Prosegue il declino dell’apprendistato. Un commento a proposito dell’ultimo rapporto di monitoraggio INAPP-INPS

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Bollettino ADAPT 30 ottobre 2023, n. 37
 
Non è più possibile rinviare una seria e approfondita riflessione sullo stato in cui versa l’apprendistato in Italia. Sparito dal dibattito pubblico, oggetto di limitate attenzioni in ambito scientifico, ignorato dalle politiche del lavoro, in Italia si sta lentamente trasformando in un contratto di inserimento dallo scorso valore formativo, con esili connessioni con il sistema formativo esterno all’azienda. È questa la prima impressione che nasce dalla lettura del recente La lenta ripresa dell’apprendistato. XXI Rapporto di monitoraggio, realizzato da INAPP con la collaborazione di INPS. In questo contributo verranno brevemente commentati alcuni dati contenuti in questo rapporto.
 
Il documento si apre con una constatazione positiva (almeno ad una prima lettura): il numero di apprendisti in Italia è in aumento. Nel 2021 (l’anno più recente monitorato dal rapporto) erano 544.366, contro i 531.662 dell’anno precedente: una crescita del 2,4%, che però non riesce però a recuperare il calo del 5,3% del 2020 sul 2019, generato dalla crisi pandemica, che quindi non sembra essere ancora superata. La crescita del numero di apprendisti si concentra nel Mezzogiorno (+5,8% nel 2021 rispetto all’anno precedente), e in misura minore al Centro (+3,4%). Il Nord si ferma ad un +0,8%. Aumenti significativi sono osservabili in Sicilia, Sardegna e Puglia. Al contrario, Lombardia e Provincia Autonoma di Bolzano sono gli unici due territori dove il numero di apprendisti diminuisce. Aumenta anche l’età media degli apprendisti, soprattutto nel Mezzogiorno e nel Centro Italia, superando i 25 anni, e attestandosi su questa cifra a livello nazionale. È nel Nord-Ovest e soprattutto nel Nord-Est che si concentra il numero più elevato di apprendisti minori e nella fascia di età 18-24 anni, mentre nel Centro e nel Mezzogiorno vengono ampiamente superati da quelli con più di 25 anni.
 
Aumenta quindi l’apprendistato prevalentemente in alcuni territori e soprattutto per giovani già inseriti nel mercato del lavoro o comunque non più studenti: il limite di età per attivare contratti di apprendistato di primo livello, finalizzati al conseguimento di un titolo di studi secondario superiore, è proprio 25 anni, mentre a quell’età sono già stati terminati anche gli studi universitari, che è possibile svolgere contestualmente alla sottoscrizione di un contratto di apprendistato di terzo livello.
 
È quindi opportuno considerare la diffusione dell’apprendistato non in generale ma nei suoi tre, diversi, livelli. A crescere nel 2021 è solo l’apprendistato professionalizzante, o di secondo livello, con 532.957 apprendisti. Cala l’apprendistato duale: sia quello di primo livello (che si attesta attorno ai 10.000 apprendisti) che di terzo livello (quasi inesistente, con un migliaio di apprendisti). Gli apprendisti professionalizzanti sono pari al 97.9% del totale degli apprendisti italiani, percentuali che sfiorano il 100% nel Centro e, in misura minore, nel Mezzogiorno.  L’apprendistato italiano è quindi l’apprendistato professionalizzante, e l’aumento osservabile nell’ultima annualità monitorata riguarda proprio questa fattispecie e i territori dove è tradizionalmente più diffuso rispetto all’apprendistato duale.
 
È interessante approfondire questi dati a livello settoriale. Il mondo delle costruzioni è quello che in proporzione accoglie il maggior numero di apprendisti di primo livello, un dato che nel 2021 cresce – l’unico, a livello settoriale – rispetto all’anno precedente. Nella metalmeccanica sono operativi anche diversi apprendisti di terzo livello, i quali si concentrano però nelle attività di servizi alle imprese. Passando a considerare le aziende di tipo artigiano, che storicamente hanno una predilezione per l’istituto dell’apprendistato, si nota una crescita più limitata, nel 2021, rispetto alle aziende di altro tipo: la crescita è del 2,2% contro il 2,4%. In Italia comunque circa un apprendista su quattro (23,1%) lavorava, nel 2021, in un’azienda artigiana.
 
