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Bollettino ADAPT 9 novembre 2020, n. 41
L’election day negli Stati Uniti ha attirato l’interesse di milioni di persone anche in Italia, interessati agli esiti di una elezione che, per evidenti motivi, influirà sulle dinamiche mondiali, almeno per i prossimi 4 anni. È passato, invece, in sordina – nel contesto italiano – l’esito di un “referendum” (ballot vote) che certamente influenzerà il futuro della gig economy oltreoceano e che potrà avere degli echi anche negli altri Paesi.
Al termine di una campagna molto costosa (si parla di più di 200 milioni di dollari), Uber, Lyft, DoorDash & Co. hanno ottenuto una deroga (exemption) rispetto alla applicazione dell’Assembly Bill 5 (AB5), una legge – approvata a fine 2019 e attenzionata dalla dottrina italiana, che ha avuto modo di dare risalto ai possibili effetti della legge anche al di fuori del contesto californiano1 – che, intervenendo sulle modalità di classificazione del lavoro subordinato, consentiva di far rientrare i lavoratori della gig economy delle principali piattaforme nell’alveo protettivo del diritto del lavoro subordinato. La Proposition 22 – Exempts App-Based Transportation and Delivery Companies from Providing Employee Benefits to Certain Drivers. Initiative Statute – ha ottenuto il supporto del 58% dei votanti rappresentando una vittoria per le piattaforme che, grazie a questo voto, potranno continuare a qualificare i lavoratori come autonomi (independent contractor), riconoscendo soltanto alcuni trattamenti migliorativi e con notevoli risparmi.
Al di fuori di qualsiasi valutazione di merito sulla tecnica legislativa2 – sia dell’AB 5 che della Prop 22 – si ritiene particolarmente interessante analizzare brevemente l’esito del voto, tentando di comprenderne le motivazioni e di acquisirne degli insegnamenti su alcune dinamiche fondamentali relative alle istanze rivendicative dei lavoratori e al supporto pubblico che ricevono, al di fuori del dibattito scientifico o giornalistico.
In questo senso, pare opportuno andare oltre il tema che ha capitalizzato i primi commenti sul voto, ossia quello relativo ai costi sostenuti dalle piattaforme e alle derive della democrazia di fronte al potere delle big corporation. Si tratta di un tema certamente rilevante, ma che in sé solo non riesce a spiegare l’esito della consultazione e le sue ragioni, così precludendo una completa comprensione del fenomeno che stiamo osservando.
A questo fine, quindi, pare possibile analizzare la vicenda dal punto di vista della solidarietà, ossia dal punto di vista della (mancata) adesione dell’elettorato californiano rispetto alle istanze di maggiore tutela del lavoro dei gig worker, sotto i riflettori nella maggioranza degli ordinamenti mondiali. Il quesito posto agli elettori, infatti, era chiaro già nel titolo che parla di esenzione dei lavoratori da (alcune) tutele del lavoro subordinato, tanto da essere contestato dal comitato promotore del quesito referendario. Di fronte a tale quesito, i votanti della California sembrerebbero non aver solidarizzato con altri cittadini-lavoratori3, comportandosi – si potrebbe dire – da cittadini-consumatori. Come osservato da Arjun Sundararajan – uno dei maggiori esperti dell’economia delle piattaforme – «l’elettore medio […] vive positivamente il rapporto con le piattaforme e non vuole assistere allo sconvolgimento di qualcosa da cui dipendono, cosicché ha votato a favore della posizione delle piattaforme»4. Secondo tale lettura, che si ritiene di condividere, gli elettori hanno sostanzialmente votato, utilitaristicamente, guardando al proprio interesse economico (si potrebbe intendere come ribaltamento del voto col portafoglio), in questi termini spaventati dai possibili effetti negativi per il servizio – su cui le piattaforme hanno fatto fortemente leva – dell’obbligo di ingaggiare i gig workers come dipendenti, dall’aumento dei costi al venir meno del servizio. Ovviamente, non si vuole con questo escludere che, per una parte dei votanti, la posizione delle piattaforme sia risultata convincente, anche tra gli stessi lavoratori: come detto, però, la contrapposizione tra servizio e diritti è stata al centro del dibattito, sia in termini di promozione delle ragioni del NO sia in termini di sostenibilità del business in caso di riconoscimento della equiparazione (meno lavoratori, più attese e maggiori costi)5.
