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Bollettino ADAPT 6 giugno 2022, n. 22
Contesto di riferimento
La Ricerca & Sviluppo può essere vista come l’insieme di quelle attività creative intraprese in modo sistematico sia per accrescere l’insieme delle conoscenze e del know-how aziendale sia per applicare poi tali conoscenze ai cicli di produzione interni.
La definizione è quella adottata nel Manuale sulla misura delle attività scientifiche e tecniche – Manuale di Frascati, così come predisposto dall’OCSE e distinguendo la ricerca scientifica (che può essere di base teorica o applicata) dal suo conseguente sviluppo sperimentale.
Il personale che si occupa dell’implementazione di tali progetti è tradizionalmente diviso in tre categorie: i ricercatori, impiegati nella concezione o creazione di nuove conoscenze; i tecnici, partecipanti ai progetti con un ruolo maggiormente operativo e sotto la supervisione dei ricercatori; infine gli addetti ad altre mansioni, che danno il proprio contributo sotto più versanti meno individuati (operativo, amministrativo, logistico).
In tale contributo si tenterà di soffermarsi in modo più accurato e specifico su quelle attività di ricerca industriale che ad oggi, pur concentrandosi maggiormente presso alcuni settori merceologici (manufatturiero, chimico, elettronico) e nei contesti di impresa più strutturata, si stanno propagando in modo capillare nel tessuto produttivo.
Le pratiche di R&S (o dall’inglese R&D, Research and Development) hanno un peso sempre maggiore nelle dinamiche aziendali non solo dal punto di vista dell’ovvio vantaggio economico-finanziario rappresentato dal credito d’imposta, ma soprattutto sotto il versante della capacità competitiva e d’innovazione sul mercato.
Interessante è analizzare il contesto normativo di riferimento per soffermarsi poi sulle best practices o prassi aziendali che spesso si differenziano a seconda che l’oggetto di indagine sia una piccola-media organizzazione, ovvero un contesto d’impresa più grande e strutturato.
Quadro normativo
All’interno del pacchetto più ampio di “transizione 4.0”, è il decreto attuativo del 26 maggio 2020 che disciplina le modalità con cui richiedere il credito d’imposta per attività di R&S, identificando i criteri e le varie classificazioni con cui accedere al beneficio fiscale.
Importante è stata la recente legge di bilancio 2022, che all’art. 1 comma 45 proroga la validità della disciplina del credito d’imposta rimodulando tuttavia le aliquote fiscali per classificazione di attività.
Destinatarie della disciplina sono tutte le imprese risiedenti in Italia, indipendentemente dalla natura giuridica, dal settore economico, dal dato dimensionale e dalla struttura contabile-fiscale, subordinando l’erogazione del beneficio al certificato rispetto delle normative in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e di versamenti contributivi.
Si escludono solamente le imprese in stato di liquidazione volontaria, fallimento, liquidazione coatta amministrativa, concordato preventivo senza continuità aziendale e altra procedura concorsuale.
Attività e spese ammissibili
La normativa in materia menziona tre tipologie di attività ammissibili.
La prima è rappresentata dalle attività di ricerca fondamentale, ricerca industriale e sviluppo sperimentale in campo scientifico e tecnologico (legge di bilancio n. 160 del 27 dicembre 2019, comma 200).
Per questa categoria (definita anche impropriamente come “R&S classica”) è riconosciuto un credito d’imposta pari al 20% della base di calcolo entro un limite massimo annuale di 4 milioni di euro.
La seconda è rappresentata dalle attività di innovazione tecnologica finalizzate alla realizzazione di nuovi (o migliorati) processi e/o prodotti (comma 201), con un credito d’imposta che in questo caso arriva al 10% per un massimale annuo di 2 milioni di euro.
Una sottocategoria interessante è qui data dalle attività di innovazione tecnologica 4.0 e green, accreditate per una misura del 15% al netto di eventuali sovvenzioni o contributi ricevuti ed entro il solito limite annuo di 2 milioni di euro.
La terza ed ultima è rappresentata dalle attività di design e ideazione estetica (comma 202), prevedendo pure per questa categoria un credito fiscale del 10% entro il limite annuo di 2 milioni di euro.