Come promuovere la diffusione dell’apprendistato è una domanda che, negli ultimi anni, ha ricevuto un’unica risposta: tramite incentivi economici. Il loro impatto effettivo è stato, però, limitato. La percentuale di apprendistati che hanno goduto di agevolazioni contributive nel 2021 è pari al 12,6%, un dato in linea con quello del 2020, quando la percentuale aveva raggiunto il 14,3%, e in deciso aumento rispetto al 2019, quando il numero di rapporti “incentivati” si fermava al 4,3%. L’aumento osservato nel 2020 e continuato nel 2021 è ascrivibile all’introduzione della Decontribuzione Sud, mentre marginale – quando non completamente assente – rimane il programma nazionale Garanzia Giovani.
 
Il Rapporto presenta anche due studi longitudinali: il primo evidenzia come la durata effettiva dei percorsi di apprendistato è di circa un anno e mezzo, mentre il secondo si concentra sulle prospettive occupazionali degli apprendisti, mostrando come solo una percentuale ridotta di loro permane a lungo presso la stessa azienda dove ha svolto l’apprendistato. Sono dati interessanti per comprendere come questo istituto sia frequentemente utilizzato più come lungo “periodo di prova”, dotato di importanti sgravi e incentivi contributivi, che come efficace strumento per la costruzione delle professionalità richieste a livello aziendale e settoriale, da trattenere una volta terminato il percorso.
 
È ora possibile approfondire maggiormente alcuni aspetti riguardanti le tre tipologie di apprendistato. Con riferimento al professionalizzante, esso com’è noto si compone di un monte ore di formazione interna, regolata dalla contrattazione collettiva e svolta sotto la responsabilità del datore di lavoro, finalizzata all’acquisizione di una qualificazione valida ai fini contrattuali. Solitamente sono previste, dalla contrattazione collettiva, tra le 80 e 120 ore di formazione, di media, all’anno. A questo monte ore si aggiunge una componente di formazione esterna, di responsabilità regionale, mirante a fornire all’apprendista competenze di base e trasversale. Questa offerta formativa pubblica, al di là dei giudizi sulla sua qualità effettiva, è accessibile a meno di un apprendista su dieci. Supera il 20% degli apprendisti coinvolti solo il Veneto, mentre la media nazionale si attesta attorno al 5%. La durata della formazione esterna è anch’essa contenuta, attestandosi prevalentemente tra le 80 e le 40 ore considerando l’intero percorso di apprendistato. Più limitata è la presenza di percorsi fino a 120 ore, solitamente dedicati a lavoratori non in possesso di titoli di studio secondari superiori. Sempre con riferimento agli aspetti “formativi” del contratto, si può notare che tra il 2019 e il 2021 solamente quattro regioni o province autonome hanno previsto percorsi per la formazione di tutor aziendali, che nell’ultimo anno considerato si riducono a tre: la Valle d’Aosta, la Sardegna e, soprattutto, la Provincia autonoma di Bolzano, il cui storico impegno su questo fronte resta confermato.
 
L’apprendistato di primo livello si concentra nel Nord-Est, e in particolare in Veneto e a Bolzano, e nel Nord-Ovest con la Lombardia. Calano sia gli apprendistati finalizzati al conseguimento di una qualifica o di un diploma professionale (da 7.354 a 6.006), del diploma di istruzione secondaria superiore (da 1.209 a 556), e del certificato IFTS (da 260 a 202). La quasi totalità degli apprendisti di terzo livello iscritti a percorsi formativi si concentra invece in Piemonte, dove è possibile trovare circa tre apprendisti su quattro (75%). Segue, a distanza, la Lombardia, e poi la Toscana. La stragrande maggioranza dei contratti ha come finalità il conseguimento di un Master universitario. Seguono, a grande distanza, rispettivamente i percorsi finalizzati al conseguimento di un diploma ITS, del dottorato, della laurea, e infine per attività di ricerca, con solamente 39 contratti attivi.
 
