Protagonista del cristianesimo sociale e incarnazione del sindacato senza frontiere: il cammino prezioso di Emilio Gabaglio raccontato in un libro

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Bollettino ADAPT 24 maggio 2021, n. 20

 

Ma tu lo sai chi è Emilio Gabaglio?

 

Quando un importante e giovane studioso di relazioni industriali e sindacato ha risposto negativamente alla mia domanda, confesso, ne sono stato sorpreso.

 

All’inizio, ad essere sinceri, ne sono stato anche dispiaciuto, poi mi sono dato una chiave di lettura.

 

In un tempo in cui in tanti sono “presidenzialisti di se stessi” e vengono pubblicate in pompa magna autobiografie di politici o addetti stampa poco più che quarantenni, è stato necessario insistere non poco per vedere stampato un bellissimo racconto di vita del sindacalista comasco, classe 1937. Un testo prezioso, realizzato sotto forma di (lunga) intervista e pubblicato da Futura, un nuovo network che ha assorbito, tra le altre, le gloriosa casa editrice Ediesse.

 

“Emilio Gabaglio. Il sindacato senza frontiere”, dialogo con Elisabetta Scavo, è un libro agile quanto intenso, tanto è ricca la narrazione delle molteplici esperienze dell’ex Presidente Nazionale delle Acli ed ex segretario generale della Confederazione Europea dei Sindacati.

 

Una vita che parte da una famiglia tutto sommato benestante, con due genitori che “si sono fatti da soli”, il ricordo della guerra, la condizione di sfollati tra le montagne al confine con la Svizzera, l’osservazione della fuga suicida della colonna Mussolini, proprio sulla strada del lago celebrato dal Manzoni.

 

Si prosegue con gli studi nel dopoguerra, l’impegno prima negli Scout e nella Fuci e successivamente nelle Acli, la laurea all’Università Cattolica dove incontra Mario Romani, l’ispiratore della Cisl.

 

Tutto questo preceduto dall’interessante scelta della madre di Gabaglio che, appena sedicenne, lo “spedisce” a Londra per studiare l’inglese. Un’intuizione non comune per l’epoca e quasi l’anticiparsi di un destino: la “vocazione” internazionale.

 

Il primo congresso nazionale delle Acli cui partecipa, ventenne, è quello del 1957, seguirà l’incontro con il sindacato, in qualità di “insegnante supplente”.

 

La storia personale si intreccia con quella collettiva: il filo del racconto ci accompagna nelle contraddizioni della Chiesa italiana a cavallo tra anni cinquanta e sessanta, tra primi sentori del Concilio e, al tempo stesso alla prese con le strette conservatrici operate dal Cardinale Siri, allora presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

 

Si arriva ai fatti del 1960 e alle manifestazioni dei lavoratori contro il Governo di destra di Tambroni (contemporaneamente il fondatore della Cisl Giulio Pastore si dimette da Ministro). Si accende anche il dilemma dell’incompatibilità tra incarichi associativi/sindacali e politici che comincia ad accomunare, in un lungo e complesso dibattito, Acli, Cgil, Cisl e Uil.

 

Gabaglio ci racconta l’amicizia e il sodalizio con Livio Labor e la lotta interna alle Acli per rivitalizzarle e aprire nuove prospettive. La svolta avviene nel 1961, con l’apertura al centro-sinistra (che poi riserverà anche alcune delusioni) e l’elezione a Presidente di proprio di Labor.

 

Il nostro diviene componente dell’ufficio studi, inizia con la promozione di una ricerca sul “ruolo delle donne nelle organizzazioni operaie”, per por realizzare un lungo viaggio dal Messico al Cile per studiare le comunità cristiane di base e le organizzazioni dei contadini.

 

La sua vocazione naturale lo porta ad occuparsi delle relazioni internazionali delle Acli. È sempre più forte l’impegno per la democrazia, si pensi solo al sostegno alla resistenza, anche cristianamente ispirata, al regime franchista in Spagna.

 

C’è spazio, nel racconto per la riflessione dell’impatto sul movimento aclista e su tutta la società italiana prima della Pacem in terris e poi, con Paolo VI°, dell’enciclica Populorum Progressio, fino ad arrivare al famoso congresso delle Acli del 1966, quello di fischi a Mariano Rumor, dell’inizio della fine del collateralismo con la Dc e dell’elezione di Gabaglio a segretario nazionale, sempre in tandem con il presidente Labor.

 

Tutto ciò si sviluppa mentre l’inquieto presidente triestino delle Acli si prepara all’impegno politico con l’Acpol che evolverà con la coraggiosa quanto sfortunata esperienza del Movimento Politico Lavoratori (Mpl), un piccolo partito che sfida l’unità politica dei cattolici cercando di costruire, senza risorse e coperture ecclesiali, un’alternativa non confessionale e di sinistra alla Democrazia Cristiana.

