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Bollettino ADAPT 2 ottobre 2023, n. 33
Il tema della riduzione del tempo di lavoro fa parte delle lotte sindacali sin dagli albori dell’industrializzazione. Questo perché, nel contesto della regolazione contrattuale del rapporto di lavoro subordinato, la disciplina relativa all’orario ha in tale periodo acquisito la duplice funzione di caratterizzare la relazione tra lavoro e salario e di identificare inequivocabilmente la parte del giorno, della settimana o dell’anno del lavoratore sotto il controllo e la disponibilità del datore di lavoro (J. Rubery, K. Ward, D. Grimshaw, H. Beynon, Working Time, Industrial Relations and the Employment Relationship, in Time & Society, 2001, Vol. 14, n, 1, p. 91); temi, questi, su cui i rappresentanti dei lavoratori hanno da sempre sentito la necessità di fare sentire la propria voce.
Durante gli ultimi anni, complici i sempre più realistici scenari legati all’automazione del lavoro e lo sviluppo di una nuova sensibilità al tema della conciliazione tra lavoro e vita privata, il tema della riduzione dell’orario di lavoro ha ripreso ampio spazio nel dibattito pubblico italiano ed internazionale.
Gli aggiornamenti più interessanti sul punto arrivano in questi mesi dalla Germania, paese in cui il principale sindacato dei lavoratori dell’industria metalmeccanica (IG Metall) sta intraprendendo significative iniziative in materia.
Per la verità, IG Metall dedica da tempo attenzione alla materia della riduzione dell’orario di lavoro: all’interno del proprio sito internet, infatti, il sindacato ricorda come nel 1984 abbia indetto uno sciopero di sei settimane e mezzo per la riduzione dell’orario di lavoro da 40 a 35 ore settimanali a parità di salario (con motto Mehr Zeit zum Leben, Lieben, Lachen – più tempo per vivere, amare e ridere) e come, nel 1993, il suo intervento sia stato determinante per l’introduzione della settimana di quattro giorni (Vier-Tage-Woche) alla Volkswagen, seppure, in quel caso, finalizzata alla tutela dei livelli occupazionali dell’azienda.
Oggi IG Metall sta ritornando sul tema, anche sulla base di studi condotti da rilevanti istituti di ricerca del paese. Nel Novembre del 2022, infatti, i ricercatori dell’Istituto per gli studi socio-economici (WSI) della Fondazione Hans Böckler hanno diffuso un questionario relativo alla settimana di quattro giorni (si veda Y. Lott, E. Windscheid, 4-Tage-Woche, Vorteile für Beschäftigte und betriebliche Voraussetzungen für verkürzte Arbeitszeit, WSI Policy Brief, 5/2023) tra circa 2500 lavoratori, il quale ha rivelato che l’81% dei rispondenti sarebbe favorevole a tale modalità organizzativa, soprattutto perché in questo modo sarebbe più facile conciliare lavoro e vita privata, ma anche per dedicare maggiore tempo alla propria famiglia. Tuttavia, il 73% aderirebbe ad una simile distribuzione oraria solo a parità di retribuzione, mentre soltanto l’8% accetterebbe una corrispondente riduzione del proprio salario.
I rispondenti che invece rifiuterebbero la settimana di quattro giorni adducono come principale motivo la circostanza per cui gli piace il loro lavoro (86%). L’82%, invece è scettico sul fatto che una riduzione dell’orario di lavoro possa modificare in modo rilevante i processi lavorativi. Circa il 77% ritiene che non sarebbe più in grado di svolgere proficuamente il proprio lavoro.
Anche sulla base di questi risultati, durante la prossima tornata di contrattazione collettiva nell’industria siderurgica della Germania nord-occidentale (Nordreno-Westfalia), prevista a Novembre 2023, le richieste dell’IG Metall si concretizzeranno in una riduzione dell’orario di lavoro settimanale da 35 a 32 ore con una compensazione salariale totale – oltre a un generale aumento dell’8,5% delle retribuzioni. Secondo il leader distrettuale dell’IG Metall NRW Knut Giesler, tale riduzione dell’orario di lavoro nelle acciaierie rappresenterebbe il presupposto per l’introduzione della settimana di 4 giorni anche in altri settori dell’economia.