Calano anche le risorse impegnate dalle Regioni e dalle Provincie autonome per la formazione degli apprendisti: la variazione osservabile nel 2021 con riferimento all’anno precedente è pari al -7,4%. Aumentano al Centro e al Nord Est, calano al Nord Ovest e, drasticamente, nel Mezzogiorno, uno dei territori dove contestualmente si osserva l’assunzione di molti nuovi apprendisti.
 
Da segnalare inoltre il focus del Rapporto dedicato alla contrattazione collettiva. Nei 119 CCNL rinnovati nel 2021 e mappati dal documento, 47 hanno una disciplina dell’apprendistato che rimanda alla normativa vigente (quindi al D.lgs. 81/2015); 28 ancora fanno ancora riferimento al Testo Unico dell’apprendistato (D.lgs. 167/2011), abrogato; 11 non presentano alcun riferimento normativo. Ben 33 non disciplinano l’apprendistato. Quindi meno della metà dei CCNL rinnovati nel 2021, a 6 anni dall’ultima riforma, ha adeguato la propria disciplina dell’apprendistato alla normativa vigente. Indubbiamente molti faranno riferimento ad accordi interconfederali sottoscritti in passato, ma resta comunque limitato il numero di CCNL che decide di occupare gli spazi di autonomia riconosciuti dal legislatore per la costruzione di un vero “sistema” di apprendistato. Ancora meno sono poi quelli che disciplinano l’apprendistato duale.
 
In conclusione, è possibile affermare che l’apprendistato nel 2021 cresce, senza però raggiungere i dati pre-pandemia, soprattutto al Centro e nel Mezzogiorno, è professionalizzante, di durata breve o comunque quasi mai coincidente con quanto stabilito dalla contrattazione collettiva, e coinvolge per lo più giovani over 25 anni. La formazione interna si conferma limitata nel monte ore mentre le risorse per quella esterna, gestita dalle regioni, sono in calo. L’apprendistato duale si limita ad alcune buone pratiche a livello locale, storicamente concentrate in territori definitivi e in alcuni percorsi formativi – ad esempio l’apprendistato di primo livello per la qualifica professionale in Bolzano in Veneto, o quello di terzo livello per il conseguimento di Master in Piemonte. L’interesse nei suoi confronti da parte delle istituzioni è limitato: le politiche pubbliche si limitano a forme di incentivazione che hanno però un’efficacia circoscritta, anche se non sono ancora osservabili i dati riguardanti la sperimentazione del sistema duale finanziata dal PNRR, mentre i fondi dedicati alla formazione in apprendistato calano; la contrattazione collettiva in molti casi se ne disinteressa, o quantomeno non sfruttare gli spazi lasciati dal legislatore per la costruzione di efficaci sistemi di apprendistato a livello settoriale.
 
Un panorama desolante, nel quale l’apprendistato professionalizzante – cioè l’apprendistato in Italia, data la sua diffusione – è sostanzialmente un contratto di ingresso dallo scarso valore formativo. Nell’anno europeo delle competenze, è questa la strategia italiana per rispondere alle sfide legate alla promozione dell’occupazione giovanile di qualità, utile anche nel dare risposte concrete ai fabbisogni delle imprese? Mentre gli altri Paesi europei investono e ripensano questo strumento, anche le istituzioni italiane dovrebbe preoccuparsi del declino di questo storico istituto. Non attraverso l’approvazione di nuove leggi (se non per semplificarne alcuni aspetti), ma tramite un rinnovato protagonismo delle Regioni e soprattutto della contrattazione collettiva. Senza voler qui richiamare le proposte operative già formulate in altra sede, sono queste le realtà che dovrebbero decidere che cos’è e soprattutto cosa sarà l’apprendistato: solo un contratto incentivato, un lungo periodo di prova? Oppure un sistema per costruire competenze innovative grazie a percorsi duali, di formazione e lavoro? Nel caso la risposta fosse la seconda, esse già dispongono di spazi di autonomia utili alla “riprogettazione” dell’apprendistato, e potrebbero ideare e proporre sperimentazioni adeguatamente supportate anche dal legislatore nazionale, nel più ampio orizzonte di un processo di ripensamento del valore di questo istituto nel contesto del mercato del lavoro italiano.
 
Matteo Colombo

ADAPT Senior Research Fellow

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