Riforma del Terzo settore e cooperazione sociale: primi profili giuslavoristici

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La grande trasformazione del lavoro in atto sta interessando tutte le attività produttive, ivi incluse quelle operanti nel “mondo di mezzo” tra il “venduto” – dentro cui sta tutto quello che presuppone una relazione fra l’impresa privata e il consumatore privato – ed il “mediato”, che regola la relazione fra lo Stato e gli altri soggetti sociali sotto la bandiera dell’universalismo. Un settore che tradizionalmente è denominato Terzo settore (o settore non – profit), in una logica residuale, ma che, in realtà, include una pluralità più ampia di soggetti ed esperienze, tale da aver indetto persino a sostenere che la dizione “Terzo settore” abbia ormai ben poco da dire (così Mauro Magatti, “Terzo settore? Un concetto vecchio)

 

Il legislatore, prendendo atto dei cambiamenti in atto e perseguendo la volontà di promuovere ulteriormente la partecipazione dei privati al soddisfacimento dei menzionati bisogni, ha riformato e riordinato la disciplina di riferimento con il d. lgs. 117/2017, c.d. Codice unico del Terzo Settore (CTS). La riforma non è immediatamente operativa: la sua attuazione completa richiede ulteriori 42 atti, tra provvedimenti ministeriali ed autorizzazioni dell’Unione Europea, e la piena operatività dovrebbe essere raggiunta entro febbraio 2019 per la disciplina civilistica e gennaio/febbraio 2020 per la disciplina fiscale. Vero è che il processo di attuazione è già iniziato: particolarmente rilevante è il d. lgs. 112/2017 di riordino della disciplina dell’impresa sociale, ente del Terzo settore in cui l’attività economica d’impresa principale ha per oggetto la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale.

 

Nate per rispondere alle nuove esigenze sociali trascurate dall’impresa tradizionale e alle quali il servizio pubblico non era in grado di fare fronte in maniera adeguata (in particolare in Italia a seguito della chiusura di grandi strutture residenziali pubbliche o parapubbliche), l’impresa sociale è stata disciplinata finora dal d.lgs. 155/2006, con l’idea di agevolare la diffusione di imprese sociali superando il modello (a tratti limitante) della cooperazione sociale. Modello quest’ultimo, che ha rappresentato la prima forma giuridica di impresa sociale in Italia, essendo stato introdotto dalla l. 381/1991.

 

I summenzionati assetti normativi dell’impresa sociale e della cooperazione sociale si sono mostrati inadeguato al cambiamento sociale, economico e normativo in atto, e la riforma del Terzo settore e dell’impresa sociale vuole rappresentare una risposta all’esigenza di adeguamento, introducendo alcune novità (per approfondimenti, cfr. A. Fici, La nuova disciplina dell’impresa sociale. Una prima lettura sistematica, in Rivista Impresa sociale). Novità che possono interessano anche aspetti di carattere giuslavoristico.

Preliminarmente, le cooperative sociali continuano a trovare la propria disciplina di riferimento nella l. 381/1991 e, per effetto dell’art. 2520, c. 1 c.c., nel Codice civile.  Adesso è esplicitata la loro appartenenza al Terzo settore, le disposizioni del quale si applicano alla cooperazione sociale in quanto non derogate e compatibili con la “disciplina particolare” di cui alla l. 381/1991. Ed infatti, le esclusioni delle cooperative sociali dall’ambito di applicazione di puntuali disposizioni del CTS sono espressamente enunciate (ad es. l’esercizio delle attività di interesse generale di cui all’art. 5, comma 1, CTS). Inoltre, laddove lo ha ritenuto opportuno, il legislatore ha specificamente menzionato le cooperative sociali (ad es. nelle disposizioni di natura fiscale, artt. 82, comma 1, e 89, comma 11 CTS).

 

Tutte le cooperative sociali adesso sono imprese sociali di diritto, a prescindere dalla redazione del bilancio sociale e dal coinvolgimento di lavoratori e destinatari dell’attività. Non occorrono più dispendiose ed inutili modifiche statutarie e nella denominazione, né è necessario verificare per le cooperative sociali la sussistenza dei requisiti essenziali per la qualifica, come invece avviene per tutte le altre imprese sociali. Ovviamente, è necessario che le cooperative sociali rispettino le condizioni richieste dalla l. 381/1991.

Per quanto osservato sono applicabili alle cooperative sociali tutte le disposizioni del d.lgs. 112/2017 che non hanno natura di norme di qualificazione della fattispecie.

