«Profezia» e «innovazione » – le due parole che il Papa ha consegnato alla Cisl – possono davvero essere le chiavi con le quali cercare di aprire la porta di un futuro diverso e migliore rispetto a quello, incerto e fosco, che si staglia oggi all’orizzonte? E come si coniugano nella realtà?
Il discorso che Francesco ha rivolto ieri ai delegati sindacali, quasi una seconda catechesi fondamentale sul lavoro dopo quella pronunciata all’Ilva di Genova, potrebbe apparire paradossale. Di fronte a profezie economiche sempre più negative, a un’innovazione che mina le certezze sull’occupazione e la nostra stessa vita, il Papa chiede al sindacato proprio di essere profetico e innovativo, sprona a gridare sui tetti le ingiustizie e ad uscire dalla cittadella fortificata dei garantiti per andare nelle periferie a raccogliere chi è fuori, chi è precario, chi diventa imprenditore di se stesso ma si ritrova solo, per dargli protezione. La profezia, dice Francesco, è «la vocazione più vera del sindacato», che «nasce e rinasce tutte le volte che denuncia… i potenti che calpestano i diritti dei lavoratori più fragili, difende la causa dello straniero, degli ultimi, degli scarti»…
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