La richiesta di IG Metall non sembra tuttavia trovare terreno fertile sul lato datoriale: l’associazione dei datori di lavoro del settore siderurgico ha infatti criticato il fatto che una riduzione dell’orario di lavoro nella misura richiesta, a parità di salario, comporterebbe un effettivo aumento della retribuzione oraria, il quale rappresenterebbe una minaccia esistenziale per il settore se sommato agli ulteriori aumenti richiesti dal sindacato. Inoltre, è stato affermato che una riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a 32 ore priverebbe le aziende siderurgiche del Nordreno-Westfalia della manodopera necessaria per la produzione, soprattutto in vista del passaggio a una produzione di acciaio neutrale dal punto di vista climatico e della grave carenza di lavoratori qualificati in Germania (1,98 milioni nel 2022, secondo il Governo Federale).
Nel settore metallurgico/elettrico, invece, le richieste del sindacato appaiono più contenute. Secondo Jörg Hofmann, presidente di IG Metall, la riduzione dell’orario di lavoro – e di conseguenza la settimana di quattro giorni – non rappresenta il fulcro della piattaforma sindacale per la prossima tornata contrattuale, prevista a Novembre 2024, la quale invece si concentrerà sulla difesa dei salari in relazione all’inflazione; la riduzione della durata della settimana lavorativa standard da 35 a 32 ore nei settori indicati rappresenta, al contrario, un obiettivo a lungo termine, da raggiungersi gradualmente.
Parallelamente alle iniziative del sindacato, si moltiplicano anche le proposte dal lato aziendale. L’azienda di consulenza berlinese Intraprenör, in collaborazione con l’organizzazione Four Day Week Global, sta infatti lanciando un progetto pilota attraverso cui i datori di lavoro possono sperimentare la settimana di quattro giorni per sei mesi, avvalendosi dei consigli di esperti in materia e scambiando informazioni e best practices con gli altri datori di lavoro partecipanti al progetto. In più, al termine della sperimentazione le aziende potranno avvalersi di una valutazione “scientifica” del successo dell’operazione, curata dall’Università di Münster.
Il progetto si basa su un modello di organizzazione del lavoro in cui l’orario viene effettivamente ridotto – differentemente da altri, diffusi secondo la rivista settimanale Der Spiegel in aziende tedesche di piccole dimensioni, basati su un’estensione dell’orario giornaliero nei primi quattro giorni della settimana, ed una compensazione dello stesso con il tempo libero di cui si fruisce durante il quinto giorno. Un simile modello, in Italia, è stato recentemente adottato da Intesa Sanpaolo, il cui più recente accordo aziendale permette a buona parte dei suoi dipendenti di distribuire il proprio orario settimanale di 36 ore su 4 giorni (9 ore giornaliere) invece di cinque (si veda, in materia, D. Porcheddu, Smart Working e “settimana corta” in Intesa Sanpaolo: un esempio di “transizione digitale” negoziata, in DRI, n. 3, in corso di pubblicazione).
L’accordo di Intesa Sanpaolo rappresenta uno dei pochi casi in Italia concernenti sperimentazioni in materia di rimodulazione dell’orario di lavoro adottati per via contrattuale: nel 2022, infatti, gli esempi di riduzione dell’orario normale di lavoro rispetto a quanto previsto dalla contrattazione nazionale di settore (a parità di salario) risultano rari e solitamente legati a specifiche modalità di articolazione del lavoro in turni o differenti eventi circostanziali, puntualmente individuati dagli accordi aziendali che li disciplinano. Talvolta, peraltro, le ore “mancanti” risultano interamente a carico dell’azienda, mentre in altri casi le stesse risultano parzialmente o interamente coperte da quote di PAR del lavoratore stesso (ADAPT, La contrattazione collettiva in Italia (2022). IX Rapporto ADAPT, 2023, ADAPT University Press, p. 166).
In questo senso, risulterà interessante, nel monitoraggio della contrattazione collettiva dei prossimi anni, comprendere se il fermento di aziende e sindacati tedeschi si sia riverberato o meno anche in Italia, oppure se permarrà quella diffidenza nei confronti delle rimodulazioni dell’orario di lavoro riscontrabile anche nella regolazione collettiva di modelli organizzativi teoricamente “flessibili”, come ad esempio il lavoro agile: in materia si nota, infatti, come la maggioranza degli accordi siglati nel corso del 2022 non si spinga a variare non solo la durata, ma nemmeno la collocazione del tempo di lavoro rispetto a quanto previsto per i lavoratori che svolgono la totalità della propria prestazione all’interno dei locali aziendali (ADAPT, La contrattazione collettiva in Italia (2022). IX Rapporto ADAPT, 2023, ADAPT University Press, p. 169).
Diletta Porcheddu
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena