Bollettino ADAPT 7 marzo 2022, n. 9
Si dice che al verificarsi di un singolo caso si possa parlare di una eccezione; se dovesse ripetersi sarebbe una linea di tendenza; la terza volta si entrerebbe sul terreno di una regola. Negli ultimi due anni, il movimento sindacale si è diviso già due volte: si profila una linea di tendenza di un nuovo assetto tra le confederazioni storiche? Ripassiamo insieme i fatti. La prima occasione di dissenso si è verificata a seguito dello sciopero generale proclamato il 16 dicembre scorso da Cgil e Uil, contro la politica economica del governo Draghi contenuta nella legge di bilancio. La seconda ha riguardato la manifestazione per la pace promossa sabato 5 marzo, sempre da Cgil e Uil, insieme con altre associazioni e movimenti, in Piazza San Giovanni a Roma. In ambedue le iniziative la Cisl si è dissociata.
Con riguardo allo sciopero l’organizzazione di via Po non aveva individuato argomenti sufficienti per protestare contro il governo, ritenendo invece di aver ottenuto dal governo stesso, attraverso il confronto, molti riconoscimenti delle richieste del sindacato. Peraltro, a fronte della genericità delle motivazioni alla base dell’astensione dal lavoro, la Cisl aveva spiegato con meticolosità i provvedimenti che giudicava positivi. Ed era veramente difficile smentire la sua ricostruzione dei fatti. Tanto più che, in seguito, sulla base di analisi meno superficiali, è stato dimostrato che le critiche più severe alla legge di bilancio erano infondate. In relazione alla manifestazione per la pace, Luigi Sbarra ha spiegato chiaramente le ragioni della mancata partecipazione della Cisl. “Quello che sta accadendo non ammette ambiguità o equidistanze… Al punto in cui siamo – ha dichiarato Sbarra – la testimonianza da sola non può bastare. Tanto più se tale testimonianza rischia di essere inquinata da pesanti pregiudizi e derive ideologiche che sottintendono una sostanziale equidistanza tra le parti in guerra, che ci allontanano dallo spirito della manifestazione di sabato 5 marzo a Roma”. Questo giudizio è poi stato confermato – a parere di chi scrive – più che dai discorsi pronunciati dal palco, dal folklore della manifestazione, dagli slogan e dai colori della piazza. Ci fermiamo qui, per non andare fuori tema su di una pubblicazione che si occupa di lavoro. Ci accontentiamo solo di far notare che spesso si ha ragione e si difendono meglio la causa del lavoro e i principi di democrazia e di libertà che appartengono al dna del sindacalismo, dissociandosi da azioni sbagliate, pur da posizioni apparentemente minoritarie.
Tornando in tema, diventa obbligatoria un’osservazione. Le grandi ideologie del ventesimo secolo sono scomparse; i partiti che ne sono stati interpreti si sono dileguati; le grandi organizzazioni sociali che furono create da una costola di quelle ideologie e di quei partiti sono oggi delle povere orfanelle, alla ricerca di una identità, eppure a dividerle è ancora la politica. Ed è triste lo spettacolo che danno di sé, perché sono sempre più squallidi e modesti, ammesso che sappiano quali siano, gli obiettivi che ispirano la loro azione. In sostanza sembrerebbe un paradosso, ma la politica – evanescente ormai come un’ombra sui bastioni del castello di Elsinore – è ancora in grado di fornire ai sindacati (mi perdoneranno i dirigenti di Cgil e Uil, ma parlo di loro) un motivo per mandare segnali di “esistenza in vita”, che ormai sono venuti meno quando si tratta di affrontare i temi cruciali dello sviluppo, dell’economia, del lavoro nella rivoluzione digitale. Si potrebbe dire, quasi, che il ritrovarsi in piazza San Giovanni a ‹rammendare le solite calze› di un pacifismo rinunciatario ed unilaterale (dopo essersi cimentati in precedenza con lo sciopero generale più sconclusionato della storia recente), sia un modo per a effettuare un “ritorno al passato” rassicurante perché in quel contesto non sono richieste quelle parole e idee nuove, che non si è più in grado di trovare.
Membro del Comitato scientifico ADAPT