Nell’ottica della semplificazione e del nuovo Codice del Lavoro è arrivato il momento di intervenire in materia di somministrazione, al fine di arginare la deriva interpretativa e stabilire regole certe che consentano un utilizzo legittimo di questo strumento messo a disposizione dall’ordinamento.
La genesi del contenzioso sulla somministrazione di lavoro a tempo determinato affonda le sue radici nella diatriba sull’applicazione o meno dei principi utilizzati per il contratto a termine alla verifica della legittimità delle ragioni che ne hanno giustificato l’utilizzo. La querelle riguarda in particolar modo il grado di specificazione per iscritto delle predette ragioni e la temporaneità delle stesse.
Sono inoltre note le posizioni giurisprudenziali contrastanti che hanno caratterizzato il dibattito intorno alle conseguenze in capo all’utilizzatore di eventuali vizi dei contratti a termine stipulati tra l’agenzia e i lavoratori somministrati. Su questo punto, in sintesi, si ravvisa da un lato l’orientamento prevalente che, in base alla dottrina del collegamento negoziale, sancisce l’applicazione della sanzione della costituzione del rapporto a tempo indeterminato in capo all’utilizzatore anche in caso di vizi del contratto a termine tra lavoratore e agenzia di somministrazione. Dall’altro, invece, vi è l’orientamento, per lo più di merito, che ritiene che i suddetti vizi non possano ricadere sull’utilizzatore, stante – inter alia – l’indipendenza dei due contratti e la lettera dell’art. 27, d.lgs. n. 276/2003.
In questo scenario è intervenuta di recente una pronuncia della Corte di Giustizia Europea datata 13 aprile 2013 (C-290/12), a dichiarare la non applicabilità della disciplina del contratto a termine prevista dalla direttiva 1999/70/CE né al rapporto tra il lavoratore somministrato e l’agenzia, né al rapporto tra tale lavoratore e l’impresa utilizzatrice.
Al coro di cui sopra si sono aggiunte due voci, provenienti entrambi da Roma. Nel primo caso si tratta di una sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 161 dell’8 gennaio 2014), che ha confermato l’indirizzo giurisprudenziale prevalente in tema di conseguenze relative ai vizi dei contratti di lavoro in somministrazione. Nel secondo caso, invece, il Tribunale del lavoro, con sentenza del 9 gennaio 2014 ha sancito la piena legittimità del contratto di somministrazione a tempo determinato “a fronte di qualsiasi motivazione, anche di natura non temporanea, riferita all’attività produttiva”.
La sentenza della Suprema Corte arriva a seguito di impugnazione di una sentenza della Corte di appello di Torino la quale, in riforma del giudizio di primo grado, aveva stabilito che l’indicazione generica dei motivi di ricorso al lavoro temporaneo non comportava la conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze dell’impresa utilizzatrice. La massima relativa alla pronuncia in questione recita: “in materia di contratto di lavoro interinale, la mancata o la generica previsione, nel contratto intercorrente tra l’impresa fornitrice ed il singolo lavoratore, dei casi in cui è possibile ricorrere a prestazioni di lavoro temporaneo, in base ai contratti collettivi dell’impresa utilizzatrice, spezza l’unitarietà della fattispecie complessa voluta dal legislatore per favorire la flessibilità dell’offerta di lavoro nella salvaguardia dei diritti fondamentali del lavoratore e fa venir meno quella presunzione di legittimità del contratto interinale, che il legislatore fa discendere dall’indicazione nel contratto di fornitura delle ipotesi in cui il contratto interinale può essere concluso. Pertanto, trova applicazione il disposto di cui alla legge 24 giugno 1997, n. 196, art. 10 e dunque quanto previsto dalla legge 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 1, per cui il contratto di lavoro col fornitore ‘interposto’ si considera a tutti gli effetti instaurato con l’utilizzatore ‘interponente’.
Pur facendo riferimento alla disciplina ratione temporis applicabile al caso di specie (L. n. 196/1997), la pronuncia della Cassazione si colloca tuttavia nel solco dell’orientamento che – anche a seguito della nuova disciplina introdotta dalla Legge Biagi e dell’abolizione delle causali – ha contribuito al mancato decollo della somministrazione come strumento di flessibilitá funzionale.
Dall’altro lato, invece, la posizione del tribunale di Roma sulla questione della temporaneitá sembra seguire la scia della giurisprudenza comunitaria nel mantenere distinta la somministrazione dal contratto a termine, in linea con le intenzioni del legislatore comunitario (104/2008/CE), che ha voluto ridurre al massimo i limiti di utilizzo di questo strumento di flessibilità.
Rebus sic stantibus, con riferimento all’art. 2127 del ddl n. 1006/2013, si segnala come il comma 3 del suddetto articolo – “La somministrazione a tempo determinato è consentita soltanto nei casi nei quali è consentita l’assunzione a tempo determinato, a norma dell’articolo 2097” – si ponga in contrasto con l’indirizzo della Corte di Giustizia europea sul punto. Nello stesso comma 3, peraltro, non è chiaro se si faccia riferimento alla somministrazione intesa come contratto commerciale tra l’agenzia e l’utilizzatore ovvero in senso ampio, ricomprendendo anche il rapporto tra lavoratore e agenzia. In ogni caso, equiparando il contratto a tempo determinato alla somministrazione si rischia di fare un passo indietro rispetto all’attuale disciplina nonché rispetto alle intenzioni del legislatore comunitario (104/2008/CE).
Peraltro, seppure l’art. 2127 preveda la sanzione della costituzione del rapporto alle dipendenze dell’utilizzatore nei soli casi di violazione dei commi 1 e 2, dire che la somministrazione è consentita solo nei casi in cui è consentita l’assunzione a tempo determinato (comma 3) potrebbe lasciare intendere che anche in questi casi si applichi la sanzione prevista dal comma 6 dell’art. 2097. E anche in questo caso si riproporrebbe l’adagio: “Nei confronti di chi? Dell’utilizzatore o dell’agenzia di somministrazione?”.
Alla luce dell’attuale quadro normativo e giurisprudenziale, sarebbe auspicabile una riscrittura dell’articolo sulla somministrazione, mantenendo la parte sulla parità di trattamento, che incentivi l’utilizzo dello strumento in linea con quanto previsto dalla Direttiva comunitaria e con le esigenze del mercato del lavoro.
Maria Azzurra Tranfaglia
Ph.D. Candidate University of Melbourne