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Bollettino ADAPT 7 settembre 2020, n. 32
È nei momenti di crisi e trasformazione che il ritorno ai classici dimostra tutta la sua utilità. Questa regola vale anche e soprattutto per l’emergenza sociale causata dalla pandemia che, come è stato rilevato, ha innescato un cortocircuito decisionale dovuto all’aver «contrapposto frontalmente due pretese di razionalità che sono state messe in concorrenza tra di loro nella comunicazione pubblica e anche in quella politico-sindacale: la razionalità medico-scientifica (a favore della chiusura delle attività produttive) e la razionalità economica (a favore di una loro rapida riapertura). Come se la razionalità economica fosse espressione del mero e brutale interesse al profitto del singolo imprenditore e non di un ben più complesso ordine sociale di convivenza, mediato nelle scelte di interesse e nei conflitti di potere dalla razionalità giuridica e finalizzato, nella sua totalità, alla creazione di valore, benessere, lavoro e mezzi di sussistenza per l’intera collettività» (M. Tiraboschi, L’emergenza sanitaria da Covid-19 tra codici ATECO e sistemi di relazioni industriali: una questione di metodo, in corso di pubblicazione in D. Garofalo, M. Tiraboschi, V. Filì, F. Seghezzi (a cura di), Welfare e lavoro nella emergenza epidemiologica. Contributo sulla nuova questione sociale, ADAPT University Press, 2020).
Di particolare utilità si mostra, in questa prospettiva, il pensiero di John Rogers Commons che, in questa sede, possiamo ripercorrere attraverso la preziosa e sempre attuale lettura che me ha dato Gino Giugni, nel 1952, sulla rivista il Mulino, con un contributo dal titolo Il “Ragionevole Capitalismo” di John R. Commons.
L’analisi di Giugni parte con la definizione delle teorie economiche tradizionali, che precedono la teoria istituzionalista volta, invece, a destrutturare proprio quei principi tipici del capitalismo ortodosso. Ciò che queste teorie tradizionali postulavano era la presenza di il sistema economico intrinsecamente armonioso e regolato da leggi universali scoperte (e non ipotizzate) dagli economisti che si comportavano a mo’ di scienziati. L’approccio che oggi si ha nei confronti della matematica – la scienza esatta per eccellenza – era dunque presente anche nell’ambito delle scienze sociali. Giugni sottolinea nella sua analisi come tale presunta armonia del sistema economico sia stata la base sulla quale si innestò l’analisi di alcuni economisti che, consapevoli del rischio che l’economia si trasformasse in una descrizione astratta e distaccata dalla realtà, furono spinti a rinnovare la teoria economica partendo dai postulati tradizionali oppure a discostarsi sia dagli uni che dagli altri. A quest’ultimo insieme appartiene la scuola dell’istituzionalismo nordamericano grazie alla quale è compiuto un passaggio fondamentale: l’abbandono del tentativo della dottrina tradizionale di creare una scienza economica esatta (che isoli l’irrazionalità) e distaccata dai fatti sociali. L’economia secondo la scuola istituzionalista è invece scienza delle scelte dell’uomo inserito in un contesto sociale e caratterizzato da fattori istituzionali. Con la chiave di lettura istituzionalista, l’economia diventa lo studio delle istituzioni e trova spazio in una concezione unitaria delle scienze sociali. I modelli economici non sono regolati da leggi perfette e soprattutto eterne: il capitalismo e la sua società è un modello limitato nel tempo e nello spazio.