 

Prima del tentativo elettorale dell’Mpl si arriva, nel 1969, alla successione di Labor. La scelta, quasi scontata, anche se lui con stile non la racconta come tale, cade proprio su Gabaglio. Giovanissimo, a 32 anni, nell’Italia e nel mondo in fermento dell’autunno caldo, è lui il nuovo presidente nazionale dell’associazione fondata dal suo concittadino Achille Grandi.

 

Si arriva, nell’agosto del 1970, al famoso convegno nazionale di studi di Vallombrosa in cui Gabaglio conclude un’assise destinata ad entrare nei libri di storia con una relazione intitolata: “Una scelta per l’uomo: l’impegno della Acli nel movimento operaio”. È la proposta, dirompente, non pienamente compresa nella sua complessità, della celebre: “ipotesi socialista”. L’opzione di classe viene considerata dalla maggioranza degli aclisti non più incompatibile con la coscienza cristiana.

 

Si arriva a un conflitto molto forte con i vescovi italiani e con lo stesso Paolo Vi° che culmina, tra maggio e giugno del 1971, prima con la dichiarazione che le Acli non vengono più riconosciute come associazione ecclesiale, con conseguente ritiro degli assistenti spirituali e, poi, con la successiva, dolorosa, “deplorazione” di Paolo VI° che, nel 1944, aveva tenuto a battesimo l’associazione. La nota del Papa arriva a Gabaglio appena tre giorni dopo la nascita della figlia Letizia, futura giornalista e divulgatrice scientifica.

 

Gabaglio ci racconta di una pressione fortissima, in uno scontro in cui si mescolavano, certo, problemi dottrinali, ma anche significative apprensioni, molto più “terrene”, rispetto alla possibili minacce all’unità di politica dei cattolici.

 

Alla fine dell’anno successivo la situazione delle Acli non appare più gestibile anche da un punto di vista interno e si arriva alle dolorose dimissioni da Presidente nazionale; la lettera viene spedita e annunciata al Tg1.

 

A Gabaglio scrive subito un telegramma Sandro Pertini: “con lo stesso animo con cui l’abbracciai a Parma dopo le umane parole da lei dette in memoria di Fernando Santi le sono fraternamente vicino”.

 

Inizia un periodo professionalmente difficilissimo per l’ex Presidente aclista che, investendo e bruciando anche risorse personali, idea e dirige la casa editrice Coines. Nel 1974, un’altra battaglia, questa volta vittoriosa: insieme a Pietro Scoppola, Valerio Onida, Luigi Macario, Pierre Carniti, anima il comitato dei cattolici contrari all’abolizione della legge sul divorzio in occasione del fallito referendum abrogativo.

 

Inizia, proprio nel 1974, il lavoro diretto per la Cisl, in un campo concordato con Bruno Storti e che sarebbe diventato cruciale negli anni futuri: l’azione sindacale nelle imprese multinazionali.

 

Sono anni ricchi di impegno e scommesse: Gabaglio diviene un punto di riferimento essenziale sui temi internazionali non solo per la Cisl, ma per l’intera Federazione Unitaria Cgil Cisl Uil. L’ex Presidente delle Acli si spende senza risparmio in particolare nell’America Latina funestata dalle dittature di estrema destra e nel sostegno costante e convinto alla lotta di Solidarnosc per la costruzione di un sindacato libero nella Polonia e nel blocco comunista.

 

Nel 1978, quando la responsabile dell’Ufficio internazionale della Cisl Fabrizia Baduel Glorioso diventa prima presidente del Comitato Economico e Sociale Europeo e poi, l’anno successivo, parlamentare europea indipendente eletta nelle liste del Pci, Gabaglio ne prende il posto. Si impegna, da subito, nel non semplice lavoro di ricucitura con il sindacato americano Afl-Cio, realtà che aveva caldeggiato negli anni precedenti una possibile scissione a destra della Cisl di Macario e Carniti, considerata troppo unitaria e troppo di sinistra.

 

Nel 1983 avviene l’ingresso nella segreteria confederale del sindacato di Via Po, proprio alla vigilia della dolorosa e dirompente rottura sulla scala mobile tra Cisl e Uil da una parte e Cgil dall’altra. Tra gli impegni successivi la segreteria organizzativa e l’azione per la necessaria ricomposizione tra lavoro e ambiente.

 

Si arriva agli anni ’90 e alla sfida di trasformare il sindacato europeo da mera lobby di rappresentanza a vero attore del dialogo sociale.

 

La stagione di Emilio Gabaglio alla guida della Confederazione Europea dei sindacati coincide proprio con l’affermarsi del sindacato europeo come un protagonista importante, concreto, del modello sociale continentale.

 

Il sindacalista comasco è alla guida della Ces per un lungo periodo: dal 1991 al 2003.

 

Una leadership che ha visto, dopo l’adozione del Trattato di Maastricht, l’affermarsi del dialogo sociale, in particolare durante la presidenza della Commissione Europea da parte di Jacques Delors, ma che era iniziata con le dure conseguenze legate alla dissoluzione della Jugoslavia.

