Cambiare la concezione ed insieme la modalità di lavorare, è possibile: lo testimonia il consolidamento di un progetto innovativo, avviato dalla nota azienda tedesca Siemens, e denominato Siemens Office che letteralmente significa “portarsi la valigia a casa”.
Un progetto che, approdato in Siemens Italia già nel 2011, rappresenta per i suoi circa 1.700 dipendenti appartenenti sia alle Funzioni Centrali che ai vari settori di Business, un cambiamento radicale del paradigma del lavoro che, da “presenzialista”, diventa molto più flessibile, mediante la previsione, in favore degli stessi dipendenti, di una completa versatilità di orari ma anche degli spazi di lavoro, senza l’obbligo di timbrature in entrata e senza la dotazione di postazioni fisse.
In sostanza, grazie a questa differente modalità di lavoro, il dipendente Siemens, fermo restando il rispetto delle esigenze di servizio e del generale dell’orario di lavoro aziendale, può promuovere meglio la sua autonomia, attraverso la gestione dei suoi tempi di lavoro come meglio ritiene, ma sempre previa condivisione della pianificazione delle attività da svolgersi, con il proprio responsabile. Nell’esercizio di tale autonomia, ad esempio, sarebbe possibile per un dipendente, che abbia aderito volontariamente al progetto, concordare con il proprio responsabile di lavorare per un giorno a casa, senza, tuttavia, computare quel giorno di assenza come ferie.
Il fondamento metodologico e pratico su cui poggia l’intera realizzazione del progetto Siemens Office, è rappresentato, senza ombra di dubbio, da un’organizzazione delle attività aziendali per obiettivi, in cui cioè, i collaboratori usufruendo della flessibilità della prestazione con ampi margini di autonomia personale, esaltano lo spirito della cooperazione e, al tempo stesso, un senso di responsabilità individuale che fa venir meno quel “controllo” esercitato dall’alto al basso, proprio perché è interesse di tutti i dipendenti far funzionare bene una “macchina” flessibile.
Tra gli altri elementi fondamentali del progetto, grazie ai quali è stato possibile alimentare ancor di più il concetto di Mobile Working, si annoverano oltre agli strumenti informatici di cui i dipendenti sono stati dotati (telefono cellulare e computer portatile con collegamento a Internet), al fine di poter operare anche fuori dagli spazi aziendali, anche un nuovo layout degli uffici che, mediante la riduzione degli spazi aziendali ed avvalendosi di un design più moderno, ha favorito di gran lunga l’interazione e la comunicazione tra gli stessi dipendenti. Infine, in virtù del concept di Siemence office, è stato possibile migliorare l’integrazione tra l’attività lavorativa e la vita privata, favorendo, il raggiungimento di un buon equilibrio tra questi due aspetti, soprattutto per le donne che, ad esempio, al rientro dalla maternità si trovano con orari flessibili conciliabili con i carichi familiari.
Considerato in un contesto più generale, il progetto suscita notevole interesse nella prospettiva di una nuova concezione di lavoro subordinato, e di attenuazione, se non di superamento, della contrapposizione tra subordinazione ed autonomia nei rapporti di lavoro.
Il progetto mette in discussione, almeno nelle modalità sin qui conosciute, un pilastro sul quale l’elaborazione scientifica ha fondato il concetto di subordinazione: il potere di controllo del datore di lavoro sull’esecuzione della prestazione lavorativa. Com’è noto, esso rappresenta il complemento del potere direttivo datoriale, con il quale si combina per dar luogo alla c.d. eterodirezione, a sua volta considerata l’essenza stessa del concetto di subordinazione giuridica ricavabile dall’art. 2094 c.c.. Quindi, si sta affrontando un tema che, analogamente al telelavoro, pone in crisi il concetto di subordinazione come lo si è elaborato sino ai nostri giorni. Consentendo la possibilità di eseguire la prestazione lavorativa al di fuori dei locali aziendali si incide dunque sul potere di controllo, dal versante dell’eterodeterminazione. Inoltre, “liberalizzando” l’orario di lavoro si incide anche sul versante dell’eterorganizzazione, ponendo le basi per un’autentica autorganizzazione del lavoratore non solo nelle modalità esecutive ma anche in quelle temporali della prestazione. In definitiva, della tradizionale subordinazione giuridica resta, dal lato datoriale, un potere direttivo e organizzativo attenuato, e da quello del lavoratore, un margine di autonomia e di autorganizzazione più ampio. Si potrebbe dire, con il conforto di autorevole dottrina- ma anche di Corte Cost. n. 30/1996-, che il carattere indefettibile di tale nuova concezione di subordinazione consista esclusivamente nell’alienità dei risultato dell’attività lavorativa e nella imputazione dello stesso al datore di lavoro.
In conclusione, appare interessante porsi la questione della generalizzazione di tale modello, e quindi della sua applicabilità al di fuori del contesto di nascita, in modo da ipotizzare una crisi dell’odierna fattispecie della subordinazione. In questo senso, probabilmente occorre essere prudenti, poiché se è vero che le innovazioni tecnologiche nell’era della comunicazione hanno profondamente mutato il quadro economico e dei rapporti di lavoro- ove la nuova concezione di lavoro subordinato è certamente adottabile-, è altresì vero che i numerosi settori economici estranei, o comunque non appartenenti a pieno titolo, alla rivoluzione tecnologica appaiono nella pratica insensibili alle novità in questione. Non è arduo pensare ai settori dell’edilizia, o della ristorazione, per non parlare dei processi produttivi tradizionali ove ancora è attuale il modello fordista; in tali campi, non sembra attualmente concepibile l’adesione al nuovo modello di lavoro, a causa della diffusione di modalità organizzative aziendali ed esecutive delle prestazioni di lavoro saldamente ancorate, anche quando dissimulate dietro le apparenze giuridiche più disparate, ai canoni dell’eterodirezione ed eterorganizzazione.
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@i_stani
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ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@carminesantoro