Definito il contesto di contorno, l’analisi di Giugni procede e affronta il pensiero di J.R. Commons il quale insieme a Veblen e a Mitchel si dedicò a studiare il “nuovo capitalismo”, concentrandosi sui suoi profili giuridici. L’obiettivo ultimo dell’indagine di J.R. Commons è quello di definire il sistema istituzionale tale da rendere il capitalismo, che egli non idealizzata come avveniva nella dottrina tradizionale, funzionante (workable). È importante sottolineare come il carattere distintivo della ricerca di J.R. Commons non risieda solamente nei testi di quelli che possono essere considerati i suoi maestri – John Dewey e Richard Ely, il primo a condurre un’analisi economica delle istituzioni giuridiche – bensì nella sua metodologia. Commons basa tutte le sue analisi su uno studio del reale che mira ad osservare il funzionamento nel concreto della “macchina sociale”. È con la pratica del look and see che Commons studia lo sviluppo delle trade unions, dei primi contratti collettivi e della prima legislazione infortunistica e previdenziale. Inoltre, tramite questo approccio J.R. Commons osserva lo sviluppo giuridico ed economico per poi arrivare a delineare delle teorie. Nello specifico giunge a teorizzare la sua teoria di economia istituzionale (o investigativa), partendo dall’osservazione dello scontro tra gli interessi delle differenti classi che osserva sul campo. Giugni nella sua analisi afferma come questa concezione economica, che potrebbe risultare inadatta a leggere la realtà per via del suo alto grado di dinamismo, trovi comunque un suo equilibrio in questo approccio metodologico di ricerca che permette al ricercatore di dare un senso ai fenomeni sociali: non è un semplice osservare la realtà ma un osservare per capire e poi teorizzare.
L’economia investigativa di Commons ha anche la caratteristica di essere economia collettiva cioè sviluppata attraverso l’azione di gruppi di interesse/organismi di azione: se infatti il periodo feudale era caratterizzato dalla presenza di un gruppo che deteneva il potere e imponeva le sue regole, l’epoca nella quale scrive Commons è caratterizzata dalla bargaining transaction cioè dalla definizione delle regole attraverso libere transazioni contrattuali.
Inoltre, sempre nell’ambito della destrutturazione dei canoni economici ortodossi, Commons si pose l’obiettivo di “aggiustare” il capitalismo attraverso la riconciliazione tra efficency (determinata dal progresso tecnologico) e scarcity (cioè la scarsità di merce volta ad aumentare il valore di scambio) e soprattutto attraverso la definizione di un nuovo valore di scambio. Nella mente di Commons, quest’ultimo non doveva essere più considerato come il risultato dell’automatismo del mercato ma come prodotto dell’incontro (o scontro) dei fattori istituzionali. Nello specifico, Commons compì anche un attento studio della prassi giurisprudenziale americana, prodotta dalle corti giudicanti chiamate ad intervenire nei conflitti economici e a riequilibrarli, andando a ricavarne dei c.d standards di ragionevolezza. Giugni sottolinea come questi standards ai quali faceva riferimento Commons fossero delle etichette utilizzate per raggruppare i ragionamenti compiuti dalle corti sui fenomeni sociali, tutt’altro che razionali. Per Commons gli standards di ragionevolezza sono necessari a compiere una selezione dei risultati estremi di un sistema economico come quelli della concorrenza spietata e del monopolio.
In conclusione, Giugni giunge quindi alla definizione del c.d. capitalismo ragionevole di J.R. Commons nel quale ogni elemento economico deve essere caratterizzato da un grado di ragionevolezza, raggiunto attraverso l’azione concertata all’interno delle industrial commission rappresentative dei lavoratori, dei datori di lavoro e dei consumatori. La struttura economico-sociale di Commons appare decisamente pluralista e fondata su uno sviluppato sistema di contrattazione collettiva attraverso la quale i gruppi di interesse definiscono le proprie sfere di giurisdizione.
In queste poche righe, nelle quali si è tentato di riassumere, grazie soprattutto al prezioso lavoro di Gino Giugni, il pensiero di un “classico del lavoro”, è possibile facilmente cogliere l’utilità del pensiero di J.R. Commons per il nostro tempo. Infatti, in una fase storica segnata dallo sconvolgimento apportato dalla pandemia, la necessità di un approccio di indagine del reale come base delle teorie economico-giuridiche, accompagnato da una struttura istituzionale coinvolgente i soggetti rappresentativi della nostra società, risulta imprescindibile per compiere le scelte migliori nei tempi e nei modi più efficaci.
ADAPT Junior Fellow