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Bollettino ADAPT 18 settembre 2023, n. 31
Il recentissimo rapporto “Promoting diverse career pathways for doctoral and postdoctoral researchers”, pubblicato da OCSE e realizzato nell’ambito del progetto “OECD Global Science Forum”, rappresenta la prosecuzione naturale dello studio già effettuato sul precariato nelle carriere di ricerca accademica (cfr. Reducing the precarity of academic research careers, maggio 2021), dal quale è emerso come sia necessario promuovere percorsi alternativi all’accademia per i dottori di ricerca non soltanto per alleviare il c.d. collo di bottiglia per le carriere universitarie, ma anche per i possibili risvolti sulla società.
Tali conclusioni hanno spinto il gruppo di esperti che ha coordinato la realizzazione del paper ad analizzare e a raccogliere diversi studi riguardanti le carriere extra-accademiche e dati su singoli Paesi del mondo con l’obiettivo di offrire “recommentations for action by different stakeholders in the research and innovation systems to promote diverse career pathways and options for doctorate holders, with a focus on doctoral and postdoctoral researchers”. Il documento, infatti, a partire da una literature review rispetto a contributi che hanno analizzato i fattori che influenzano le carriere dei dottori di ricerca e da un conceptual framework che sintetizza le evidenze degli studi in materia, analizza diverse esperienze nazionali per poi fornire – anche a partire dai dati nazionali – otto raccomandazioni per favorire differenti opzioni di carriera nella ricerca.
Il tema in questione risulta essere di grande attualità, considerati anche gli obiettivi posti in sede europea sull’incremento di investimenti in ricerca e sviluppo, nonché sull’implementazione di uno Spazio Europeo della Ricerca per costruire un unico mercato del lavoro di ricerca europeo in grado di elevare il livello di competitività dell’Unione Europea. Ne è un esempio il recentissimo pacchetto presentato dalla Commissione Europea nel mese di luglio, in cui è contenuta una raccomandazione del Consiglio per istituire un nuovo quadro europeo per le carriere della ricerca, una nuova Carta dei ricercatori e un quadro europeo delle competenze per i ricercatori; esso rappresenta l’ultimo di numerosi tentativi di perseguire un obiettivo che è condiviso dal documento dell’OCSE, dal momento che la creazione di un unico mercato del lavoro di ricerca avrebbe tra i suoi obiettivi anche l’abbattimento di quelle barriere intersettoriali che non favoriscono lo sviluppo di carriere alternative alla ricerca accademica e che ostacolano gli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore privato. E’ la stessa Commissione Europea, dopotutto, a riconoscere che “l’esistenza di risorse umane sufficienti e adeguatamente sviluppate nella ricerca e sviluppo costituisce l’elemento fondamentale per lo sviluppo delle conoscenze scientifiche e del progresso tecnologico, il rafforzamento della qualità di vita, la garanzia del benessere dei cittadini e il potenziamento della competitività dell’Europa”. Il paper OCSE, da questo punto di vista, offre un contributo significativo da una prospettiva – e una preoccupazione – differente, e cioè quella legata alle possibilità di carriere alternative all’accademia per dottori di ricerca o postdoc, incontrando uno degli obiettivi strategici dell’Unione Europea.
Entrando nel merito del documento, le pagine iniziali scattano una fotografia della situazione attuale delle carriere extra-accademiche, in cui emerge come “many potentially excellent researchers are electing not to do PhDs and those that do complete PhDs are often then trapped in precarious postdoctoral positions, which continue for several years”, arrivando così a determinare una forza lavoro accademica assai poco rappresentativa della ricerca stessa e spesso precaria, dal momento che “public research systems have become increasingly dependent on young researchers in precarious employment conditions to do the actual research” e che l’assenza di misure in grado di aumentare le posizioni a tempo indeterminato nelle università abbassa notevolmente le possibilità di prosecuzione della carriera accademica.
La literature review, in particolare, presenta risultati di studi rispetto a quei fattori che influenzano le carriere dei dottori di ricerca: anzitutto, rispetto alla transizione verso carriere non accademiche si registrano – tra i fattori individuali – difficoltà connesse all’ottenimento di una posizione tenure-track, asimmetrie informative sul mercato del lavoro accademico, mancanza di consapevolezza circa le candidature per posizioni non accademiche e le skills richieste. Per quanto riguarda il ruolo dei Principal Investigator, invece, il medesimo studio evidenzia come un “academic-centric definition of success” impedisca un pieno supporto alla carriera dei giovani ricercatori, e come spesso tali figure non siano adeguatamente formate per svolgere attività di mentorship in linea con le attuali esigenze del mercato del lavoro, o che si concentrino esclusivamente sul proprio progetto di ricerca considerando dottorandi e postdoc come strumentali al proprio obiettivo.