Per ciò che riguarda le spese ammissibili, e dunque l’individuazione delle quote di costo imputate a R&S (e dunque fiscalmente accreditate) la disciplina in materia non pone importanti limitazioni: sono ammissibili le spese di personale impiegato nelle attività, i costi ed acquisti di fornitura (servizi e materie prime), le stesse quote di ammortamento dei macchinari o attrezzature patrimonializzate impiegate nei processi di R&S, fino ad arrivare a comprendere anche eventuali costi di consulenza esterna.
L’importo finale da accreditare ed il relativo credito d’imposta devono poi essere certificati da soggetto abilitato (spesso società di revisione contabile) ed allegato alla chiusura del bilancio d’esercizio di competenza.
Questo consentirà poi all’impresa si usufruire del credito fiscale esclusivamente mediante modalità compensativa e tramite invio del modello F24.
Pratiche aziendali: fra pmi e grande organizzazione
Analizzata la disciplina normativa, è interessante ora volgere lo sguardo alle pratiche aziendali (sia produttivo-organizzative che amministrative) con cui viene attuata la R&S.
È un dato fondamentale poiché la R&S parte sempre e comunque da una valutazione aziendale del tutto interna: essendo per definizione un insieme di attività rientrante nella strategia d’impresa, si è all’interno di un (incerto) percorso di autodichiarazione aziendale.
Ovvero, se l’attività è da un punto di visto oggettivo insindacabile in quanto rientrante nelle libere scelte produttivo-economiche dell’azienda e dell’imprenditore, è anche vero che tale insieme di attività sfocia comunque in un credito fiscale.
L’azienda deve dunque saper giustificare, sia dal punto di vista produttivo che documentale, l’idoneità della propria R&S al fine di evitare sanzioni di vario genere e/o la restituzione di quanto indebitamente ricevuto.
Questo è particolarmente vero per i contesti medio-piccoli, ovvero quelle realtà aziendali dove non è per nulla agevole separare le ordinarie attività di produzione o di gestione caratteristica dalle attività di R&S, e che dunque possono meglio prestare il fianco ad accertamenti di natura fiscale.
Chiusa la premessa, è dunque fondamentale analizzare le prassi aziendali che hanno la funzione di valorizzare le attività di R&S effettuate e di proteggersi in modo adeguato e documentato da eventuali dubbi di legittimità.
Il primo step fondamentale è dato dall’individuazione delle attività di R&S in cui è impiegata l’organizzazione aziendale: è buona pratica al riguardo scomporre le attività nelle micro-azioni necessarie alla gestione del processo interessato.
Si parte poi col mappare le risorse (umane e non) utilizzate nell’attività.
Per ciò che riguarda il personale impiegato, sicuramente il costo del lavoro può essere “portato” in credito d’imposta, rappresentando in moltissime esperienze la posta contabile più elevata della R&S.
Al riguardo viene impiegato il costo pieno del personale, comprendendo dunque non solo la retribuzione ordinaria, ma anche la straordinaria, il valore dei contributi versati, le quote di rateo e tfr accantonati, fino ad arrivare anche ai trattamenti eventuali o eccessori (ad personam, welfare, flexible benefits, mbo, trattamenti per patti di non concorrenza o clausole di stabilità minima).
In realtà ad essere portato in accredito fiscale non è tanto il costo annuo della risorsa impiegata, quanto il suo costo orario.
Diventa allora fondamentale la redazione dei timesheet giornalieri e mensili, ovvero un report dimostrante le ore di effettivo lavoro destinato ai progetti di R&S: l’ammontare delle ore moltiplicato per il costo orario del lavoratore darà dunque l’importo complessivo che beneficerà del credito d’imposta.
La redazione dei timesheet diventa fondamentale in particolar modo per la pmi: a differenza della grande organizzazione che spesso può vantare veri e propri reparti separati di R&S (con una ricostruzione dei relativi costi ben più agevole), il piccolo-medio contesto invece confonde i segmenti produttivi standard da quelli di ricerca.
Diventa quindi centrale essere in grado di fare quanto meno una stima in percentuale di quanto quella risorsa destina a produzione e quanto invece a R&S per risalire poi ad una quota oraria da imputare ai vari progetti.
Sempre per ciò che riguarda il costo del lavoro, importante è evidenziare che anche gli stessi compensi goduti in qualità di amministratore possono godere del beneficio fiscale.
In questo caso il relativo compenso è l’unico costo personale che può essere imputato a forfait, non essendo dunque necessaria la redazione del timesheet: tuttavia, buona pratica è redigere comunque un verbale di CdA che attesta quanto meno la percentuale di ore (e dunque di compenso) che l’amministratore destinerà a progetti di R&S.
Dal punto di vista documentale, si citano di seguito i principali documenti sul personale impiegato che rafforzano e legittimano il suo utilizzo in progetti di R&S e che dovrebbero essere raccolti e adeguatamente conservati in caso di accertamento fiscale.
Al riguardo si parla innanzitutto di copia dei cedolini paga dell’anno di competenza, dei modelli unilav (sia di instaurazione che di successive modifiche o trasformazioni), di copia dei pagamenti di stipendio come risultanti da distinta di bonifico bancario ed infine di documento di avvenuto pagamento dei contributi (modello F24).
Lo stesso report di costo del lavoro complessivo annuo va allegato: è utile per la certificazione non tanto (o non solo) dei costi annui, quanto per la validazione dei costi orari.
Inoltre si può aggiungere il sopra menzionato verbale di CdA per l’eventuale imputazione di quota parte del compenso amministrativo.
Infine, nei casi di maggiore cautela, si redigono anche ordini di servizio individuali in cui si attesta che una determinata percentuale stimata dell’orario di lavoro del singolo dipendente sarà imputata ai progetti di R&S.
Passando alla ricostruzione dei costi extra-lavoro (e dunque forniture, servizi, consulenze) diventa qui centrale un’adeguata archiviazione dei contratti esterni.
Tuttavia tale pratica non è sufficiente, essendo invece necessaria anche una conservazione sia dei relativi bonifici di pagamento sia delle fatture ricevute.
Peraltro è auspicabile che le stesse fatture passive possano ricostruire una specifica causale di fornitura per progetti di R&S.
Più problematico, soprattutto per le pmi e per la difficoltà sopra ricordata di dividere produzione standard da produzione di ricerca, è il caso dei wip (work in progress): trattasi delle lavorazioni in corso che possono utilizzare sia semilavorati sia parte di materie prime che possono riguardare un impiego ibrido, tanto in produzione standard quanto in attività di ricerca.
Qui le best practices utilizzano specifiche causali di prelievo di magazzino (tramite la soluzione del “buono di prelievo”) per mappare e differenziare i relativi costi da impiegare.
Tuttavia, in assenza di gestionali interni che permettono di dividere in modo accurato i flussi aziendali, molti professionisti sconsigliano alle pmi di inserire tali costi in R&S, proprio perché prestano maggiormente il fianco a critiche e/o dubbi di legittimità.
Infine, fondamentale è la relazione tecnica che descrive, spesso con l’ausilio di diagrammi, disegni e schede, il progetto di R&S con accuratezza e dettaglio di particolari.
Le specifiche tecnico-progettuali vengono descritte con la supervisione di esperti della materia, in un lavoro redatto a più mani che vede coinvolti il project manager, gli operatori manuali, i fornitori ed eventuali consulenti esterni.
La relazione tecnica deve poi basarsi sul problema risolto, la miglioria (o invenzione di processo e/o prodotto) apportata, il numero di iterazioni eventuali servite per il conseguimento del risultato, riportando fedelmente dati numerici, algoritmici o comunque specificatamente rappresentabili.
Riflessioni conclusive
La R&S può indubbiamente rappresentare per l’azienda un veicolo attraverso il quale innovare, progredire e consolidare la propria posizione competitiva sul mercato.
Ed anche un importante vantaggio economico-finanziario data la disciplina del credito d’imposta.
È però importante capire quali sono le tecniche, soprattutto per la piccola-media organizzazione, al fine di legittimare e rafforzare le proprie (libere) scelte di attività d’impresa allo scopo di valorizzare a pieno il know-how aziendale e tutelarsi da eventuali contestazioni di natura fiscale.
Gabriele Ansani
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena