Rider, sedotti e abbandonati

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Bollettino ADAPT 28 settembre 2020, n. 35

 

Il fatto che la tutela del lavoro dei rider fosse anche, se non soprattutto, parte di una strategia mirata di comunicazione politica del Movimento 5 Stelle, lo aveva detto (e nemmeno tanto tra le righe),l’allora Ministro del lavoro Luigi di Maio dando avvio al “Governo del Cambiamento”. Il 4 giugno del 2018 le cronache del sito del Ministero del Lavoro ci informavano che il suo primo giorno di attività il neo-ministro lo aveva voluto “dedicare ai lavoratori delle piattaforme di food delivery” […]. Simbolo di una generazione abbandonata, che non ha tutele e, a volte, nemmeno un contratto“. La vicenda dei rider italiani, allora ancora contati attorno alle 10.000 unità, si configura quindi sin da subito come un’azione simbolica, prima ancora che un’iniziativa istituzionale con il governo nel ruolo di regista delle relazioni industriali (già in quel primo incontro con i rider di Roma e di Bologna, di Maio dichiarava infatti l’intenzione di coinvolgere tutte le forme di rappresentanza, anche quelle tradizionali).

 

Il tentativo del Ministro del lavoro era stato quello di usare la legge come grimaldello per portare le aziende a riconoscere tutele minime per i ciclo-fattorini. La prima soluzione tentata era stata quella di una norma dedicata da inserire nel Decreto Dignità. Una bozza del decreto prevedeva che i rider avrebbero dovuto essere inquadrati come “prestatori di lavoro subordinato” con diritto a una “indennità mensile di disponibilità, e che fosse vietata la loro retribuzione “a cottimo”. Un’iniziativa muscolare che, se aveva scaldato gli animi degli italiani molto meno dei temi che intanto venivano agitati dall’altro vice-premier Matteo Salvini, aveva suscitato la reazione dell’amministratore delegato di Foodora Italia, il quale in un’intervista al Corriere della Sera del 17 giugno 2018 aveva avvertito che la multinazionale tedesca, in caso di approvazione, si sarebbe trovata costretta a lasciare l’Italia. Quasi un’assist involontario per il ministro, che su Facebook e attraverso il Blog delle Stelle lo aveva definito “un ricatto bello e buono”, ma che il giorno seguente, al tavolo con le aziende, aveva potuto avanzare un’ipotesi alternativa alla legge: quella di mettere insieme i rappresentanti delle piattaforme e dei rider, con “l’auspicio” che si arrivasse al primo contratto collettivo nazionale della ‘gig economy’”.  

 

L’iniziativa si era guadagnata non solo i titoli dei giornali, ma anche i servizi delle edizioni serali dei tg nazionali. Come già era successo qualche settimana prima, l’11 aprile 2018, in occasione della c.d. sentenza Foodora con la quale il tribunale di Torino aveva respinto il ricorso di sei ex-fattorini della società tedesca, affermando che essi non fossero qualificabili come lavoratori dipendenti, bensì come autonomi. Sentenza il cui clamore mediatico aveva probabilmente avuto delle ricadute anche sul piano delle relazioni industriali, dove gli attori cominciavano a muoversi. Il 18 luglio 2018 le organizzazioni sindacali Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti e le associazioni datoriali (che già avevano inserito l’istituzione della figura del rider nel rinnovo del contratto nazionale Logistica, Trasporto Merci del dicembre 2017) siglavano un accordo “integrativo”, salutato con favore anche da Di Maio, per la disciplina della figura. Il che implicava affermare che i rider fossero, al contrario di quanto stabilito dalla prima sentenza in materia, lavoratori subordinati. Tra le associazioni datoriali della logistica firmatarie non compariva però Assodelivery, che sarebbe stata costituita solo cinque giorni dopo, il 23 luglio 2018 (novità anch’essa salutata dal Ministro come un “segnale importante”) raccogliendo le principali aziende che operano nel mercato italiano del food delivery. Le quali non avevano però (e tuttora non hanno) interesse ad applicare il ccnl della logistica e ad inquadrare i collaboratori rider come lavoratori subordinati.

 

A questo punto sul piano politico i tavoli cominciano a susseguirsi, scanditi dagli annunci puntuali del Ministero fino a novembre 2018. Ma i risultati tardano ad arrivare. Intanto la giustizia fa il suo corso, e l’11 gennaio 2019 la Corte di Appello di Torino accoglie il ricorso dei cinque ex-rider di Foodora (nel frattempo acquisita da Deliveroo) sancendo il loro diritto a un trattamento economico calcolato sulla retribuzione stabilita proprio nel contratto collettivo logistica-trasporto merci.

 

Tre giorni dopo, il Ministero del lavoro pubblica una comunicazione laconica che, significativamente, non riporta alcuna dichiarazioni del Ministro, e annuncia di nuovo che “la norma che regolerà il contratto di lavoro dei moderni ciclo-fattorini” è pronta ed arriverà entro marzo. Ma marzo trascorre senza che la norma riesca a trovare dimora in un provvedimento (nel decreto reddito di cittadinanza la norma viene dichiarato inammissibile da entrambe le camere per estraneità della materia). Così il ministro Di Maio è costretto a tornare sul tema tre mesi dopo, il 28 aprile 2019, e cioè a quasi un anno dal primo annuncio, facendo sapere da Facebook che la norma sui rider è (nuovamente) pronta e che sarà inserita nella legge sul salario minimo in discussione in quei giorni al Senato. Secondo il Ministro la strada della concertazione è fallita: “alcune divergenze incolmabili non […] hanno permesso di approdare alla sottoscrizione di un accordo”.

 

Anche l’ennesimo annuncio viene però disatteso. Il 29 giugno 2019 i rider di Bologna si danno appuntamento in piazza per contestare “Di Maio-Pinocchio”. Una delusione ribadita prima dai rider di Roma il 2 agosto, quando Di Maio torna ad annunciare l’imminente approvazione di un decreto (perché “non c’è più tempo di aspettare”) e di nuovo dai rider di Bologna il 4 agosto, quando si apprende che Lega e Movimento 5 Stelle hanno trovato un accordo su un decreto-legge del quale una bozza inizia a circolare. In un video su Facebook il ministro di Maio riconosce: “Ci abbiamo messo un po’”.

 

Le norme che intervengono sul settore del food delivery, vengono inserite nel decreto-legge n.101 recante “Disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali” che viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 4 settembre 2019, ossia il giorno prima che Di Maio ceda la guida del dicastero a Nunzia Catalfo (il primo governo Conte è nel frattempo caduto il 20 agosto). Toccherà quindi al nuovo Ministro dare notizia della nuova intesa raggiunta dalla maggioranza PD-Movimento 5 Stelle per la conversione, con modifiche, del c.d. “decreto rider” nella Legge n. 128 del 2 novembre 2019.

 

Non si tratta però, come le cronache recenti dimostrano, di un intervento risolutivo. Non solo perché resta aperta la contesa sulla qualificazione dei rider come autonomi o subordinato, ma soprattutto perché è la norma stessa a porsi “l’obiettivo principale” di rilanciare l’azione della contrattazione collettiva. Posticipando cioè di un anno l’entrata in vigore delle norme di legge e lasciando così (altro) tempo ai i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale di definire criteri di determinazione del compenso complessivo.

 

Il confronto tra le parti viene riavviato però del Ministero solo ad agosto 2020, ossia con l’approssimarsi dell’effettiva entrata in vigore della legge. Ed è il primo incontro di una nuova partita. Al tavolo convocato dal Ministro del lavoro sono presenti Assodelivery, Cgil Cisl Uil, Rider per i Diritti e Union. Gli stessi sindacati parlano di un incontro interlocutorio, ma registrano la disponibilità di Assodelivery “al confronto di merito nel solco di quanto previsto dalla normativa”.

 

Nell’ambito di questa ricostruzione dei fatti, l’accordo siglato lo scorso il 15 settembre da Assodelivery e Ugl-riders (vedi la sintesi proposta da Paolo Dammacco) nasce parallelamente a quest’ultimo tavolo ministeriale dove peraltro la Ugl non era neppure invitata.

 

L’obiettivo di giungere al primo contratto nel settore del food delivery, individuato Luigi Di Maio a giugno 2018, viene così raggiunto per una sorta di eterogenesi dei fini, fuori dalla stanze del Ministero del lavoro e facendo per un verso indispettire i sindacati confederali, che sul quel tavolo istituzionale avevano fatto affidamento, e senza che per altro verso il Ministero possa intestarsene il merito. Al punto da suggerire, in modo del tutto irrituale, una tempestiva (e forse poco mediata) nota tecnica dell’Ufficio legislativo del dicastero di via Flavia, funzionale a delegittimare i contenuti e gli attori dell’accordo.

 

Fino a quel momento la vicenda dei rider non aveva assunto una coloritura ideologica così evidente, il cui perno resta l’affermazione della subordinazione come criterio interpretativo del rapporto tra rider e aziende. Rapporto che invece l’accordo Assodelivery – Ugl qualifica come lavoro autonomo. Un messaggio che in chiave politica si completa con la denuncia di una remunerazione a cottimo (aspetto assai più complicato come descritto da Giovanni Piglialarmi) che permette ai detrattori dell’accordo di presentare di nuovo i rider come il simbolo del nuovo sfruttamento.

 

Benché la gran parte dei commentatori e dei quotidiani abbia immediatamente aderito a questa narrazione, non è assurdo pensare che la vicenda possa perdere rapidamente la sua quota d’interesse per il grande pubblico. Certo, a Ministero e sindacati confederali potrebbe convenire puntare tutto sulla eventuale messa fuori gioco da parte dei giudici dell’accordo Assodelivery-Ugl rider ed attendere la conseguente entrata in vigore delle norme di legge. Ma si tratterebbe di una conquista più sul piano della comunicazione politica che sul piano della capacità di rappresentanza e di governo della sostenibilità del settore. Il pubblico specifico infatti, quello dei rider, pur contraddistinto da diversi gruppi al suo interno, è in grado di comprendere i nodi affrontati dal contratto, compenso compreso. Il che potrebbe complicare il tentativo dei sindacati di denunciare condizioni di trattamento peggiori rispetto a quelle del sistema della logistica, soprattutto se attrarre le aziende del food delivery all’interno di questo sistema avesse poi il risultato di spingerle fuori dal mercato italiano.

 

In altre parole,  scadendo il tempo a disposizione per la contrattazione per “disinnescare” gli effetti di legge, i sindacati confederali e il Ministero potrebbero raggiungere l’unico risultato di aver trattato un simbolo solo come un simbolo:  ossia senza tenere sufficientemente in conto i contenuti concreti del contendere e, soprattutto, le reali esigenze dei lavoratori di un settore che ancora fatica a configurarsi attorno a un modello produttivo pacifico e sostenibile per entrambi gli attori coinvolti (lavoratori e anche imprese).

 

Forse anche per questo motivo, e una volta preso atto della debolezza della nota tecnica dell’Ufficio Legislativo del Ministero del lavoro (come argomentato da esperti e accademici di diversa estrazione e orientamento di politica del diritto), il nuovo tavolo convocato dal Ministero giovedì scorso, 24 settembre, (al quale non erano state invitate Ugl e Assodelivery) è stato rimandato a data da destinarsi.

 

Francesco Nespoli

Assegnista di ricerca
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@Franznespoli

 

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