“Non c’è una riforma del lavoro che possa risolvere i problemi dell’occupazione in Italia, problemi che si risolvono solamente con interventi sull’economia che il governo Renzi in questi 7 mesi non ha fatto”. Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro, liquida così il tema della riforma del mercato del lavoro, tema che polarizzerà il dibattito sull’azione di governo in quest’autunno. Un azione, dice De Luca, “molto distante dalla realtà del Paese”. Lo dimostrano “il risultato finale sul contratto a tempo determinato nel primo Job Act dopo la mediazione parlamentare e il dibattito sull’articolo 18, un finto problema che riguarda una minoranza di lavoratori”. Mentre sulla riforma degli ammortizzatori sociali dice: “Più che la tipologia, si parli di dove trovare i soldi. La legge di Stabilità mi sembra il libro dei sogni”.
Cosa intende il presidente del Consiglio Matteo Renzi quando dice che il governo mira a una “coraggiosa” riforma del mercato del lavoro? Cosa intende per “coraggiosa”?
“Premetto una cosa: non c’è una riforma del lavoro che possa risolvere i problemi dell’occupazione in Italia”.
Perché?
“Non sono le norme che aumentano i posti di lavoro, ma la crescita economica. Il problema occupazione si risolve con interventi per l’economia che non sono stati fatti nè da questo governo in questi 7 mesi nè da quelli precedenti”.
Com’è meglio introdurre in Italia la maggiore flessibilità nel mercato del lavoro che ci chiede l’Europa?
“ Il grande problema della politica italiana oggi è che si affanna intorno a dei temi che a volte sono un po’ distanti dalla realtà del Paese. L’esempio è data dalla riforma del contratto a termine che è stata fatta con il primo decreto sul Job Act ai primi di giugno”.
E cioè?
“Una riforma ben fatta in fase iniziale, ma che poi il Parlamento ha prima cambiato alla Camera in Commissione Lavoro e poi riformulato in parte al Senato, con il risultato di consegnare un pastrocchio al Paese”.
Può spiegare con un esempio concreto?
“In questo momento, un’azienda mediamente posizionata sul mercato che quindi intravede possibilità di lavoro e di assunzioni, non si avventurerebbe mai in contrattualizzazioni a tempo indeterminato”.
Perché?
“Perché è indeterminato il periodo in cui riuscirà ad avere una sua produttività e una sua redditività. La diffusione massiccia di più contratti a tempo determinato senza vincoli andava verso la doppia esigenza delle imprese che, in questo momento di fragilità, non sanno quanto possano durare le commesse e dei lavoratori che invece possono trovare nel contratto a tempo determinato un’opportunità per vederlo tramutato un domani in posizione stabile. Il governo, quindi, con un tetto ai rinnovi e l’intervento delle ideologie e delle parti contrapposte ha prodotto un ibrido che non ha aiutato nessuno fra le parti sociali. Quindi, oggi bisognerebbe guardare al mercato del lavoro con molto pragmatismo e poca ideologia, andando a vedere quali sono le reali esigenze di imprese e lavoratori e smetterla con il concetto di precariato usato più come arma dialettica che come reale problema. ‘E’ meglio essere precario o essere disoccupato?’, è la domanda da farsi. Se la risposta è ‘meglio occupato in maniera precaria’, allora bisogna dotare le aziende di strumenti validi”.
Quindi, riferendosi al discorso dell’articolo 18 e all’abolizione del reintegro per le aziende con un numero maggiore a 15 dipendenti, par di capire che lei sia d’accordo con la proposta di Scelta Civica, Ncd e Ppi, secondo cui il contratto a tutele crescenti deve equivalere a contratti a tempo indeterminato privi della reintegra in caso di licenziamento, con un indennizzo crescente in base all’anzianità…
“Certo, anche se è tutto teorico. Si tratta di una contrapposizione ideologica”.
Perché?
“Il tema dell’articolo 18 è un finto problema che riguarda una frazione molto piccola di lavoratori impiegati in aziende medio-grandi, che sono la minoranza dell’universo delle imprese italiane”.
Ma al tema del licenziamento sono sensibili soprattutto i lavoratori più anziani. Se bisogna introdurre più flessibilità in entrata, non sarebbe però meglio rafforzare le tutele in uscita per questi segmenti di occupati?
“Sì, ma senza un intervento serio anche sulla previdenza riducendo l’età pensionabile non è possibile farlo. La riforma Fornero sulle pensioni ha creato il paradosso di dare teoriche illusioni ai più giovani ma obbligando i meno giovani a rimare sul mercato del lavoro per più anni. Mi spiego meglio: ‘Se il padre non va in pensione, come farà a lavorare il figlio se vi è una riduzione costante dei posti di lavoro complessivi? Bisognerebbe mettere mano alla Fornero se si vogliono ipotizzare interventi coraggiosi”.
La riforma dell’articolo 18 trova molte resistenze all’interno del Pd. Resistenze che, secondo Renzi, cadranno una volta che il governo illustrerà parallelamente il rafforzamento del sistema degli ammortizzatori sociali. Come dovrebbe esser riformato?
“Gli ammortizzatori non dovrebbero più essere a pioggia, ma più che la tipologia, quando si parla di ammortizzatori, è importante il finanziamento. Gli ammortizzatori sociali in deroga non sono stati finanziatia lungo per mancanza di fondi, lasciando scoperta un’amplissima platea di soggetti. Il problema principale, quindi, è quello delle coperture”.
Un nodo che verrà al pettine, visto che sembra che con la nuova legge di Stabilità oltre alle risorse per confermare il bonus degli 80 euro (10 miliardi) e per tagliare le tasse sulle imprese e sul lavoro agendo sul cuneo fiscale, il governo voglia trovare i fondi anche per la riforma degli ammortizzatori sociali…
“Esatto. Voglio proprio vedere come farà. Ancora non ho capito se in questa manovra ci sarà una patrimoniale. Il taglio del cuneo fiscale, poi, porterà in dote anche una riduzione delle entrate correnti a fronte del quale non ci sono stati degli interventi che ha inciso in maniera determinante invece sui costi dell’apparato burocratico. La coperta è corta e ho smesso di credere al libro dei sogni da un po’“.
