«L’articolo 18, come l’insieme delle nostre regole sul mercato del lavoro, non è più ammesso dalla realtà globale in cui le aziende si muovono», dice Fabio Storchi, presidente della Federmeccanica. Storchi, 66 anni, è presidente, amministratore delegato e fondatore, con il fratello gemello, della Comer Industries, azienda di meccatronica, nata nel 1970, proprio come lo Statuto dei lavoratori, insediata nel reggiano dove la Fiom è dovunque maggioritaria, con 1.300 dipendenti, fatturato superiore ai 340 milioni in alta percentuale realizzato all’estero.
Ritiene che la legge delega ponga le premesse per una ripresa dell’occupazione?
«Penso che vada nella direzione giusta, la stessa in cui si è mosso il decreto Poletti sui contratti a termine». La sua azienda ha assunto grazie alle nuove norme sui contratti a termine? «Sì, noi abbiamo continuato ad assumere prevalentemente con contratti a termine. Abbiamo preso periti meccanici, ingegneri meccanici e ingegneri gestionali».
Dunque, secondo lei la riforma in discussione in Parlamento potrebbe davvero aiutare il lavoro?
«Noi abbiamo bisogno di riformare profondamente il mercato del lavoro. È il nostro tallone d’Achille. Nella classifica del World economic forum, stilata dai manager che poi decidono in quale Paese investire, siamo al 136′ posto su 148 per efficienza del mercato del lavoro. Come Federmeccanica abbiamo suggerito al governo cinque aree su cui intervenire: semplificazione, flessibilità, certezze, tutele sociali e costo del lavoro».
Nonostante tutti questi difetti del mercato del lavoro, un’azienda come la sua è riuscita a crescere. Non c’è anche una responsabilità degli imprenditori se il sistema italiano non cammina più?
«Premesso che fare impresa in Italia non è affatto facile e che dobbiamo ringraziare gli imprenditori che esportando hanno sostenuto l’economia italiana, se proprio devo indicare una responsabilità penso all’errore che in molti hanno commesso fermandosi sul portone di casa anziché allargare la visione sul mondo che cambiava. D’altra parte non c’è dubbio che la competitività di un’azienda dipenda da molti fattori, tra i quali quello del lavoro. Ma conta anche la capacità di innovare i prodotti, i processi produttivi, l’organizzazione stessa del lavoro».
E quali sono le colpe del sindacato?
«Non si tratta di accusarsi reciprocamente. Credo che sia finita l’epoca della contrapposizione. Bisogna andare verso una maggiore partecipazione e coinvolgimento dei lavoratori all’interno dell’ azienda. Se c’è un modello da seguire, questo è quello della Germania».
Ma questo approccio non è in contraddizione con la richiesta di maggiore libertà di licenziamento?
«L’articolo 18 attiene al tema complessivo della flessibilità del lavoro. Viviamo in un mondo nel quale ogni trimestre cambiano il budget e gli obiettivi aziendali. C’è una variabilità continua. Questo vale anche per la dimensione occupazionale. Se ho bisogno di ridurre la manodopera di 20 unità devo poterlo fare in maniera rapida e con regole certe, ovviamente tutelando i lavoratori».
Favorevole o contratto unico?
«A favore, ma dipende dalla versione. Noi guardiano con interesse alla proposta Ichino». Che non prevede il reintegro. «Ma prevede la flexicurity, flessibilità coniugata con le politiche attive per il lavoro».
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"Regole sul lavoro anacronistiche bene il Governo se le rivoluzionerà"