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Bollettino ADAPT 17 gennaio 2022, n. 2
Lo Statuto del lavoro autonomo – inteso come insieme di disposizione che tutelano il prestatore che lavora senza il vincolo della subordinazione – non si esaurisce nel Capo I della legge n. 81 del 2017, che peraltro trova applicazione solo ad una parte di questo vasto mondo (ricordiamo, infatti, che l’art. 1 della legge n. 81 limita il campo di applicazione ai “ai rapporti di lavoro autonomo di cui al titolo III del libro quinto del codice civile, ivi inclusi i rapporti di lavoro autonomo che hanno una disciplina particolare ai sensi dell’articolo 2222 del codice civile”, escludendo così gli imprenditori e i piccoli imprenditori di cui all’art. 2083 cod. civ.). La sua “lunga marcia” – nel tentativo di riuscire a conquistare le tutele universali della persona che lavora a prescindere dallo schema contrattuale prescelto – prosegue e questa volta si dirige verso quell’area che “tanto impresa non è”: i liberi professionisti.
L’intervento legislativo al quale facciamo riferimento è quello contenuto nella Legge di Bilancio 2022 (legge 30 dicembre 2021, n. 234). L’art. 1, comma 927 prevede che dal comma 928al comma 944del medesimo articolo sono indicati “i principi fondamentali di disciplina della sospensione della decorrenza di termini relativi ad adempimenti tributari a carico del libero professionista in caso di malattia o in casi di infortunio avvenuto per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che comporti l’astensione dal lavoro per più di tre giorni ai sensi dell’articolo 2 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124”.
Si tratta di una disposizione molto corposa, che va ad aggiungersi a quella introdotta dall’art. 14, comma 3 della legge 22 maggio 2017, n. 81, la quale consente al lavoratore autonomo di sospendere il versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi fino ad un massimo di due anni “in caso di malattia o infortunio di gravità tale da impedire lo svolgimento dell’attività lavorativa per oltre sessanta giorni”. Le due disposizioni non sono sovrapponibili; al contrario, queste possono definirsi complementari poiché quella più recente mira a tutelare il lavoratore autonomo(ivi incluso il libero professionista, salvo che questo non conduca la sua attività con le forme organizzative tipiche dell’impresa di servizi, nel cui caso le disposizioni de quibus non troverebbero applicazione) da possibili responsabilità professionali nei confronti dei clienti dovute da ritardi o inadempienze rispetto alle scadenze prefissate dalla legge. Diversamente, la normativa del 2017 tutela il libero professionista rispetto agli adempimenti previdenziali e assicurativi che riguardano la propria posizione contributiva (per un’analisi critica sull’art. 14, si rinvia al contributo di E. C. Schiavone, Gravidanza, malattia ed infortunio nel Jobs Act degli autonomi, in D. Garofalo (a cura di), La nuova frontiera del lavoro: autonomo – agile – occasionale, Adapt University Press, 2018, p. 248 e ss., il quale non manca di evidenziare che sebbene l’art. 1 della legge n. 81 includa anche i lavoratori autonomi, l’art. 14 sembrerebbe presentare delle contraddizioni perché in parte esteso solo alle collaborazioni continuative).
E’, infatti, l’art. 1, comma 929, a specificare che “In caso di ricovero del libero professionista in ospedale per grave malattia o infortunio o intervento chirurgico, ovvero in caso di cure domiciliari, se sostitutive del ricovero ospedaliero, che comportano un’inabilità temporanea all’esercizio dell’attività professionale, nessuna responsabilità è imputata al libero professionista o al suo cliente a causa della scadenza di un termine tributario stabilito in favore della pubblica amministrazione per l’adempimento di una prestazione a carico del cliente da eseguire da parte del libero professionista nei sessanta giorni successivi al verificarsi dell’evento”.
Orbene, posto che la norma dovrà essere “animata” da alcune indicazioni operative che dovranno provenire dagli istituti di competenza (ad esempio, come trasferire la comunicazione di avvenuto infortunio del professionista, come sospendere il termine fissato per l’adempimento, a chi comunicare lo stato di malattia, etc.) e che senz’altro rappresenta un ulteriore passo del legislatore verso una tutela del lavoro ri-centrata sulla persona che lavora e non in relazione alla tipologia dello schema contrattuale che regola il rapporto, non possiamo esimerci dal rilevare alcune criticità (a partire dal fatto che il Ministero del Lavoro, nella circolare n. 1 del 3 gennaio 2022, nulla dica rispetto ad una riforma così importante che interessa il lavoro autonomo).
Primariamente, non si comprendere perché l’art. 1, comma 927 si riferisca esclusivamente agli adempimenti tributari, escludendo gli adempimenti “lavoristici” (ci riferiamo a quelli di natura contributiva, ossia le dichiarazioni e i versamenti da trasmettere all’INPS o alle casse previdenziali, ed assicurativa, diretti all’INAIL) comportando di conseguenza l’esclusione dal campo di applicazione di questa disposizione i professionisti di cui alla legge 11 gennaio 1979, n. 12. Per come la norma si presenta agli occhi dell’interprete, vincolato al significato letterale dall’art. 12 delle preleggi, non dovrebbero rientrare neppure gli adempimenti relativi al pagamento di sanzioni non tributarie, come quelle relative al Codice della Strada. Inoltre, sono esclusi gli adempimenti amministrativi, che possono anche essi determinare sanzioni, o comunque altre conseguenze, quali mancate autorizzazioni in campo edilizio etc. (si pensi, ad esempio, agli adempimenti che architetti e ingegneri sono tenuti a svolgere per conto dei clienti presso gli uffici urbanistici comunali). Già sotto questo primo profilo, la norma si presenta “monca” rispetto ad una realtà che è sempre più complessa e che una tecnica normativa “di dettaglio” potrebbe dar luogo a ben note violazioni del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.
Ma le sorprese non terminano qui. L’art. 1, comma 933, lett. a) nel fornire la nozione di libero professionista al quale andranno applicate le tutele di cui all’art. 1, dal comma 928 al comma 944, considera tale solo “la persona fisica che esercita come attività principale una delle attività di lavoro autonomo per le quali è previsto l’obbligo di iscrizione ai relativi albi professionali”, escludendo – ancora – tutti quei lavoratori autonomi (si pensi ai tributaristi, per esempio o ai professionisti di cui alla legge 14 gennaio 2013, n. 4) che, pur svolgendo un’attività analoga a quella dei professionisti ordinistici, non hanno un albo professionale a cui iscriversi (sul punto, si rinvia allo studio di L. Casano, Contributo all’analisi giuridica dei mercati transizionali del lavoro, 2020, Adapt University Press).
Sorprendente, infine, è l’art. 1, comma 928 laddove si specifica che il regime di sospensione si applica “a tutti i casi di infortunio, seppure non avvenuti in occasione di lavoro, e a tutte le malattie ancorché non correlate al lavoro”. A primo impatto, non si comprende la motivazione che ha spinto il legislatore ad estendere il regime di sospensione anche a quegli eventi che non presentano correlazione alcuna con l’attività di lavoro (requisito essenziale, invece, per il lavoro subordinato; per una rassegna, cfr. www.salus.adapt.it– voce casistiche giurisprudenziali). A ben vedere, però, una spiegazione potrebbe essere data se si pensa che l’attività organizzativa della prestazione da rendere al cliente fa comunque capo al prestatore d’opera anche se non assume forma di (piccola) impresa (diversamente dal lavoratore subordinato, che all’organizzazione resta estraneo). Pertanto, il lavoratore autonomo si assume il rischio dell’utilità dell’opera e della relativa impossibilità di poterla realizzare, nei limiti di cui all’art. 2228 cod. civ. (cfr. G. Canavesi, Indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa e struttura del lavoro autonomo: è la strada giusta?, in LDE, 2021, n. 3, che definisce il rischio “un connotato specifico del lavoro autonomo”). I rischi che possono paralizzare l’attività organizzativa del prestatore autonomo, infatti, sono molteplici e sono anche esterni, talvolta, al contesto lavorativo ma tali da non poter poi rendere possibile lo svolgimento della prestazione. Sembra evidente che ad influenzare il concepimento di questa previsione legislativa sia stato il recente fenomeno pandemico. Il Covid-19, infatti, definito rischio ubiquitario (F. Amendola, Covid-19 e responsabilità del datore di lavoro, Cacucci, 2020), potrebbe talvolta essere contratto “a causa” del lavoro; talaltra per ragioni non collegate ad esso.
Nonostante le criticità accennate, una “nota di merito” potrebbe essere invece concessa alla normativa di cui abbiamo discusso sin qui. Seppur a macchia di leopardo, la legislazione lavoristica dell’ultimo decennio pare si stia dirigendo verso la prospettiva universalistica, che non si sostanzia nel celebre slogan “tutele per tutti” ma, piuttosto, in un bilanciato riconoscimento di protezione in ragione del rischio al quale ogni persona è esposto (trattasi del c.d. risk-based approach; P. Loi, Il lavoro autonomo tra diritto del lavoro e diritto della concorrenza, in DLRI, 2018, n. 4, p. 858. Aderisce a tale impostazione, F. Fusco, Rethinking the allocation criteria of the labour law rights and protections: A riskbased approach, in ELLJ, 2020, n. 11, p. 131 e ss.). Ecco, queste disposizioni sembrerebbero essersi accorte che tutto sommato, i lavoratori autonomi sono persone in carne ed ossa, capaci di ammalarsi al pari di un dipendente.
Ricercatore presso il Dipartimento di Economia “M. Biagi”
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia