Sembra che almeno sin qui, il confronto sul Jobs Act si sia misurato soprattutto su vecchi o nuovi totem o tabù, piuttosto che sui veri problemi del mercato del lavoro. Il mondo del lavoro italiano si presenta come la doppia fotografia di un mare a due facce: una grigia e piatta, quanto ad andamento dei livelli del trend dell’occupazione, in un quadro in cui pesante è la disoccupazione, e pesantissima quella giovanile; l’altra con un mare molto increspato e a volte burrascoso quanto ad andamento del conflitto sociale, degli scioperi, delle diverse forme di lotta, spesso alimentate da specifiche crisi aziendali da tempo non risolte.
Sono due facce che nascono dallo stesso rullino fotografico, quello di un mercato del lavoro praticamente senza timone, perché è il caso di dire che in questo Paese, a differenza degli altri Paesi europei, non esiste un serio governo del mercato del lavoro. Abbiamo circa 550 centri pubblici per l’impiego attraverso i quali passano poco più del2% del pur scarso numero degli avviati al lavoro complessivi. La politica attiva del lavoro, poi, è di competenza delle regioni, che già hanno fallito in quanto alla formazione professionale e ancor più si stanno dimostrando fallimentari nell’attuazione della “garanzia giovani” in materia di politica attiva. Eppure, disponiamo di una rete di agenzie per il lavoro capillare e diffusa nel territorio, ma per vincoli normativi e “culturali” il loro peso nella gestione dei flussi tra domanda e offerta di lavoro in Italia è inferiore a quanto avviene in altri Paesi europei, invece dispongono di un ottimo know how e in molti casi possono trasferire direttamente in Italia le migliori best practices maturate in altri Paesi o le capacità operative proprie di operatori privati innovativi sperimentate nel territorio italiano.
Questo perché, anche quando in Italia matura qualcosa di potenzialmente innovativo sul piano normativo, lo sguardo della politica e dei media si rivela molto strabico. Ci hanno ubriacato con le discussioni sull’ articolo 18, certo c’è un problema di flessibilità in uscita sul nostro mercato del lavoro e sembra che si sia trovata una qualche forma di soluzione. Ma none certo solo questa la chiave per generare nuova occupazione, per ridare fiato al mercato del lavoro, per giungere ad un nuovo e più efficacie modello di governo del mercato del lavoro. Eppure, nello stesso Jobs Act ci sono alcuni spunti, per ora solo accennati, che prevedono principi di delega, piuttosto interessanti. Mi riferisco all’istituzione di un’Agenzia Nazionale del lavoro e alla delega per la riforma dei centri pubblici per l’impiego. Ma nella discussione parlamentare sul testo e sui media, di questo praticamente non si è parlato, mentre sono queste le leve su cui poggiare la vera riforma del mercato del lavoro. Una riforma che deve nascere da una scelta coraggiosa. Visto che il Premier Matteo Renzi mostra una certa attenzione al ruolo degli operatori privati, è il momento di prendere atto che va superato il modello “carrozzone pubblico” di governo del mercato del lavoro. Così come avviene nei migliori Paesi europei, va pertanto costruito un modello misto pubblico-privato, con al centro un’Agenzia Nazionale per l’occupazione, dotata di terminali sul territorio. Un modello in cui i servizi per l’avviamento al lavoro e i servizi al lavoro in genere, possano essere erogati in concorrenza dai terminali pubblici dell’agenzia operanti sul territorio o dalle agenzie private, e remunerati alle stesse condizioni, sulla base dei risultati di volta in volta conseguiti. Il sistema italiano delle agenzie per il lavoro private è pronto ad assolvere questo impegno, che è un interesse pubblico del Paese, non meno degli Enti pubblici. E siamo certi che la sfida della concorrenza sarà di beneficio per i soggetti pubblici rinnovati, nell’interesse dei lavoratori, dei giovani, dei disoccupati di oggi e di domani.
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I privati possono rendere efficiente il mercato del lavoro