Sostenibilità dei sistemi sanitari
Quali criticità odierne riscontra sui sistemi sanitari e sulla loro sostenibilità nel tempo?
L’HIV è una patologia che usufruisce di farmaci molto efficaci e, nel 90% dei casi, si dimostrano in grado di controllare l’infezione da HIV, ma non di debellarla dall’organismo. Questa grande potenzialità dei farmaci crea però costi elevati in termini sanitari, arrivando ad essere una delle spese farmacologiche più costose.
Bisogna investire sulla prevenzione dell’infezione da HIV, che è evitabile, per ridurre i costi.
L’aumento delle malattie croniche negli anni condurrà a una domanda di servizi sanitari e prestazioni sociali maggiori, secondo Lei saranno in grado di rispondere adeguatamente a questa necessità?
Essere affetti da questa patologia presume di aver avuto comportamenti a rischio e, come tali, potrebbero essere evitati solo se il servizio sanitario si prendesse l’onere di investire di più sulla prevenzione.
Secondo la mia visione, la necessità più grande che i servizi sanitari si troveranno a fronteggiare sarà di evitare che HIV diventi sempre più una patologia cronica senza guarigione. Lo Stato quindi deve investire da una parte, sulla prevenzione per ridurre il numero delle persone con HIV, dall’altro, invece, sulla ricerca, affinché ci siano farmaci capaci di guarire le persone, senza legarle per tutta la vita alle cure farmacologiche.
Lavorare durante e dopo la malattia
Secondo la sua visione, dove si riscontrano le maggiori difficoltà nel reinserimento/inserimento/convivenza con la malattia al lavoro all’interno delle aziende di questo gruppo di persone affette da malattie croniche?
Le aziende, oggigiorno, non sono pronte ad accogliere dipendenti con patologie croniche perché potrebbero richiedere tempi di recupero e di permessi aggiuntivi per curarsi.
Questo si riscontra nell’uniformazione dei diritti usufruibili dai dipendenti (es. permessi o gg di malattia), perché chi deve seguire cure farmacologiche ha bisogno, nella maggior parte dei casi, a gg di malattia in più di quelli previsti rispetto a chi non ha questi problemi.
Penso, quindi, che lo stesso diritto non può essere applicato allo stesso modo per tutti ma, andrebbe differenziato sulla base dei casi specifici.
Come risolvereste le criticità che ha appena menzionato?
La criticità che ho menzionato si risolverebbe con una sensibilità maggiore dei CCNL nei confronti delle malattie croniche per renderli adattabili alle diverse esigenze dei lavoratori malati.
Secondo la vostra esperienza, cosa significa per i malati cronici ritornare al lavoro?
È molto difficile per una persona affetta da HIV dichiararsi tale sul posto di lavoro perché esiste un forte pregiudizio su questa patologia, tanto da non dichiararsi invalidi allo Stato. Vi è una percezione distorta secondo la quale, questa malattia possa essere trasmessa solo con la presenza della persona e questo pensiero porta con sé una discriminazione sociale e psicologica che fa vivere la malattia con forte disagio. A oggi, alcune aziende (forze armate, compagnie aeree, ecc..) fanno dei test sull’HIV prima dell’assunzione e questo non facilita la situazione lavorativa di queste persone perché questo pregiudizio culturale è fortemente radicato.
Quali interventi state mettendo in campo per l’inclusione sociale dei malati cronici?
In questo momento la nostra priorità la lotta contro la discriminazione nei luoghi di lavoro e l’impegno per il mantenimento di quanti si scoprono positivi all’HIV. Per questo facciamo campagne informative di comunicazione, e forniamo consulenza legale gratuita alle persone con Hiv che subiscono discriminazioni sul lavoro. Su questi temi facciamo anche advocacy presso i Ministeri del lavoro e della salute.
Conciliazione vita-salute-lavoro
Secondo Lei, quali politiche sociali è possibile adottare per agevolare la situazione dei malati cronici?
Una volta, le aziende di grandi dimensioni avevano nell’organico un numero preciso di invalidi, adesso, invece, le aziende hanno la possibilità di pagare per non averli e questi soldi vanno in un fondo. Questo aumenta il fenomeno della discriminazione perché le aziende se possono non li assumono per questioni culturali.
Si dovrebbe investire su una cultura del cambiamento al pregiudizio in termini di politiche sociali che porterebbe tali persone ad avere un lavoro e farlo con performance adeguate.
Quale contributo possono dare le aziende sulle politiche di conciliazione?
Le aziende potrebbero cercare di avere quella sensibilità di cui ho già menzionato prima.
Programmi aziendali di prevenzione e promozione alla salute
Secondo Lei, in che modo è cambiato il concetto di prevenzione e promozione alla salute all’interno delle aziende?
Non tutte le aziende possono permettersi programmi di prevenzione e promozione della salute. Questo perché ci sono dei costi da sostenere e, in genere, le aziende piccole non hanno molte possibilità economiche di attuarli.
Secondo Lei, quali interventi di wellness può adottare l’azienda per un dipendente malato cronico?
Penso alla palestra o al ristorante aziendale con cibo biologico o alimenti sani.
Avete mai avuto esperienze su questo tipo di interventi di wellness aziendali?
Io, che lavoro in una grande azienda metalmeccanica di Bologna, ho questi servizi e ne usufruisco, in particolare per l’attività fisica.
Relazioni industriali
Nel sistema di contrattazione collettiva, cosa manca affinché si possa gestire al meglio un rapporto di lavoro di un dipendente malato cronico?
Come ho spiegato nelle precedenti risposte, ci vorrebbe un’attenzione maggiore per la gestione delle malattie croniche in termini contrattualistici. Un malato cronico, nel caso in cui si ammali spesso, potrebbe subire una decurtazione dello stipendio (periodo di malattia non pagato). Questo non ci sembra corretto perché un’azienda se assume una persona che non ha capacità lavorativa al 100% deve tenerne conto.
Considera che la disciplina del diritto del lavoro attuale serva ad offrire una tutela adeguata ai lavoratori affetti da malattie croniche?
Non tutte le patologie croniche sono trattate allo stesso modo. Alcune sono riconosciute e danno diritto a permessi retribuiti per assentarsi dal lavoro (legge n. 104), altre non sono ancora state riconosciute. Rispetto all’infezione da Hiv negli ultimi anni abbiamo avuto molte restrizioni sull’utilizzo di questi permessi.
Pensa che lo stato di malattia cronica di un lavoratore faccia perdere alle aziende l’interesse a continuare con il rapporto di lavoro? Se si perché?
Nel caso dell’Hiv c’è questa tendenza perché vi è una forte discriminazione dovuta a una radicata percezione culturale.
Fabiola Silvaggi
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Bergamo
@Fabiola Silvaggi
* Ex Presidente LILA (Lega italiana per la lotta contro l’Aids). Socia di LILA Bologna. Responsabile dell’area salute della federazione.
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Rapporto tra malattie croniche e mercato del lavoro – Intervista a Alessandra Cerioli