 

Sono anni in cui, pur nella sostanziale incapacità di intervenire nel conflitto balcanico, Europa politica ed Europa sociale sembrano fare significativi, anche se mai decisivi, passi in avanti.

 

Si arriva al non semplice raggiungimento della Carta dei Diritti Sociali di Nizza e al percorso della Convenzione per il futuro dell’Europa, cui Gabaglio partecipa come componente in quanto leader del sindacato europeo.

 

Sono anni in cui le parti sociali europee raggiungono importanti accordi vincolanti che vengono allegati alle Direttive: congedi parentali, part time, contratti a tempo determinato.

 

Si arriva al 2003 e al termine della lunga esperienza di Gabaglio alla guida del sindacato europeo.

 

È un tornante delle storia e non è un tornante favorevole. I referendum francese e olandese bloccheranno, insieme alla deludente Commissione Barroso, il percorso verso un’Europa, insieme, federale e sociale. La crisi economica del 2007 vedrà in campo, racconta Gabaglio, un’Unione Europea sempre più intergovernativa, deludente esecutrice dei modelli neoliberisti dell’austerity.

 

Tornando agli anni novanta e ai primissimi anni duemila, il sindacalista ricorda anche importanti successi: si pensi alle direttive sui diritti di informazione e consultazione e sui comitati aziendali europei, seguite alle grandi mobilitazioni sindacali contro le delocalizzazioni nelle imprese multinazionali a partire da Hoover e Renault.

 

È questa, per lui, una delle frontiere più interessanti del sindacalismo europeo e internazionale: contrattare in una dimensione senza frontiere, non solo direttive e accordi quadro, ma nel campo di azione più proprio del sindacato: quello aziendale. Tutto ciò attraverso gli European e International Framework Agreement, accordi ancor più cruciali nelle profonde differenze dell’Europa allargata che ha visto anche la recente ferita dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea.

 

Una dimensione, quella del sindacalismo internazionale, che Gabaglio ha accompagnato anche a livello globale, divenendo il vero protagonista dei negoziati che porteranno finalmente, a Vienna nel 2006, alla creazione di un’unica centrale sindacale mondiale: l’Ituc-Csi.

 

Il libro ci restituisce un’esperienza di vita e di impegno di grandissimo valore.

 

Unica per la sua complessità in dimensioni e settori diversi, culminata con il conferimento della legion d’onore della Repubblica Francese. Un’onorificenza recentemente “restituita” da Gabaglio, insieme a Corrado Augias, per rivendicare un impegno più forte nella difesa dei diritti umani a partire dai casi dell’assassinio del ricercatore italiano Giulio Regeni e dell’ingiusta detenzione dello studente egiziano Patrik Zaky, ancora incarcerato a Il Caira, insieme a molti altri, nel miope disinteresse delle diplomazie.

 

Fra i tanti ricordi riemersi nelle pagine del libro intervista del sindacalista comasco, cittadino del mondo, ne voglio rimarcare almeno uno: quello del primo maggio 1994.

 

Siamo sulla pista dell’aeroporto di Sarajevo, Gabaglio guida la delegazione dei sindacalisti internazionali.

 

Ci racconta della corsa a zig zag sulla pista, in giubbotto antiproiettile ed elmetto, per raggiungere il palazzo della sede dei sindacati e tenere un breve comizio. Un gesto simbolico, applaudito da migliaia di cittadini stremati, sfidando insieme i cecchini che continuavano a tenere in scacco la città.

 

Quello che Gabaglio descrive come “il più bel primo maggio della sua vita” è anche un’immagine che ne riassume molte altre.

 

Il sindacalismo senza frontiere è fatto, certo, di vertici, accordi, piattaforme, organizzazioni, congressi, in alcuni casi anche di “liturgie”.

 

Ma anche di cuore, speranza, desiderio di giustizia, pace, libertà.

 

Sono i valori che Emilio Gabaglio ha appreso e vissuto, giovanissimo, nel comasco tra gli scout e i circoli aclisti. I valori, le “idee forza” che ha portato, e sostenuto, attraverso il sindacato, in ogni angolo del mondo. Con discrezione, stile, costanza, infinita generosità.

 

Il suo piccolo “libretto rosso” riassume sette decenni di impegno sociale, sempre vissuti con curiosità e slancio verso il futuro, con la capacità di “pagare” per le proprie idee, ma senza mai rinunciare alla tessitura del dialogo.

 

Questo volume è un dono prezioso, per nulla narcisista, per chiunque voglia approcciarsi all’impegno sindacale o allo studio delle relazioni industriali: superando senza paura le frontiere per costruire duraturi ponti di giustizia.

 

Francesco Lauria

Centro Studi Cisl

 

Protagonista del cristianesimo sociale e incarnazione del sindacato senza frontiere: il cammino prezioso di Emilio Gabaglio raccontato in un libro