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Bollettino ADAPT 5 settembre 2022, n. 29
Nonostante sia consapevole che lo smart working presenti non solo luci, ma anche ombre, segnalo che dopo la pausa estiva potrebbe manifestarsi una significativa sindrome da rientro generalizzato “in ufficio”.
La rimozione del lavoro da remoto potrebbe agire quale meccanismo difensivo delle persone, di rimozione degli aspetti penosi dei traumi e del vissuto della pandemia. Tuttavia, la forzatura di un rientro lavorativo in presenza non pare spiegabile solo in chiave psicoanalitica e/o di nostalgia delle relazioni con i colleghi. Potrebbe, invece, rappresentare una reazione dei datori, privati e pubblici, ai cambiamenti della regolamentazione giuridica della gestione del lavoro a distanza.
Dal 1° settembre, (tutto) il lavoro agile (anche quello del settore privato) ritorna alla disciplina “ordinaria”. Ma lo fa con il concreto rischio di ritornare a essere una modalità di lavoro piuttosto eccezionale e marginale.
Il pericolo di una stretta al lavoro a distanza nasce dall’incrocio tra l’esperienza del tele-lavoro domiciliare dell’emergenza e l’incertezza sul futuro design del lavoro agile post-pandemico.
Per un verso, incidono le scadenze, a geometria variabile (specie tra pubblico e privato), delle norme emergenziali che avevano trasformato il lavoro agile in un istituto pret-à-porter, senza necessità di accordo individuale (e neanche collettivo).
Per altro verso, preoccupano le recenti innovazioni della legge-madre, n. 81/2017, seppur ricalcano gli obiettivi bi-partisan del lavoro agile ordinario: quello competitivo dei datori, quello di conciliazione vita-lavoro dei lavoratori. Preoccupano in quanto la modifica che viaggia nella prima direzione (la semplificazione della procedura datoriale di comunicazione) abbisogna di una fase di rodaggio burocratico; l’altra (le nuove priorità di agilità per i lavoratori) sollecita una diversa cultura dell’organizzazione del lavoro.
Così il lavoro agile potrebbe diventare meno attraente per i datori di lavoro, con un massiccio ritorno in ufficio. Dinanzi a tale rischio, segnalo che il Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza colloca il lavoro agile nel prisma degli strumenti utili al Paese. E lo fa, a ragion veduta, dato che questa modalità di lavoro, ove praticabile, incrocia le innovazioni in corso nel mondo del lavoro, a partire da quella digitale.
Di più, nel contesto invernale, il lavoro agile potrebbe confermare o svelare ulteriori potenzialità.
L’imprevedibile quadro delle varianti del virus, l’eccezionalità della difficile ripresa post-pandemica, il prolungato dramma bellico russo-ucraino, lo shock della crescita dei prezzi del gas e dell’energia, con la conseguente spirale senza freni del mercato delle materie prime (e del tasso di inflazione) determinano un frame complesso. In esso la modalità di lavoro a distanza potrebbe costituire uno strumento di sicurezza e protezione multipla: della salute, dell’ambiente, interno ed esterno all’azienda, e dell’economia. Non a caso, è lo stesso bilanciamento di valori richiesto dall’articolo 41 della Costituzione, come novellato nel 2022.
In pratica, se la percezione della regolamentazione post-pandemica spinge verso il ritorno in azienda, è probabile che il caro-bollette o il freddo imposto negli uffici inducano a riconsiderare le nuove opportunità del lavoro a distanza.
Di ciò, conciliando le esigenze di tutte le parti in causa, si dovrebbe tener conto nel dibattito della campagna elettorale in corso.
Marina Brollo
Ordinaria di diritto del lavoro
Università degli Studi di Udine
@MarinaBrollo
*Pubblicato anche su Il Messaggero Veneto, 31 agosto 2022