Quello strano “mestiere” del musicista: in ricordo di un angelo col violino

Sono tempi di crisi questi. Sono tempi in cui il lavoro manca e bisogna essere tutti più flessibili, specie i giovani, che devono ripensare i propri sogni, adattarli alle richieste del mercato, a volte mettendo da parte le proprie aspirazioni, persino i propri diritti, per poter lavorare.

 

Lo scorso 28 aprile l’International Labour Organization (ILO) ha celebrato la giornata mondiale per il lavoro dignitoso, occasione utile per ripensare al concetto stesso di dignità e giustizia sociale nel lavoro, quale strumento per il «progresso materiale o spirituale della società» e che possa assicurare “un’esistenza libera e dignitosa», come recitano gli artt. 4 e 36 della nostra Carta costituzionale.

 

Ma cosa vuol dire oggi lavoro dignitoso? Qual è il limite invalicabile, se ne esiste uno, al di là del quale si abbandona l’area, troppo spesso grigia, delle esigenze di mercato per addentrarsi nella terra dei compromessi inammissibili, che mercificano il lavoro e rendono il giusto riconoscimento dello stesso un surplus facilmente rinunciabile?

 

E già, perché il lavoro non sempre coincide con le tutele, giuridiche e sociali, cui tutti i lavoratori, nessuno escluso, hanno diritto, specie oggi, in cui termini quali spending review, esigenze di mercato e flessibilizzazione delle tutele normative, stanno costituendo le nuove linee guida degli orientamenti legislativi in materia lavoristica.

Bene, se tutto questo è vero, come pensare a categorie di lavoratori atipici, quali sono ad esempio gli artisti? E chi sono oggi i “lavoratori dello spettacolo”?

 

Un accostamento ben strano, quello tra i termini «lavoro» e «spettacolo», se si pensa all’immaginario collettivo, che identifica il lavoratore in una catena di montaggio, in un cantiere o negli uffici. Ed invece, musicisti, danzatori, cantanti, attori, così come gli operatori tecnici che lavorano nei teatri e nelle manifestazioni culturali, costituiscono la vera spina dorsale della tradizione culturale nazionale ed europea, nonché enorme potenziale per la nostra economia, sempre meno valorizzato ed oggetto, invece, di tagli trasversali delle risorse, già di per sé insufficienti, in un Paese in cui la cultura rappresenta il 5,8% del Pil nazionale.

 

In specie, il mondo della musica è particolarmente ostico per i giovani che decidano di fare di quest’arte il proprio “mestiere”. Molti di loro hanno iniziato sin da bimbi a studiare il proprio strumento ogni giorno e per ore ed ore, per poi frequentare il Conservatorio e conseguire un titolo accademico, che spesso rappresenta solo il primo passo – come per molti giovani laureati – verso un mondo del lavoro incerto e feroce. Tutto ciò nel nostro Paese, il Paese del bel canto, dei grandi compositori ed interpreti della musica, ma anche il Paese in cui le orchestre d’eccellenza chiudono, i teatri affrontano preoccupanti stati di decozione e gli artisti sono costretti a porre da parte competenze, talento e persino la stessa dignità dell’essere considerati lavoratori.

 

Molti di loro, a dispetto della propria professionalità e dei tanti titoli riconoscimenti accademici cumulati nel tempo, si sentono spesso porgere questa domanda: «Cosa sei?» – «Sono un musicista» – e di rimando: «Si, ma di mestiere cosa fai?». Ecco, il solo dover rispondere a questa domanda, che evidenzia non solo un’evidente percezione collettiva distorta del concetto di lavoratore, che non è considerato tale se non connesso a processi produttivi canonici, ma pone anche l’assoluta necessità di ripensare, ad ogni livello, le tutele giuridiche e le garanzie sociali, che dovrebbero costituire un patrimonio irrinunciabile di ogni lavoratore, in poche parole, è necessario tornare ad un vero “lavoro dignitoso”.

 

Lo scorso 16 maggio, una giovane promessa del panorama musicale pugliese, Gabriella Cipriani, di 22 anni, ci ha lasciati. Si stava recando con due amici e colleghi, in una cittadina lontana dalla propria casa per rendere un concerto, anzi, per usare un termine del gergo della categoria, stavano andando a fare una “marchetta”. Un termine crudo, e poco elegante se vogliamo, ma che rende perfettamente l’idea connessa a quelle prestazioni musicali rese, anche per pochi euro ed in condizioni non consone a dei professori d’orchestra, cui tuttavia di questi tempi non ci si può permettere di rinunciare. E così, ci si mette in macchina, si fanno lunghi tragitti ed alle ore più impensabili e ci si espone al rischio che un qualunque estraneo – come in questo caso – che magari guida deliberatamente ed irresponsabilmente in stato d’ebbrezza, si porti via una giovane vita e ne cambi per sempre altre due, solo per un’irrisoria remunerazione ed un piccolo punticino sul proprio curriculum, dopo anni di studio, fatica e sacrifici.

Una morte non “sul lavoro”, ma “per il lavoro”, quello che oggi si cerca ovunque, ad ogni prezzo, persino quello più alto ed insensato.

 

Gabriella era una giovane solare, appassionata della musica, innamorata del suo violino, diplomatasi con il massimo dei voti al Conservatorio di Bari e prossima laureanda in lingue straniere, che aveva già iniziato a collaborare con numerose orchestre, pugliesi e non, ma soprattutto era determinata e forte, nonostante la sua età, nella convinzione che nonostante i tempi, investire la propria vita ed energie nell’arte non fosse una perdita di tempo. Si dedicava con estrema fermezza allo studio e pratica del suo strumento e, con una passione che spesso sfociava in una durezza quasi ossimorica ed inattesa rispetto alla dolcezza dei suoi lineamenti, difendeva le proprie idee e propositi senza curarsi delle difficoltà che le si presentavano, in un mondo duro, come è quello della musica, che scoraggia molti giovani talenti e li costringe ad abbandonare i propri sogni per qualcosa di più “concreto”, più raggiungibile, o forse solo più comodo. Era una giovane donna con in sé la maturità e sensibilità della comprensione del significato di quello che sapeva sarebbe stato il proprio “mestiere” nel suo prossimo futuro, o meglio, il suo essere più profondo, una musicista.

 

Si sente spesso dire che i giovani non abbiano la percezione della realtà che li circonda, che non siano disposti ai sacrifici per raggiungere i propri obiettivi ed invece Gabriella l’aveva compreso da tempo che nella vita non si ottiene nulla senza impegno e costanza, che il talento non basta, ma è necessaria una spinta costante verso l’eccellenza, attraverso lo studio, la pratica, la passione verso una ricerca del dettaglio certosina.

 

Mi piace ricordarla così, una piccola artigiana della musica con suo violino in braccio, che della ricerca della perfezione, aveva fatto la sua filosofia di vita, non solo per il puro piacere del virtuosismo, ma per rendere onore alla sua professione e passione, al di là dei limiti che a volte ci sembrano invalicabili, al di là delle difficoltà e dei tanti “no” che la vita ci pone dinanzi, rinunciando ai compromessi facili ed immediati.

 

«Il prezzo dell’insoddisfazione è una vita a metà, vuota, obliqua ed è troppo alto per me. Solo perché il musicista ha un istinto di nicchia (non mi piace definirlo “mestiere”) non è giusto declassarlo, sottovalutarlo…mi rifiuto di adeguarmi ad un mondo così. Non serve a nulla saper suonare benissimo, bene, male, malissimo. Il mondo sopravvivrà senza di me e la musica. Ma…il valore aggiunto?». Ecco, Gabriella la pensava così: diretta, quasi lapidaria nel descrivere cosa non riusciva a sopportare dell’aberrante mercificazione e devalorizzazione della cultura, della musica e del ruolo del lavoratore-musicista.

 

Ed è per questo che i suoi familiari ed amici, nel cogliere la sua vera essenza e nell’intento di perpetrarla nel suo ricordo, hanno deciso d’istituire a nome di Gabriella Cipriani una Fondazione, con l’obiettivo di promuovere e raccogliere fondi per attività culturali e di studio. Un modo per ricordare a tutti noi, specie a chi per mestiere si occupa del lavoro e delle sue tutele in ogni forma e per tutti i lavoratori, che il lavoro dignitoso è quello che rende liberi di realizzare sé stessi, come individui, prima ancora che come cittadini di una comunità.

Il progresso di una società non può misurarsi solo attraverso un quantum, ma soprattutto attraverso un quid, quel “valore aggiunto” di cui parlava Gabriella, che identifica la costante ricerca dell’eccellenza, l’importanza dell’impegno e la spinta costante verso un fine più alto del semplice ottenimento di un lavoro o di qualsivoglia prezzo ad esso assimilabile.

 

Una volta ho chiesto provocatoriamente ad un grande violoncellista e direttore di una delle orchestre italiane d’eccellenza, quale fosse il senso dell’essere musicista oggi in Italia. Mi rispose: «Non c’è senso, se cercassimo un senso non dovremmo restare qui, e ciò spiega perché spesso accade che per poter lavorare si vada fuori dall’Italia, un po’ per fare esperienza, un po’ per assaporare la sensazione rassicurante dell’essere considerati lavoratori meritevoli di questo nome, in tutti i sensi. Però quando torni a casa, dal tuo pubblico, nel tuo teatro…è un’altra cosa».

 

Credo che il senso più profondo della vita di un musicista sia questo: instaurare un legame profondo ed intimo con lo strumento, con la propria famiglia orchestrale, ma soprattutto con la musica e con i luoghi che ad essa appartengono e poi infine con quel pubblico, variegato e incostante nei sentimenti, che il musicista tenta sempre di condurre sino al limite estremo di quel cielo che solo lui può toccare, ma che noi da qua giù, per un attimo, possiamo sognare di raggiungere in sua compagnia.

 

Questo pensiero è per te Gabriella e per tutti quei Lavoratori della musica, che ogni giorno affrontano una vita dura e densa di sacrifici, per continuare a fare del proprio sogno un lavoro, dignitosamente e silenziosamente, per ogni nota che hai suonato e continuerai a suonare, per tutti coloro i quali continueranno a farlo per te, per chi vorrebbe farlo e si affida alle vostre sapienti mani, aspettando di essere condotto ancora una volta dove abita, come dicevi tu, «quella nota piccolissima, brevissima, quasi invisibile che ti fa salire un brivido e che ti fa pensare che vale la pena essere un musicista». Questo è il senso della vera Bellezza, quella che tu possedevi.

Ciao Gabriella.

 

Tiziana de Virgilio

Avvocato e Ph.D in Formazione della persona e diritto del mercato del lavoro

ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo

@VirgilioTiziana

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Quello strano “mestiere” del musicista: in ricordo di un angelo col violino
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