Sul volo Cagliari-Roma medito sui dati del referendum Alitalia. Leggo sul magazine Alitalia, in un’intervista al CEO Cramer Ball, che la compagnia sta per acquistare un nuovo Boieng 777-300ER, con capienza di circa 400 persone. Osservo la crew di bordo nelle nuove divise. L’aereo è pieno. Caos calmo.
Il referendum Alitalia ha imposto una linea irreversibile, in un contesto in cui i lavoratori hanno, per una difficile storia aziendale, pensato di poter esprimere un voto di protesta sulle politiche aziendali e che le posizioni contenute nell’accordo non fossero ultimative. I lavoratori di Alitalia sono stati chiamati, ex post, a decidere, secondo le regole del sistema sindacale italiano, se approvare o meno il contratto collettivo aziendale che disponeva di diritti retributivi per far fronte alla crisi. I dati sono noti: più del 50% dei lavoratori votanti ha votato per il no. Si tratta di un esercizio di voto a regime speciale per due ragioni. È stato esercitato un voto (i) con finalità meramente confermative della cd. ipotesi di contratto aziendale (ii) in deroga al Testo Unico 2014 sulle relazioni industriali, il quale stabilisce la funzione delle rappresentanze sindacali unitarie (RSU) in ambito negoziale, data la maggioranza dei componenti della RSU e senza necessità di referendum ex post.
Qui non intendo dare un giudizio né sul contenuto del contratto collettivo aziendale né sull’esito del referendum. La mia analisi riguarda, invece, la tecnica giuridica del referendum “ex post”, cioè successivo al contratto aziendale già negoziato e stipulato, che caratterizza il nostro sistema sindacale…
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