 

Quanto alle attività di interesse generale che le cooperative sociali sono ammesse a svolgere, resta fermo per le cooperative sociali l’ambito delle attività di cui all’art. 1, c. 1, l. 381/91. Tuttavia, l’ambito di attività che le cooperative sociali possono svolgere per perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini è stato ampliato, in raccordo con l’elenco di attività che può svolgere l’impresa sociale.

 

Attività della cooperazione sociale di interesse generale

(artt. 1 l. 381/1991 come modificato dall’art. 17, c. 1 d. lgs. 112/2017)

Gestione dei servizi socio-sanitari ed educativi
Interventi e servizi sociali di cui alle l. 328/2000, l. 104/1992 e l. 112/2016
Interventi e prestazioni sanitarie
Prestazioni socio-sanitarie di cui al d.P.R. 14 febbraio 2001
Educazione, istruzione e formazione professionale ai sensi della l. 53/2003, nonché le attività culturali di interesse sociale con finalità educativa
Formazione extra-scolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica e al successo scolastico e formativo, alla prevenzione del bullismo ed al contrasto della povertà educativa
Servizi finalizzati all’inserimento o al reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori molto svantaggiati ai sensi dell’art. 2, n. 99), del regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014 e delle persone svantaggiate o con disabilità ai sensi dell’art. 112, c. 2, d.lgs. 50/2016, nonché persone beneficiarie di protezione internazionale ai sensi del d. lgs. 251/2007, e persone senza fissa dimora iscritte nel registro di cui all’articolo 2, c. 4, l. 1228/1954, le quali versino in una condizione di povertà tale da non poter reperire e mantenere un’abitazione in autonomia.
Attività diverse – agricole, industriali, commerciali o di servizi – finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate ai sensi dell’art. 4, c. 1 l. 381/1991.

 

Dall’angolo visuale giuslavoristico, per effetto di quanto sopra osservato, si applica alle cooperative sociali la disciplina in punto di volontariato ed attività di volontariato (artt. 17 – 19 CTS) e di lavoro nell’impresa sociale (art. 13 d. lgs. 112/2017). In particolare, a differenza del precedente assetto normativo, le disposizioni sul lavoro nell’impresa sociale sono automaticamente applicabili al lavoro nella cooperazione sociale.

In quanto impresa sociale di diritto, i lavoratori della cooperativa hanno diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di cui all’art. 51 d. lgs. 81/2015. A differenza del corrispondente abrogato art. 14 d. lgs. 155/2006, il riferimento non è più indirizzato genericamente “ai contratti e accordi collettivi applicabili”, ma ai contratti collettivi (nazionali, territoriali, aziendali) firmati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (o le loro RSA o la RSU). La disposizione ha cambiato “geneticamente” significato: non più mero obbligo di applicazione del trattamento di cui ad un CCNL genericamente applicabile, ma obbligo di riconoscere condizioni economiche e contrattuali non inferiori a quelle di contratti firmati da parti sindacali rappresentative. La logica di contrasto a fenomeni di dumping e di stipula di contratti – pirata, già ben presente nella cooperazione (cfr. l. 142/2001) fa così il suo ingresso nell’impresa sociale.

 

Altra novità assente nell’abrogata disciplina pregressa, è l’introduzione di un criterio di proporzionalità del trattamento retributivo tra lavoratori dipendenti che, in ragione della natura d’impresa dell’attività esercitata, non può essere superiore al rapporto di uno a otto, da calcolarsi sempre sulla base della retribuzione annua lorda. La disposizione si inserisce chiaramente in una logica di equità, quasi moralizzatrice: evitare in un settore profondamente caratterizzato da istanze di giustizia sociale, l’adozione di politiche retributive interne fortemente sperequative in favore del management e a discapito della massa dei lavoratori subordinati. Le imprese sociali devono dare conto del rispetto del suddetto parametro nel proprio bilancio sociale: non è chiaro se tale indicazioni valga anche per le cooperative sociali, perché è controversa l’applicazione dell’obbligo di predisporre il bilancio sociale anche alle cooperative sociali.

Le suddette disposizioni debbono intendersi applicabili anche ai soci lavoratori, se assunti con contratto di lavoro subordinato, concorrendo con quelle di cui al d. lgs. 142/2001.

 

Altra novità della riforma consiste nel fatto che il CTS è l’attuale disciplina di riferimento in materia di volontariato, stante l’abrogazione della legge – quadro n. 266/1991. La definizione di volontario si rinviene ora nell’art. 17, c. 2 CTS: il volontario è una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà.

