Quando il governo annunciò i 44 titoli della riforma della PA, commentai che l’intento annunciato era buono ma senza testi non si poteva giudicare. Il mio massimo rammarico è che a tre giorni dal Consiglio dei Ministri che ha – meglio, “avrebbe” – varato i testi del decreto legge e del disegno di legge delega, siamo ancora più o meno nella stessa situazione.
Poiché non voglio candidarmi al ruolo di eterno bastian contrario “a prescindere”, mi limito a sottolineare – tra le tante – le tre questioni che mi paiono più preoccupanti. Tenendo da parte l’intreccio legalità-opere pubbliche post Expo e Mose, a cui dedico una riflessione a parte.
Dalle notizie di cui disponiamo, la prima grave preoccupazione è la definizione stessa del perimetro di PA a cui si applicherebbe la riforma. In una bozza del ddl delega, c’è un elenco da far accapponare la pelle, almeno se la pelle è di un liberale. Perché nella PA si comprendono non solo le articolazioni centrali e periferiche dello Stato, enti e società controllate (non le quotate) ma anche, incredibile a dirsi, le università private, le scuole paritarie, gli ordini professionali. Di punto in bianco, una enorme fetta di libera e autonoma espressione dei privati e della loro iniziativa finisce per diventare “Stato” a tutti gli effetti. È una vergogna. Finora, solo il professor Francesco Forte ha protestato. Se davvero c’è questo nel testo, bisogna augurarsi che qualcuno in parlamento tenti di cassarli o soparanfo ad alzo zero.
La seconda preoccupazione riguarda una scomparsa: la definizione quantificata del risparmio programmatico prodotto da razionalizzazioni-accorpamenti della PA sembra del tutto uscito dall’orizzonte anche del disegno di legge delega. O meglio, se va bene resta l’obiettivo di un 1% annuale in meno sul totale della spesa. Ma quale spesa: quella pubblica complessiva – e saremmo a mezzo punto di Pil di spesa pubblica in meno, cioè 7,5 bn l’anno? Oppure un 1% delle sole spese di funzionamento generale degli apparati della PA, cosa che farebbe cadere il risparmio a qualche centinaio di milioni l’anno? Il criterio pare sia demandato a decreti del MEF a sei mesi dall’approvazione della legge delega in parlamento. Ma non doveva essere questo il punto di partenza, per fare finalmente un passo avanti serio per l’attuazione dei 30 miliardi di tagli-Cottarelli ancora da individuare e adottare nel prossimo biennio? E su che cosa tagliano, se non sull’intero perimetro organizzativo e funzionale della PA?
Tanto è vero che dai testi sarebbero saltati – secondo le indiscrezioni almeno – il più delle misure inizialmente indicate nei 44 titoli volte a contenere le spese attraverso accorpamenti. Niente unificazione non solo delle forze dell’ordine “minori” (e ci scusino i loro appartenenti per la definizione spiccia) – polizia penitenziaria e forestali – ma neanche del procurement tra le cinque forze “maggiori”. Pare sparito l’elenco degli oltre 20 enti di ricerca pubblici da accorpare. È saltato l’accorpamento di Aci, Pra e Motorizzazione civile, e speriamo l’aumento annunciato del bollo auto che era stato contestualmente annunciato. Il taglio sbandierato 45 giorni fa a non oltre 40 di prefetture e sovrintendenze diventa un’indicazione nel ddl di “riorganizzazione degli uffici periferici dello Stato su base regionale”, e auguri a voi se pensate che in parlamento su questa base sparirà davvero qualcosa. E le 34 mila stazioni appaltanti e di spesa pubbliche, si può sapere se nel provvedimento c’è una concreta indicazione numerica e di criterio per ridurle alle 40 che erano state enfaticamente annunciate? E la riduzione delle municipalizzate, che pare sparita anch’essa?
La terza preoccupazione riguarda i cosiddetti “esuberi”. Già la parola era sparita 45 giorni fa dal frasario governativo di Renzi e del ministro Madia. Ma quanto si è capito delle 6 misure diverse – tra personale e dirigenti – annunciate in realtà proprio per gestire gli esuberi, non offre ancora un quadro comprensibile. Davvero per la mobilità volontaria si pensa di consentirla liberamente al dipendente pubblico senza che l’amministrazione in cui è addetto possa dire alcunché, se solo quella dal dipendente indicata come preferita ha più posti vacanti in organico di quella di provenienza? Non si rischia in questo modo un grande esodo dal Nord – che ha meno dipendenti pubblici – al Sud, che ne ha di più cioè troppi ( e non per questo non ha posti vacanti in organico…)? E come è coperta, la possibilità di applicare il part time al dipendente pubblico a cui manchino soli 5 anni dalla pensione, garantendogli però un trattamento previdenziale pieno anche per gli ultimi 5 anni? Abbiamo capito che al ministro Madia pace molto questo “scivolamento” agevolato alla pensione perché consentirebbe di assumere circa 15 mila giovani (alcuni dicono in 5 anni, ma secondo altri s’intende invece ogni anno 15 mila per 5 anni), ma tutto ciò quanto costa e chi paga? Dal creare risparmi, eccoci arrivati alle misure che aggravano il deficit? Anche perché, guarda caso, i magistrati hanno ancora una volta strappato invece il diritto a restare in servizio oltre i 70 anni per altri 5 anni, a giudicare dalla conferenza stampa di Renzi…. (il bis della sentenza della Corte Costituzionale che ha stoppato il blocco degli aumenti retributivi automatici ai soli magistrati in tutta la PA, in quanto gli aumenti sarebbero “presidio di serenità indispensabile all’autonomia e all’indipendenza della magistratura”: io la considero una intollerabile vergogna corporativa).
Ottimo prevedere la riforma su base regionale e non più provinciale delle Camere di commercio, e il taglio degli oneri d’iscrizione per le imprese. Ma l’obbligo di rendicontazione scritta e pubblica per ogni spesa sindacale, in un paese in cui le confederazioni in barba alla trasparenza non pubblicano un bilancio consolidato, era stato annunciato 45 giorni fa e ora nella conferenza stampa di venerdì è sparito…è rimasto il taglio ai distacchi sindacali nella PA, e per questo i sindacati insorgono: altra bella prova di come siano estranei all’autodifesa corporativa, vero?
Ok ok, aspettiamo i testi. Ma è singolare davvero, un Paese in cui gli annunci contano più della sostanza. E i media tanto si abituano da riferire e scrivere come avendo testi che non hanno. O no?