Dall’analisi dei diversi studi riportati nella literature review (si veda pp. 14-21 del documento), il paper traccia un conceptual framework in cui si riscontrano diverse criticità: difficoltà di stabilizzazione in università in seguito al dottorato di ricerca, mancanza di diversificazione delle possibilità di carriera, carenza di mobilità intersettoriale, formazione inadeguata dei ricercatori per la preparazione a differenti career paths e supporto non adeguato per la transizione dall’accademia ad altri settori economici. In più, il paper mette in luce due ulteriori aspetti critici connessi al mercato del lavoro, e cioè, da una parte, la sua prevalente concentrazione sull’accademia che impedisce agli altri settori di sviluppare una capacità di assumere dottori di ricerca e offrire loro posizioni compatibili con la loro formazione, e dall’altra la complessità intrinseca al sistema di ricerca e innovazione data da governance multi-livello e da diversi stakeholder che richiede uno sforzo per coordinare ed indirizzare le politiche necessarie.
Il report evidenzia poi altri aspetti altrettanto critici rispetto ai percorsi di carriera alternativi all’accademia, a partire dall’aumento di dottori di ricerca a cui non segue un incremento delle posizioni a tempo indeterminato nei contesti accademici e da una tendenziale preferenza – da parte di dottorandi e postdoc – per la carriera in università. Quest’ultimo aspetto è legato anche al fatto che in molti Paesi coinvolti nel report non vi siano iniziative finalizzate a promuovere carriere differenti, o comunque siano spesso attuate soltanto in determinati contesti. Altri punti critici evidenziati riguardano le difficoltà nella costruzione di percorsi di postdoc, che in molti Paesi restano destrutturati, e la preoccupazione legata alla fuga di cervelli all’estero per via di carenze di opportunità oltre l’accademia, con un ulteriore rischio di perdita di talenti e di mancato ritorno degli investimenti economici effettuati dai Paesi stessi. Anche da un punto di vista culturale, il report mette in evidenza come “even when opportunities (di carriere alternative, n.d.r.) exist, researchers may not be encouraged, or even be tacitly or actively discouraged”, mostrando come i percorsi al di fuori delle università siano considerati come un “piano B”. A ciò occorre aggiungere anche una difficoltà nel fornire adeguate informazioni ai giovani ricercatori per consentire loro una scelta rispetto alla carriera da intraprendere, oltre che quello che il paper definisce come lack of permeability” accademico, legato alla difficoltà per un ricercatore che abbia intrapreso un percorso extra-accademico di ritornare in un contesto universitario. Infine, è importante sottolineare come in diverse economie il dottorato di ricerca non sia così apprezzato e considerato dai datori di lavoro al di là dell’accademia, dal momento che spesso considerano i dottori di ricerca come non dotati di competenze quali la comunicazione o il lavoro di gruppo.
