Il 9 luglio 2015 è stato pubblicato a cura del MPRA (Munich Personal RePec Archive) il rapporto Employment protection and collective bargaining during the Great Recession: A comprehensive review of international evidence.
Lo studio si basa sui dati raccolti a livello internazionale in 111 Paesi, comprendendo sia quelli in via di sviluppo sia i paesi sviluppati, nel periodo compreso tra il 2008 ed il 2014, considerato momento di “Grande Recessione”. Esso si propone di mappare le riforme avvenute all’interno dei paesi monitorati, nelle aree della protezione del rapporto di lavoro e della contrattazione collettiva, e di analizzarle sia da un punto di vista quantitativo (quante riforme in ogni Paese?) che sostanziale (in che senso vanno le riforme? Si ha un innalzamento o abbassamento dei livelli di protezione?).
L’area di ricerca riguarda la tutela del rapporto di lavoro (Employment Protection) nella legislazione e nella contrattazione collettiva. Le riforme considerate tengono conto dei cambiamenti legislativi avvenuti nelle seguenti aree: licenziamenti collettivi, contratto a tempo indeterminato, contratti a termine, orari di lavoro, altre forme di rapporto di lavoro (lavoro occasionale e parasubordinato), contrattazione collettiva.
Il rapporto è particolarmente attento nell’investigare l’area della contrattazione collettiva quale meccanismo di regolazione del lavoro, tenendo conto dei differenti significati che essa assume nei paesi considerati. L’analisi dei dati sulla contrattazione viene messa in relazione con gli indici sulla crescita e la produttività. In particolare, è posto in risalto l’andamento delle economie occidentali verso una decentralizzazione dei rapporti collettivi, nonostante le esperienze Europee abbiano confermato che una contrattazione collettiva completamente centralizzata a livello nazionale svolga il ruolo di ‘ammortizzatore’ rispetto agli shock macroeconomici, facilitando l’adattabilità delle imprese.
Protezione legislativa e contrattazione collettiva vengono dunque presentate come complementari. Gli autori considerano di vitale importanza, infatti, analizzare i dati raccolti alla luce di un modello analitico che sappia tener conto sia della regolazione proveniente dalla legislazione, che di quella proveniente dalla contrattazione collettiva, sebbene a livello globale risulti non facile delineare un quadro chiaro sul rapporto esistente tra le due fonti. Nei paesi sviluppati, infatti, si riscontra un rapporto diretto tra livello di protezione e copertura contrattuale, mentre in quelli in via di sviluppo non è possibile trarre la medesima conclusione ed evidenziare un rapporto lineare (ad esempio, Cina e Brasile possiedono simili livelli di copertura contrattuale collettiva, ma livelli molto diversi di protezione legislativa).
Lo studio rivela che tra il 2008 ed il 2014 il numero delle riforme globalmente avvenute nei paesi presi in considerazione è stato pari a 643, partendo da un minimo di 63 riforme nel 2008 ad un picco massimo di 147 nel 2012, anno di maggiore attività riformatrice.
A livello generale, il report evidenzia una tendenza verso un ‘rilassamento’ dei livelli di tutela dei lavoratori: il 56% delle riforme, infatti, ha avuto un effetto di riduzione dei livelli di regolazione esistenti in materia di lavoro. Se si considerano solo i paesi sviluppati, il dato è ancora più significativo poiché sale al 68%, mentre nei paesi in via di sviluppo solo il 32% dei cambiamenti hanno avuto effetti negativi sui livelli di protezione dei lavoratori.
La differenza può essere spiegata partendo dalla considerazione che i paesi sviluppati hanno dovuto fare i conti con elevati livelli di disoccupazione ed un margine di manovra fiscale limitato (nel caso europeo soprattutto); sulla base di queste premesse, questi paesi hanno dunque tentato di rendere più elastica la legislazione sul lavoro, nella speranza di incentivare l’occupazione e portare alla creazione di nuove opportunità lavorative. Parallelamente, molte economie in via di sviluppo hanno continuato negli ultimi anni a rinforzare le istituzioni a protezione dei lavoratori, nello sforzo di promuovere una migliore qualità e legalità nel mercato del lavoro (ILO, Better jobs for a better economy. World of Work Weport 2012, International Institute for Labour Studies, International Labour Organization, Ginevra, 2012; D. Adascalitei, and C. Pignatti, Labour market reforms since the crisis: Drivers and consequences, ILO Research Paper Series, ILO, Geneva, 2015, in corso di pubblicazione).
Lo studio procede poi con l’analisi separata dei dati, suddividendo i diversi paesi in 5 macro aree:
- Economie sviluppate e Unione europea: in quest’area il numero totale di riforme registrate è pari a 444. Tali riforme hanno interessato principalmente la regolazione del contratto a tempo indeterminato, contrattazione collettiva e orari di lavoro.
- Europa Centrale e del Sud-Est (non appartenente all’UE) e paesi Indipendenti del Commonwealth: in questi paesi l’impatto della crisi, meno severo rispetto all’Europa, ha generato un minor numero di riforme, pari a 49. Tali cambiamenti sono andati ad incidere principalmente sul contratto a tempo indeterminato e contrattazione collettiva, mentre pochissimi interventi hanno riguardato le aree dei licenziamenti collettivi e orari di lavoro.
- Asia meridionale e orientale e stati del Pacifico: i paesi Asiatici sono quelli che hanno visto il minor numero di cambiamenti durante la crisi economica mondiale. Ciò può essere dovuto al fatto che, in queste aree, le istituzioni del mercato del lavoro giocano un ruolo minore nel dibattito politico ed economico. Il maggior numero di riforme ha avuto l’effetto di accrescere i livelli di tutela. Inoltre, importanti modifiche sono state apportate nell’area delle Relazioni Industriali: delle 53 riforme registrate, infatti, il 31% è andato a modificare il sistema di contrattazione collettiva. Rimangono tuttavia alcune preoccupazioni sull’effettivo livello di applicazione delle nuove norme, dato l’alto ricorso all’economia sommersa.
- America Latina e Caraibi: in questi paesi i dati evidenziano 34 riforme nella regolazione del lavoro, prevalentemente orientate ad accrescere i livelli di tutela e protezioni (solo il 21% delle riforme orientate alla diminuzione delle tutele). Come nei due casi precedenti, i cambiamenti hanno interessato in particolar modo le regole sulla contrattazione collettiva, andando ad esempio a rafforzare i diritti di rappresentanza sindacale in Colombia ed Uruguay. Al contrario, Panama ha introdotto restrizioni ai diritti di organizzazione sindacale e sciopero.
- Nord-Africa, Medio Oriente e Africa Subsahariana: 63 riforme sono state riscontrate in questa macro-area e, come nel caso dell’America Latina, solo il 21% di queste è andata a decrescere i livelli di tutela. Anche in queste zone, i maggiori cambiamenti sono andati a favore delle riforme della contrattazione collettiva, soprattutto nel senso di un’apertura alla creazione di appositi fora destinati al dialogo sociale e alla concertazione.
Il contributo che questo studio apporta nella comprensione delle dinamiche globali di riforma della legislazione sul lavoro si manifesta particolarmente interessante nel momento in cui i dati vengono comparati con quelli forniti da altri database.
Un’analisi congiunta ai dati forniti dall’OECD rivela che le riduzioni più accentuate rispetto alle leggi in protezione dei lavoratori sono avvenute in Europa (significativamente in Portogallo, Estonia e Grecia), mentre l’indice di protezione è aumentato in genere in paesi situati al di fuori del continente europeo (con la sola eccezione della Danimarca). A simili conclusioni si giunge considerando i dati forniti dal Cambridge University Centre for Business Research’s Labour Regulation Index (CRB-LI).
Nell’area della contrattazione collettiva, da un’analisi incrociata con i complessi dati forniti dal World Economic Forum, si può dedurre che sia stato avviato nei paesi in via di sviluppo un movimento di centralizzazione e regolazione; mentre il processo inverso è avvenuto nei paesi dell’Unione europea, i quali hanno visibilmente ridotto gli interventi legislativi in materia di rapporti collettivi ed hanno assistito una continua diminuzione della copertura contrattuale collettiva e densità di sindacalizzazione.
Infine, è da rimarcare che il vasto spettro di paesi presi in considerazione dal database (111 nazioni, rispetto alle 40 considerate dagli indicatori OECD e le 63 del CRB-LRI) rende possibile arricchire la comprensione dei movimenti riformatori attraverso una metodologia capace di cogliere maggiori sfumature e informazioni. Fornendo una copertura internazionale più elevata rispetto ad altri database, infatti, lo studio è capace di apportare un grande contributo per un’approfondita analisi globale.
ADAPT Junior Fellow
@CristinaInversi