Non pochi sono i dubbi interpretativi e i difetti tecnici del decreto Poletti che stanno via via emergendo a seguito della sua conversione in legge. Lo ha candidamente ammesso lo stesso relatore del provvedimento in Senato, il giuslavorista Pietro Ichino, che ha voluto spiegare anche ai non addetti ai lavori come possa accadere che il Parlamento resti inerte pur a fronte di zone d’ombra e criticità a tutti note ed evidenti. Così è stato, in particolare, per il regime sanzionatorio che accompagna il superamento del tetto del 20% per le assunzioni a tempo determinato. Commentatori ed esperti, tra cui lo stesso relatore del provvedimento, hanno subito evidenziato come il dettato normativo, nel disporre una semplice sanzione amministrativa, non escluda con certezza, sul piano civilistico, l’applicabilità del regime di conversione del contratto in un rapporto a tempo indeterminato come da orientamento giurisprudenziale prevalente su cui ben poco potranno eventuali chiarimenti ministeriali.
Invero il decreto Poletti presenta un nodo interpretativo ancor più problematico e per certi versi anche suggestivo almeno per chi si ponga nell’ottica della applicazione di quei principi europei di flexicurity che spingono nella direzione di una maggiore liberalizzazione delle tipologie contrattuali senza per questo ridurre le tutele per i lavoratori. È chiaro infatti, dopo la conversione in legge del decreto 34, che il tetto del 20% trovi ora applicazione esclusivamente per le assunzioni a tempo determinato e non anche per l’impiego indiretto di forza-lavoro per il tramite delle agenzie per il lavoro con lo strumento della somministrazione. Meno chiaro tuttavia è se il tetto del 20% trovi in ogni caso applicazione nei confronti delle stesse agenzie per il lavoro, non nell’ambito del contratto commerciale di somministrazione, ma piuttosto quando assumono i propri lavoratori interinali per una missione a termine presso l’utilizzatore. Il dettato normativo, tanto in termini letterali che di sistema, pare sul punto inequivocabile per quanto sia evidente come il nodo interpretativo, di grande impatto per le dinamiche di funzionamento del nostro mercato del lavoro, sia sfuggito al Legislatore. L’articolo 22, comma 2, del decreto legislativo n. 276/2003, dispone infatti l’applicazione del decreto legislativo n. 368/2001, per quanto compatibile, anche alle assunzioni a termine fatte dalle agenzie nell’ambito delle somministrazioni temporanee con la sola esclusione dell’articolo 5, commi 3 e seguenti in materia di rinnovi e tetti massimi di durata.
Questa lettura del disposto normativo, che al momento appare difficile da smentire sul piano sistematico oltre che letterale e che non può certo essere contrastata con generici e ambigui richiami alle direttive europee che del punto non si occupano affatto, potrebbe incidere non poco sulla operatività delle agenzie per il lavoro in Italia a cui pare affidata, in termini di attuazione dei principi europei di flexicurity, la tutela del lavoratore temporaneo, da assumersi prevalentemente in pianta stabile, a fronte di una totale liberalizzazione della possibilità per le stesse agenzie di attivare contratti commerciali di somministrazione a favore di utilizzatori. Questa interpretazione, che compenserebbe l’ampia e generalizzata liberalizzazione della somministrazione di lavoro a termine, che non pare ora avere più limiti sostanziali, consente del resto di giustificare, sul piano sistematico, l’esenzione delle imprese utilizzatrici dal tetto legale del 20%, ora previsto per le assunzioni dirette a termine, e pare altresì sostenuta dal principio di cui all’articolo 1, comma 01, del decreto legislativo, n. 368/2001, che ancora oggi conferma nel lavoro subordinato a tempo indeterminato la forma comune di lavoro.
Michele Tiraboschi
Coordinatore scientifico ADAPT
@Michele_ADAPT