Ma cos’è il Jobs Act? Cos’è la sinistra?

Di Matteo Renzi, almeno guardando alle sue parole, ne sono già esistiti tre. Lo afferma una ricerca dell’Università di Pisa che ha analizzato tutti i post di Facebook e le newsletter scritti dall’ormai ex- Presidente del Consiglio dal 3 dicembre 2012 (giorno della sua sconfitta alle primarie del PD) sino al primo novembre scorso.

I risultati delle analisi portano tre ricercatori del Laboratorio di linguistica computazionale (il prof. Lenci e i collaboratori Passaro e Bondielli) alle seguenti conclusioni: Il primo periodo, quello che dura approssimativamente fino all’elezione a segretario del PD l’8 dicembre 2013, è quello di “Renzi rottamatore”. Abbondano parole come “cambiamento”, “finanziamento pubblico dei partiti”, “nuovo”, “vecchio”. La seconda fase è quella del governo, dove primeggiano i termini “riforma”, “Jobs act”, “sinistra”, “posti di lavoro”. Questi vocaboli tendono a loro volta a scomparire nella terza fase, quella del referendum, che i ricercatori fanno cominciare a maggio 2016.

 

Finalmente ci si dedica alla comunicazione di Matteo Renzi utilizzando anche le tecniche della linguistica computazionale. Dato il vistoso stato di shock delle analisi politiche, malcelato dalla nonchalance del giorno dopo con la quale gli opinionisti sbalorditi da Brexit e Trump hanno saputo affermare che “l’avevano detto”, è veramente il momento di tornare a studiare la comunicazione politica di prima mano, ossia i testi prodotti dai leader, e non solo le complesse dinamiche dell’informazione digitale. È da guardare quindi con particolare favore l’utilizzo delle tecniche e delle teorie più moderne a questo scopo.

Nel mio percorso di dottorato ho provato a fare qualcosa di diverso, che mi pare però utile richiamare leggendo i risultati, ben argomentati, della sopracitata ricerca. Anche considerato che quest’ultima mostra come la parola “lavoro” sia la quarta per frequenza nel corpus considerato, dietro solo a “cambiare”, “grande” e “paese”.

 

Ho raccolto tutti messaggi pronunciati da Matteo Renzi che hanno riguardato il lavoro dal 13 marzo 2013 (giorni in cui viene pubblicata su l’Espresso un’intervista nella quale fa il suo debutto pubblico la parola Jobs Act, allora ancora priva della “s” del plurale anglosassone) sino a ieri. Sono risalito alle versioni quanto più integrali possibili dei messaggi che sono stati citati dalla stampa nazionale o che sono stati diffusi via Twitter, Facebook, ed e-news. Per farlo ho effettuato una ricerca manuale sui due social network e ho impostato dei filtri appositi su una piattaforma di Rassegna Stampa, nonché un Google alert che mi ha permesso di monitorare anche la stampa online. Ho così raccolto 349 messaggi, tra tweet, post, interviste, discorsi.

 

Mi sono occupato quindi di testi e non di singole parole. Nel mio lavoro di analisi inoltre ho tentato poi di unire la teoria cognitivista del framing con la prospettiva della neoretorica. La tecnica di analisi, le fonti e il periodo selezionato sono quindi diversi e largamente incompatibili con quelli della ricerca degli studiosi di Pisa.

 

Tuttavia un dato mi è subito balzato all’occhio: la distribuzione della parola “sinistra”, che nella ricerca pisana si concentra nel periodo del governo. Usando la stessa ripartizione temporale usata dal gruppo di Lenci, anche nel mio insieme di messaggi si osserva tale concentrazione. Nel periodo precedente alla salita al governo la parola “sinistra” viene legata a “lavoro” solo all’interno di 4 testi. Nel periodo del governo ciò succede invece ben 21 volte. Nel periodo del referendum la connessione tra “lavoro” e “sinistra” viene proposta poi di nuovo solo 4 volte. Considerando che i tre diversi intervalli hanno una durata molto differente, il modo migliore per rappresentare questa concentrazione è un grafico del numero medio di testi per giorno nei diversi periodi.

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L’osservazione più interessante riguarda l’operazione retorica (in senso tecnico) svolta nei messaggi nel periodo del governo. Per il Presidente del Consiglio associare Jobs Act e sinistra non è, come potrebbe sembrare, un modo per guadagnare la fiducia del tradizionale elettorato, bensì è una via per tentare di estendere un bacino di consenso. Renzi ripete 21 volte che il Jobs Act costituisce una riforma “di sinistra”, “la riforma -dice- più di sinistra che io abbia mai visto”. Osservando tanta insistenza e i termini dell’associazione si più affermare che come lo scopo retorico dell’identificazione tra Jobs Act e “sinistra”, non sia quello di collocare l’azione politica nel solco di una tradizione. La volontà di Renzi non è tanto quella di attribuire al Jobs Act le qualità distintive dei principi politici della “sinistra”, ma, al contrario quella di annettere al corollario di tali principi quelli che informano il Jobs Act. È un’operazione di ridefinizione indiretta. In questi messaggi Renzi non pronuncia nemmeno una volta la parola “liberalizzazioni”, nonostante gran parte delle misure inserite nel Jobs Act lo siano tecnicamente. Afferma invece ripetutamente che tutto ciò che crea lavoro fa “la cosa più di sinistra possibile”.

 

Proprio la contaminazione della vecchia “sinistra” con la formula del Jobs Act sembra d’altronde essere tra i risultati rivendicati chiaramente da Renzi dopo le amare dimissioni da capo del Governo. Secondo il retroscena di Goffredo de Marchis infatti, Renzi negli ultimi momenti a Palazzo Chigi avrebbe detto ai pochi suoi ospiti: “Abbiamo fatto tantissimo. Un vero miracolo in mille giorni. Ho fatto votare le unioni civili ai cattolici, ho fatto votare il Jobs act, che ha dato frutti importanti, alla sinistra. Sono stati dei capolavori”.

Capolavoro o meno, la disapprovazione della politica del Governo per mezzo della bocciatura della riforma costituzionale, fa concludere che la comunicazione del Jobs Act è stata quanto meno insufficiente a consolidare un consenso veramente allargato. Renzi disse una volta che “la sinistra che non cambia si chiama destra”. Quella sinistra che ha voluta cambiare governo non ha voluto smentirlo.

 

Francesco Nespoli

ADAPT Research Fellow

FranzNespoli

 

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