All’esito di un’analisi effettuata rispetto alle politiche intraprese dai Paesi coinvolti (pp. 35-44), il report ha definito otto raccomandazioni generali per promuovere differenti percorsi di carriera per i dottori di ricerca, prendendo atto di come questo tema sia una preoccupazione comune tra i Paesi OCSE e che il precariato nella ricerca accademica costituisca un vulnus per l’intero sistema della ricerca, dall’attrattività delle carriere nella ricerca, alla retention dei talenti fino a possibili effetti negativi sulla qualità della scienza. La prima raccomandazione consiste nel promuovere l’engagement e l’interazione tra le istituzioni accademiche e i finanziatori con i datori di lavoro extra-accademici: questo aspetto è essenziale per contribuire alla costruzione di un mercato del lavoro di ricerca che consideri le competenze necessarie per percorsi alternativi alla carriera universitaria, nonché per favorire l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro. La seconda raccomandazione riguarda la necessità di formare dottori di ricerca e postdoc attraverso esperienze che siano funzionali a carriere alternative: un esempio fornito dal report riguarda il finanziamento di dottorati in collaborazione con le imprese, oppure lo sviluppo di programmi di mentorship che sappiano guardare oltre l’accademia e che coinvolgano enti o imprese. La terza raccomandazione, invece, richiede di valorizzare le differenti possibilità di carriera all’interno e all’esterno dell’università: da questo punto di vista, è importante analizzare i dati che emergono dalle carriere dei dottori di ricerca nei settori economici, piuttosto che tracciare i relativi percorsi per fornire informazioni a tutti i potenziali soggetti interessati. La quarta raccomandazione, assai impegnativa, richiede uno sforzo per offrire a dottori di ricerca e postdoc dei piani di sviluppo di carriera personali, nonché una guida per le opportunità di carriera anche attraverso il coinvolgimento dei relativi supervisori. La quinta e sesta raccomandazione intendono promuovere la mobilità intersettoriale tra le imprese, la pubblica amministrazione e gli enti non-profit di diritto privato con la ricerca accademica, attraverso collaborazioni su dottorati di ricerca, sgravi fiscali, piuttosto che tutela delle posizioni previdenziali e, soprattutto, riconoscimento della professionalità e delle esperienze svolte al di fuori dell’università. L’ottava raccomandazione, strettamente connessa alle ultime menzionate, richiede un impegno per la mobilità internazionale dei ricercatori attraverso l’implementazione di istituti per favorire la portabilità dei diritti previdenziali e il supporto ai ricercatori stranieri per la creazione di un mercato del lavoro globale della ricerca. La settima raccomandazione, infine, guarda all’interno dei contesti accademici per riconfigurare i modelli tradizionali di sviluppo delle carriere in un’ottica che consideri i percorsi al di fuori delle università e che promuova degli spazi “between academia and professional services” per aprire nuovi percorsi professionali.
Infine, accanto alle otto raccomandazioni, il documento propone un “visioning exercise” in cui gli esperti che hanno coordinato il progetto hanno indicato alcuni punti saldi per una visione sul futuro delle carriere nella ricerca e sui relativi ostacoli. In tal senso, il report immagina una forza lavoro che sia equilibrata dal punto di vista della gender equality e del work-life balance, in cui i ricercatori accademici siano connessi con imprese, pubblica amministrazioni e più in generale con la società e dove vi siano maggiori opportunità di stabilità e, al tempo stesso, di mobilità intersettoriale e di attività transdisciplinari supportate da diverse opportunità formative, in cui non possono mancare le competenze digitali, l’orientamento alla risoluzione dei problemi e lo svolgimento delle attività in contesti imprenditoriali.
In conclusione, il report “Promoting diverse career pathways for doctoral and postdoctoral researchers” presenta un’analisi lucida rispetto ad una necessità sempre più urgente, soprattutto in un contesto di knowledge economy, di superare quella tendenza di lasciare interamente ai ricercatori la costruzione di ponti tra la ricerca accademica e le carriere oltre l’accademia stessa. L’aumento del numero di dottori di ricerca, da questo punto di vista, non può rappresentare un fattore di vulnerabilità nella gestione delle carriere, ma deve diventare uno stimolo a ripensare alla ricerca non soltanto nelle università, ma anche in contesti di lavoro differenti quali imprese, pubbliche amministrazioni o enti privati di ricerca, in cui si può trovare una maggiore apertura a ulteriori finanziamenti e con i quali occorre impegnarsi per alimentare un sistema che elimini le barriere legate alla mobilità intersettoriale e che valorizzi competenze acquisite ed esperienze svolte anche al di fuori dei contesti di ricerca accademica. Un aspetto che richiederebbe una maggior attenzione dovrebbe essere il tema connesso alla contrattazione collettiva, aspetto soltanto menzionato nelle premesse del report tra le vulnerabilità dei giovani ricercatori; se, da una parte, è importante che gli stakeholder coinvolti seguano le raccomandazioni del documento per attuare politiche in grado di favorire percorsi di carriera differenti rispetto all’accademia, dall’altra è altrettanto importante guardare alla rappresentanza degli interessi dei ricercatori negli enti coinvolti e ai contratti collettivi, in quanto strumenti potenzialmente in grado di tradurre le norme sociali in norme giuridiche, di riconoscere competenze ed esperienze acquisite nei contesti di lavoro e di riconnetterle a livelli salariali, svolgendo così una funzione determinante nella costruzione dei percorsi di carriera dei ricercatori.
Lorenzo Citterio
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena