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Bollettino ADAPT 4 maggio 2020, n. 18
Il Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto dalle parti sociali il 24 aprile 2020 prevede, “per tutti i lavoratori che condividono spazi comuni, l’utilizzo di una mascherina chirurgica, come del resto normato dal DL n. 9 (art. 34) in combinato con il DL n. 18 (art 16 c. 1)”.
Diligentemente, sono andato a leggere l’articolo 34 del decreto-legge n. 9 e l’articolo 16 del decreto-legge n. 18 e ho notato che, pur parlando di mascherine, tali disposizioni non ne prescrivono affatto l’uso per i lavoratori che condividono spazi comuni, ma si limitano a prevederne l’utilizzo “per i lavoratori che nello svolgimento della loro attività sono oggettivamente impossibilitati a mantenere la distanza interpersonale di un metro”.
Pazienza! Siamo uomini di mondo e non ci scandalizziamo di fronte alla cattiva abitudine di rinnegare la paternità di quel che si decide attribuendone la responsabilità ad altra fonte. Ad esempio, affermando che “lo chiede l’Europa”. Oppure innalzando una cortina di fumo burocratico-normativa. Meglio ancora se, come nel caso di specie, vengono previsti ben due rinvii a norme che parlano d’altro. Si tratta di un italico vizio, che ha radici antiche. Ricordate Don Abbondio? “Error, conditio, votum, cognatio, crimen, Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas, Si sis affinis,.”.
Due giorni dopo l’accordo tra le parti sociali, ad ora di cena del 26 aprile, il presidente del Consiglio dei ministri è apparso in televisione ed ha annunciato di aver adottato un nuovo decreto recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Era domenica sera, il lunedì mattina avrei dovuto consegnare un documento ufficiale sull’argomento, e quindi mi sono affrettato a procurarmi il provvedimento.
Consultando il testo, su carta della Presidenza del Consiglio, firmato dal Presidente stesso, ho rilevato che “è fatto obbligo sull’intero territorio nazionale di usare protezioni delle vie respiratorie nei luoghi confinati aperti al pubblico”. Tralascio, per dovere di sintesi e per carità di patria, ogni commento sui profili anfibologici della locuzione “luogo confinato”.
E, con la consueta diligenza, nella notte tra domenica e lunedì, ho recepito la nuova formulazione nel documento sul quale stavo lavorando insieme ad altri colleghi.
Si tratta del Protocollo nazionale “Accoglienza Sicura”, redatto da Federalberghi, Confindustria Alberghi e Assohotel, che individua efficaci misure di prevenzione della diffusione del virus SARS-CoV-2, con l’obiettivo di tutelare la salute degli ospiti e dei collaboratori e di realizzare l’equilibrio necessario per garantire l’erogazione del servizio in condizioni di sicurezza e sostenibilità, senza snaturarne le caratteristiche.
Lunedì mattina il documento è stato inviato ad un insieme di soggetti, tra cui lo stesso Presidente, il Ministro del Lavoro, il Ministro del Turismo, il Presidente della Conferenza delle Regioni, il Commissario Straordinario, etc.
Lo stesso giorno (27 aprile), il decreto del Presidente del Consiglio è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale.
La proverbiale diligenza (o forse si tratta di diffidenza), mi ha indotto a controllare parola per parola le 59 pagine che lo compongono. E così ho scoperto che nottetempo il decreto è stato modificato, e adesso stabilisce che “è fatto obbligo sull’intero territorio nazionale di usare protezioni delle vie respiratorie nei luoghi chiusi accessibili al pubblico”.
Poi ho approfondito, e meraviglia delle meraviglie, ho scoperto che circolano due versioni originali del provvedimento (entrambe su carta intestata della Presidenza del Consiglio, entrambe datate 26 aprile, entrambe firmate dal Presidente, entrambe controfirmate dal Ministro della salute). E, come avrete ormai capito, le due versioni non sono identiche.
Insomma, tre disposizioni diverse in tre giorni, in quattro atti diversi. La fantasia al potere.
Beninteso, io non contesto l’uso delle mascherine.
Cerco solo di trovare una logica, per capire cosa sia giusto fare o, quanto meno, cosa si debba fare.
Avevo iniziato a studiare, come tanti altri, leggendo il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 marzo 2020, che all’allegato I, lettera m), invitava “ad usare la mascherina solo se si sospetta di essere malati o se si presta assistenza a persone malate”.
Mi ero poi abbeverato alle fonti del sapere leggendo il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10 aprile 2020, che omette di trattare l’argomento nell’ambito delle misure di prevenzione (allegato 4) e ne menziona l’uso solo in relazione agli esercizi commerciali, “nei luoghi o ambienti chiusi e comunque in tutte le possibili fasi lavorative laddove non sia possibile garantire il distanziamento interpersonale” (allegato 5).
Per poi arrivare al triplo carpiato dei giorni scorsi.
Insomma, io ci ho provato. Ma, nonostante tutti i miei sforzi, continuo ad avere poche idee e ben confuse. E non credo che sia solo merito mio.
Alessandro Nucara
Direttore Generale di Federalberghi