Partire dai giovani per rilanciare l’impresa e battere la disoccupazione. É il «circolo virtuoso» indicato da Gianfelice Rocca agli imprenditori milanesi: «Purtroppo circa la metà di questa disoccupazione spiega il presidente di Assolombarda è attribuibile al gap tra le competenze richieste da aziende e le competenze dei giovani», nonostante l’eccellenza del nostro sistema universitario. «Serve più cultura tecnica insiste Rocca – abbiamo troppi laureati quinquennali e troppo pochi laureati triennali con abilitazioni professionalizzanti». Ma servono anche più periti, futuri «manager e tecnici appassionati».
Perché solo dalle imprese e dai territori potrà partire il recupero dell’economia italiana: ma anche il Governo deve fare la sua parte. Sono tre le riforme strutturali chieste dal presidente degli industriali lombardi: la riorganizzazione dello Stato, la semplificazione della burocrazia e la riforma fiscale. Ma è necessaria anche «una rivoluzione etica» per arginare e sconfiggere la corruzione. «Dobbiamo aiutare le imprese a resistere a un fenomeno che rischia di allontanare gli investimenti dal Paese», sottolinea Rocca.
Sulla stessa linea il presidente di Confindustria: «Per cambiare l’Italia occorre una scossa educativa», è il messaggio lanciato da Giorgio Squinzi, a conclusione dell’assemblea, che si è tenuta all’Hangar Bicocca di Milano. «Per questo a ottobre lanceremo la nostra proposta di riforma al sistema educativo spiega il presidente degli industriali fondata sui principi dell’autonomia, della valutazione del merito e dell’interazione attiva nell’apprendimento, a tutti i livelli». Riflettori puntati, naturalmente, anche sull’Expo: «Deve essere l’acceleratore per lari partenza, non la sua immagine guasta. Con Expo dobbiamo rilanciare l’Italia verso il gruppo dei Paesi migliori», afferma Squinzi, annunciando che nel 2015, per la prima volta dal Dopoguerra, l’assemblea annuale di Confindustria si terrà proprio a Milano. «Ci accoglierà Expo che sarà la vetrina universale dell’impresa italiana nel mondo», la conclusione di Squinzi.
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«I giovani sbagliano tipo di laurea»