Ad ogni modo, se questa lettura è corretta, occorre rivalutare – in termini di efficacia a livello macro – quelle tendenze ed esperienze, evidenziate nel dibattito pubblico e nella riflessione accademica, di convergenza tra istanze dei lavoratori e istanze del consumo consapevole, ossia di forme di solidarietà rispetto alle tematiche del lavoro, costruite non sul senso di appartenenza alla categoria dei lavoratori, ma da una comune visione rispetto a modelli economici sostenibili dal punto di vista sociale.
Alcune meritorie campagne, infatti, avevano lasciato intravedere la possibilità di un interesse collettivo più ampio rispetto a quello dei lavoratori, ottenendo anche alcuni successi. Rimanendo nel contesto americano, ci sono stati importanti iniziative di carattere settoriale che hanno visto uniti lavoratori e consumatori, nel settore alimentare come in quello dei trasporti, ma più in generale anche con riferimento alla campagna per il salario minimo federale a 15 dollari (c.d. Fight for $15). In Italia, la dinamica del consumo critico è parte integrante (in termini di adesione, attraverso la propria spesa: “voto col portafoglio” in senso proprio)6,per esempio, del laboratorio bolognese costruitosi intorno alla Carta dei diritti fondamentali dei lavoratori digitali nel contesto urbano, che ha fatto parlare di sé anche in questi giorni – in controtendenza rispetto alle note vicende dell’accordo Assodelivery-UGL – per l’aumento dei compensi riconosciuti ai propri lavoratori da parte di MyMenu7.
L’esito del voto californiano, dove per la prima volta sul tema si è dato un confronto diretto tra le istanze dei lavoratori e gli interessi dei consumatori, dovrebbe, però, portare a valutare con cautela quegli slanci verso un ruolo centrale della solidarietà tra lavoratori e consumatori nelle azioni rivendicative per il futuro del lavoro, quale elemento di una economia sostenibile. Anzi, seppure convergenze sono possibili a livello di territorio e di singola tematica e, in senso più ampio, rispetto a specifici gruppi di consumatori critici, l’esito del voto deve mettere in guardia rispetto ad iniziative in cui i diritti dei lavoratori possano dipendere dalla scelta di essere di cittadino-lavoratore o di cittadino-consumatore.
Almeno nel prossimo futuro, quindi, le rivendicazioni del lavoro non potranno che continuare a costruirsi intorno alla solidarietà tra lavoratori.
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
1 Si vedano A. Aloisi, V. De Stefano, La culla dell’innovazione si intesta la svolta sociale per gig-worker e non solo, Il Mulino, 12 settembre 2019
2 Sulle modalità di regolazione del lavoro nella gig economy ho avuto modo di esprimermi ampiamente nella monografia di E. Dagnino, Dalla fisica all’algoritmo: una prospettiva di analisi giuslavoristica, ADAPT University Press, 2019.
3 Solidarietà che, invece, venendo a vicende del nostro Paese, aveva spaventato il legislatore italiano all’indomani della proposta di referendum da parte della CGIL contro i c.d. voucher.
4 A.J. Hawkins, Uber and Lyft had an edge in the Prop 22 fight: their apps, The Verge, 4 novembre 2020.
5 P. Rana, How California’s Prop 22 Affects Lyft and Uber Drivers, The Wall Street Journal, 5 novembre 2020.
6 In tema, L. Becchetti, Il Voto nel Portafoglio. Cambiare consumo e risparmio per cambiare l’economia, Il Margine, 2008.
7 L. Zorloni, L’alternativa di Bologna al contratto dei rider del food delivery, Wired.it, 3 novembre 2020,