta di operatori sindacali, sembrano indirizzare il pensiero alla necessità di allargare il concetto di parità di trattamento oltre i confini in cui è inserito oggi.
Il ruolo del sindacato
Con riferimento al rispetto e all’implementazione del principio di parità di trattamento, il sindacato può svolgere un triplice ruolo.
Anzitutto, il sindacato può mettere a disposizione dei lavoratori le proprie competenze fiscali e normative, offrendo consulenze sulla lettura della busta paga, per intercettare eventuali difformità retributive. In secondo luogo, il sindacato può implementare la funzione formativa e informativa nei confronti dei lavoratori già in missione presso aziende utilizzatrici (il sindacato è già solito svolgere docenze sindacali per lavoratori disoccupati che frequentano corsi di formazione predisposti dall’ente bilaterale Formatemp). L’elusione del principio di parità di trattamento può infatti essere contrastata attraverso una diffusa campagna formativa volta a rendere consapevoli i lavoratori somministrati dei propri diritti, cosicché possano in prima persona rivendicarne il rispetto, anche attraverso il supporto amministrativo e legale del sindacato.
Infine, i sindacati della somministrazione devono ambire a ricoprire un ruolo di maggior rilievo nell’ambito della contrattazione di secondo livello, così da costituire solidi presidi nelle aziende utilizzatrici che possano fungere da punti di osservazione e monitoraggio della quotidianità dei lavoratori in missione. Il proposito di una maggior partecipazione alla contrattazione di secondo livello converge d’altronde con una delle proposte presenti nell’ipotesi di piattaforma sindacale unitaria per il rinnovo del CCNL somministrazione recentemente presentata a oltre 20mila lavoratori in tutta Italia. Nella fattispecie, i sindacati della somministrazione si propongono di potenziare le Commissione Sindacali Macro Territoriali, così che possano essere «luoghi di confronto sulla parità di trattamento economico e normativo nei siti segnalati dalle parti per prevenire eventuali contenziosi individuali».
ADAPT Junior Fellow
@Annamar95342398
Cecilia Leccardi
Scuola di dottorato in Apprendimento e Innovazione nei Contesti Sociali e di Lavoro
Università degli studi di Siena