 

Le cooperative sociali, in quanto imprese sociali di diritto ed enti del Terzo settore, possono avvalersi di volontari nello svolgimento delle proprie attività, dei quali devono tenere nota in un apposito registro, purché non svolgano la loro attività in modo occasionale. Resta ferma la disposizione della l. 381/1991 per cui se i volontari sono anche soci, debbono essere iscritti in un’apposita sezione del libro dei soci. Le stesse non possono retribuire i volontari, stante la gratuità e l’assenza di lucro della loro attività: è consentito loro rimborsare le spese effettivamente sostenute dal volontario per l’attività prestata, purché documentate, anche a mezzo di autocertificazione. Sono in ogni caso vietati rimborsi spese di tipo forfetario.

Le cooperative sociali che si avvalgono di volontari devono assicurarli contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell’attività di volontariato, nonché per la responsabilità civile verso i terzi.

Il volontario può essere socio della cooperativa sociale, o tramite essa può svolgere la propria attività volontaria, ma la sua qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con la cooperativa sociale medesima.

 

In aggiunta a quanto sopra, il numero di volontari impiegati nell’attività d’impresa non può essere superiore a quello dei lavoratori: il limite non è più del 50% dei lavoratori a qualunque titolo impiegati nell’impresa sociale, come previsto nell’abrogato art. 14 d. lgs. 155/2006. Si tratta di una “liberalizzazione” nell’utilizzo quantitativo del volontariato che, se da un lato potrebbe incentivare lo sviluppo delle attività della cooperazione sociale, dall’altro potrebbe inasprire nel settore della cooperazione sociale la concorrenza al ribasso sul costo del lavoro, rendendo più competitive quelle cooperative che facciano massivo utilizzo del volontariato. Sarebbero così incentivati di fenomeni di deprezzamento del valore del lavoro nel settore della cooperazione sociale. È assente, inoltre, qualunque coordinamento con la disciplina dei soci volontari di cui alla l. 381/1991: tuttora il loro numero non può superare la metà del numero complessivo dei soci. Non è chiaro se i soci volontari rientrino nel computo dei volontari ai fini del rispetto della soglia numerica del numero dei lavoratori impiegati nell’attività d’impresa.

 

Da ultimo, resta per le c.d. cooperative sociali di tipo b), l’obbligo che almeno il 30% dei lavoratori della cooperativa siano persone svantaggiate ai sensi dell’art. 4, c. 1 l. 381/1991. Ora però, le cooperative sociali possono svolgere altresì servizi di inserimento lavorativo di lavoratori molto svantaggiati, di persone svantaggiate o con disabilità, di persone beneficiarie di protezione internazionale e persone senza fissa dimora di cui all’art. 2, c. 4 d. lgs. 112/2017. Con riferimento a questi specifici soggetti svantaggiati, il d. lgs. 112/2017 prevede l’obbligo per la cooperativa sociale che svolge servizi di inserimento di impiegare alle sue dipendenze un numero di tali soggetti non inferiore 30% dei lavoratori. Ai fini del computo di questa percentuale minima, i lavoratori molto svantaggiati non possono contare per più di 1/3.

Gli obblighi del 30% di “organico svantaggiato” di cui alla l. 381/1991 e d. lgs. 112/2017 non sono coordinati: una cooperativa sociale a scopo plurimo che svolga servizi di inserimento delle persone svantaggiate di cui all’art. 4 l. 381/1991 e all’art. 2, c. 4 d. lgs. 112/2017 dovrebbe avere il 60% del proprio organico costituito da soggetti in condizione di svantaggio: i due obblighi del 30% infatti si sommano, gli svantaggiati rilevanti per un computo non rilevano per l’altro. Inoltre, solamente per le per le persone svantaggiate di cui alla l. 381/1991 è previsto l’obbligo, compatibilmente con il loro stato soggettivo, di essere socie della cooperativa stessa.

 

In conclusione, solamente la piena operatività della riforma del Terzo settore ed il tempo potranno fornire ulteriori indicazioni sul reale impatto che il nuovo assetto normativo avrà sulle attività produttive e sull’organizzazione del lavoro nella cooperazione sociale. Soprattutto, se realmente la riforma sarà in grado di attribuire al nuovo paradigma che già sta soppiantando quello tradizionale di Terzo settore, un ruolo tutt’altro che di secondo piano anche nel mercato del lavoro.

 

Alessandro Alcaro

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@AlexAlcaro

 

Riforma del Terzo settore e cooperazione sociale: primi profili giuslavoristici
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