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Era dal lontano 2010, anno in cui con il decreto legge n. 78 si diede avvio al reiterato meccanismo dei blocchi alla contrattazione collettiva nel pubblico impiego, che l’ARAN non si sedeva al tavolo delle trattative.
Complici la (ormai risalente) pronuncia della Corte costituzionale (sent. n. 178/2015), la legge di stabilità per il 2016 che stanziava il primo fondo per la nuova tornata contrattuale, l’accordo con le organizzazioni sindacali di categoria e il recente disegno di legge di bilancio per il 2018, nelle scorse settimane gli incontri sindacali del settore sono entrati nel merito della contrattazione.
La scorsa settimana è stata così resa nota una prima bozza di contratto collettivo nazionale per il comparto delle Funzioni centrali, che insieme a Funzioni locali – Istruzione e ricerca – Sanità, costituiscono i nuovi comparti in cui è ripartita la pubblica amministrazione a seguito dell’accordo del 13 luglio 2016, previsto, invero, da una disposizione della c.d. “riforma Brunetta” del lontano 2009.
Al di là della sua valenza politica e sindacale – si tratta del testo che di fatto darà il via alla contrattazione degli altri comparti, che ne riprodurranno i contenuti sostanziali – l’articolato in discussione presenta degli interessanti elementi di novità.
E non parliamo solo delle questioni retributive, sulle quali peraltro sta intervenendo il Legislatore con l’obiettivo di sgonfiare l’effetto annullamento che il noto aumento medio di 85 euro pro capite accordato a tutti i dipendenti pubblici poteva avere sul “bonus Renzi”. L’art. 18 del DDL di bilancio prevede infatti – sia per il pubblico che per il privato – l’incremento delle soglie reddituali per aver diritto agli 80 euro, prevedendo il decalage della misura (960 euro/anno) tra le soglie reddituali annue di 24.600 e 26.600 (contro le precedenti 24.000 – 26.000).
Si tratta invece di leggere alcune disposizioni relative alla organizzazione del lavoro che non paiono di poco conto, se si pensa alla tipica immagine che l’opinione pubblica ha dell’amministrazione dello Stato (qui parliamo addirittura del centro, tra gli altri: ministeri, agenzie, Consiglio di Stato, Corte dei Conti, CNEL, INAIL, INPS!): l’immobilismo.
Sulla falsa riga di diverse intese del settore privato, è prevista la possibilità (ex art. 24 D. Lgs. 151/2015) di cedere a titolo gratuito le giornate di ferie eccedenti le quattro settimane, come anche le quattro giornate di permesso per recupero delle ex festività a colleghi che abbiano figli con patologie che necessitino di cure costanti (cfr. C. Zandel, Storie di azione e contrattazione collettiva – La cessione solidale dei riposi prende vita nei contratti aziendali, in Bollettino ADAPT, 6 novembre 2017).
Di ancor maggior rilievo la disposizione che prevede l’obbligo di programmazione mensile anticipata per la fruizione dei permessi di cui alla L. n. 104/1992, salvo casi di documentata urgenza, al fine di «garantire la funzionalità degli uffici e la migliore organizzazione dell’attività della amministrazione», nel solco di quanto introdotto in occasione dell’ultimo rinnovo contrattuale del CCNL per l’Industria metalmeccanica (cfr. I. Armaroli, Rinnovo metalmeccanica: i punti qualificanti, in Bollettino ADAPT, 29 novembre 2016).
Anche con riferimento ai temi del diritto allo studio e della formazione continua sembra che la piattaforma abbia tratto spunto dal settore metalmeccanico. In particolare, nel primo caso sono previste 150 ore di permessi individuali straordinari retribuiti per anno, per la partecipazione a corsi di istruzione finalizzati all’acquisizione di un titolo di studio universitario, post-universitario, o di grado inferiore (desta qualche perplessità l’inserimento della possibilità di frequentare corsi dell’istruzione primaria) e per una percentuale di assenze contemporanee pari al 3%. Quanto alla formazione continua, vengono disciplinate le modalità di fruizione dei congedi per la formazione dei dipendenti di cui all’art. 5 della L. n. 53/2000, destinati a lavoratori con almeno cinque anni di servizio presso la stessa amministrazione, da richiedersi mediante apposita domanda scritta almeno 60 giorni prima dell’inizio delle attività formative.
In chiusura, si introduce una disposizione di interpretazione autentica per cui laddove si faccia riferimento al matrimonio, ai termini “coniuge”, “coniugi” o equivalenti, le disposizioni trovano applicazione anche nei confronti di ciascuna delle parti dell’unione civile (L. n. 76/2016).
Si tratta, in certa misura, di una operazione di aggiornamento delle precedenti disposizioni contrattuali che si traduce in una trasposizione di regole e prassi che – come dimostrano le analisi della Scuola di ADAPT dell’osservatorio www.farecontrattazione.it – hanno ormai una certa rilevanza sia in termini qualitativi che quantitativi nei contratti collettivi nazionali come anche negli accordi di secondo livello del settore privato, nel solco del tradizionale fenomeno della c.d. “privatizzazione” del pubblico impiego.
Privatizzazione che, in questo caso, non riguarda solo una semplice (quanto spesso inefficace) operazione legislativa, ma un (nuovo) tentativo di ri-organizzazione della gestione organizzativa degli impiegati pubblici. Stiamo dunque parlando di un primo passo al quale dovrebbe seguire una rinnovata contrattazione decentrata orientata al perseguimento di obiettivi di efficienza (miglioramenti pur con risorse ridotte) ed efficacia (nei servizi assicurati all’utenza).
Stupisce, in quest’ottica, l’assenza di richiami alla introduzione di forme di lavoro agile nella pubblica amministrazione, pure previsto dalla “riforma Madia” e con sperimentazioni già avviate ad esempio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, cui troverà applicazione il CCNL in commento (per approfondimenti cfr. i documenti raccolti in “Lavoro agile nella PA”, alla voce Lavoro agile dell’Indice AZ).
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo